Pelo e contropelo
di Morgana
La mia estetista mi domandò dolcemente se mi fossi convertita all’Islam
Le donne mussulmane si rasano completamente, forse questo gesto serve a
consegnare purezza alla libidine dei loro mariti.
Ovviamente non sono le uniche a rasarsi completamente, molte professioniste del
porno lo fanno, per motivazioni ovviamente diverse, per potersi mostrare
integralmente, o per evocare un’età prepuberale in clienti perversi, non sono
escluse neppure motivazioni di igiene personale.
Non mi sono convertita e non sono una professionista.
Per cui dovetti inventarmi una piccola operazione che giustificasse il mio sesso
glabro.
Anche se apparentemente indifferente, l’estetista non cessava mai di fare
congetture sulle sue clienti, ogni nuovo segno la induceva a fantasticare sulle
loro perversioni, in particolare io, dovevo essere il suo soggetto preferito.
Era un periodo strano della mia vita, confuso.
Un uomo complesso ed esigente si era introdotto in essa, e ben presto mi aveva
fatto oggetto delle sue attenzioni non proprio benevole.
Lividi e tumefazioni, bruciature e succhiotti, un vasto repertorio di segnali
che non potevano essere equivocati. Non sapevo più cosa inventare, il pelo non
l’avevo mai completamente rasato, lo ritoccavo con perizia, lo refilavo per
renderlo più attraente, fino al giorno in cui decisi di offrirlo in sacrificio,
e non fu decisione da poco.
Immolarlo fu una vera e propria cerimonia. Orchestrata nei minimi dettagli.
Per prima cosa dovetti reperire un rasoio, un rasoio vero, di quelli che usano
ormai solo i vecchi barbieri. Non fu facile, mi inventai che il nonno in fin di
vita aveva manifestato l’ultima volontà di essere rasato per presentarsi in
ordine al Creatore, e che mi aveva chiesto di farlo personalmente, con il rasoio
del suo vecchio amico barbiere.
Quest’ultimo me lo concesse, riempiendomi di raccomandazioni, per lui era quasi
un oggetto di culto, per me un’arma pericolosissima di cui avere paura. E se
fosse diventato uno strumento di piacere, indirettamente? Il solo pensiero mi
eccitava.
Mi procurai un catino di ottone da un rigattiere, che mi regalò anche una bella
brocca panciuta, per buona misura.
La cosa più semplice fu acquistare schiuma da barba e pennello, una bellissima
confezione regalo per amanti delle cose all’antica. Non dimenticai neppure il
cotone emostatico.
Ripassai, visualizzando la scena nella mente, cosa ci sarebbe potuto venir
utile, certo, mancavano solo una spugnetta ed un piccolo asciugamano nero,
antimacchia.
Infilai tutto nella sacca di cuoio e mi recai con fierezza all’appuntamento.
Non avevo anticipato nulla al mio signore, del resto non gli interessava mai
assolutamente quel che avevo da dire, il suo unico proposito farmi fare, la
parola aveva poco spazio nella nostra comunicazione.
Anche in quest’occasione mi limitai a porgergli la sacca, sapevo che non avrebbe
tardato a valutarne il contenuto. Capì subito ed un bel sorriso compiaciuto gli
comparve sulle labbra, normalmente increspate da perenne noia esistenziale.
Per lui non era che l’ennesimo gioco, un’ idea nuova che non aveva ancora messo
in atto.
Per me significava fargli un dono intimo e prezioso, come al solito i nostri
punti di vista non coincidevano.
Mi sdraiai sulla sua immensa scrivania di cristallo. Glaciale. Mi bendò ed
incominciò l’attesa.
In quei lunghi momenti di tensione i sensi cercavano appigli concreti per non
scivolare nella paura, mi stavo consegnando a lui per un’operazione che poteva
anche rivelarsi più cruenta di quanto non avessi inizialmente previsto.
