Tacchi appuntiti
di Morgana
La strada di una geisha è greve di rinunce e palpitante di inutili afflati, è
un’artista che vive infagottata nella sua coreografia, dovendo spesso rinunciare
all’amore ma nutrendolo indefinitamente di piccoli gesti, di simboli da
custodire gelosamente.
Tu volevi una donna di questo tipo, per privarla di ogni sentimento e vederla
ugualmente sorridere, e comunque darti quello che desideri, il riposo del
guerriero.
Ma ti immagini se una sera, giungendo a casa sua, lei, invece che indossare le
tenere ciabattine infradito che ti aspetti sentire frusciare lente, piccoli e
timidi passi, ti accogliesse con stivaloni alti di vernice nera, tacchi cattivi
come punteruoli affilati?
Sotto il kimono di seta, per te e solo per te ho indossato, eh già perché sono
io la geisha, una bella tuta di latex, ma te ne’accorgerai non proprio subito,
dopo, lasciami assaporare il momento di stenderti a terra con un colpo solo, non
te l’aspetti proprio, anche se sai ed hai sempre saputo che sono cintura nera.
Ti faccio strada in sala per non insospettirti, ho già preparato una fumante
tazza di the al gelsomino, ma tu, al divano non