Acqua che scendeva, rumori vari a cui cercavo di assegnare un’identità, ma mi
restavano sostanzialmente ignoti, il freddo che si arrampicava dai piedi e
saliva liberando i suoi tentacoli verso l’alto, come ipnotizzato dalla lascivia
della mia posizione.
Ne è passato di tempo, ma ricordo ancora come fosse ieri, la sensazione di morsa
allo stomaco, il cuore voleva scappare dalla gabbia toracica, rabbrividivo
sempre più, non sapevo controllarmi e questo mi piaceva ancor di meno.
Finalmente sentii i suoi passi, lui che sistemava tutto l’occorrente, ed infine
le sue mani a perlustrare la zona. Nessuna dolcezza, apriva, spostava, valutava.
Intinse il pennello nell’acqua troppo calda e lo strofinò vigorosamente sul
sapone, non lo vedevo ma immaginavo che attendesse di disporre di una bella
schiuma morbida ed abbondante. Incominciò a spennellare partendo dal pube, era
giusto così, la parte più facile, giusto per acquisire dimestichezza col rasoio.
Lo appoggiò infatti con infinita cautela, sentivo il calore dell’alogena
illuminarmi, la luce penetrava dall’orfizio socchiuso e già umido, scivolava
lambendo le pareti della vagina e su, su, fino al collo dell’utero. Lui solo
avrebbe resistito mantenendo ombra nel mio luogo più intimo e segreto. L’unico.
Pelo e contropelo, verso l’alto e verso il basso, lentamente, poca resistenza ma
un sottile rumorino sordo. Puliva il rasoio e poi ricominciava, se non era
soddisfatto aggiungeva altra schiuma e ripartiva. Ad un certo punto asciugò e
fece scorrere la mano, mugolio di soddisfazione e mio sospiro di sollievo. Il
bello doveva ancora venire.
Mi divaricò inverosimilmente le gambe, ringraziai mentalmente lo yoga per
l’apertura che mi consentiva, lui avvicinò il viso alla zona più complessa.
Prima di cominciare si concesse di mordere il suo lavoro, forte, per lasciare il
segno, non mi mossi neppure.
Di nuovo acqua, per fortuna si era intiepidita, pennello sul sapone, ed infine
pennello a girare intorno a piccole e grandi labbra, una giostra veloce e
sapiente, avrei voluto che continuasse, per sperimentare se anche di pennello
potevo godere. Ma lo sapevo già, lui pure, quindi non seguitò.
Stillicidio di scorrimento, pelo e contropelo, accidenti, brucia. Cotone
emostatico, passato.
Il suo respiro che accelera ed anche il mio, ha visto il sangue, è eccitato,
anche se ha sempre negato di potersi stimolare col sangue. Nuova scoperta, non
lo sapeva neppure lui, preoccupante, ora lo sa. Ha fretta di finire il lavoro,
ho paura che sarà meno cauto, adesso che il suo obiettivo è cambiato. Pelo,
contropelo, sposta con le dita, osserva bene, da vicino, tanto da vicino che
sente l’odore della mia eccitazione mescolarsi a quello del sapone.
Sciacqua, strofinando vigorosamente la spugna, troppo vigorosamente, mi fa male,
e per giunta il taglietto brucia. Ciò nonostante non c’è parte di me che non lo
voglia, che non reclami, la mente gli urla di non asciugare, vorrei passasse la
lingua ad alleviare lo strazio.
Invece è già dentro, e sbatte forte, rotazione e poi ancora martello pneumatico.
Orgasmi intinti nel sangue, ci perdiamo, ci ritroviamo, il tempo si dilata e
contrae, i nostri momenti che ben conosco, quelli rari, dell’effimera fusione.
Ti ho regalato il mio pelo, lo guardo l’ultima volta mentre il water lo
risucchia in un vortice.
Tu eri già vestito e pronto per uscire, un cliente ti aspettava. Io, troppo
lenta, ti innervosivo.
Ripensando oggi agli occhi dell’estetista il giorno dopo, sorrido.
Ripensando oggi a quanto mi è cresciuto il pelo, senza che tu lo tagliassi più,
il sorriso mi muore sulle labbra.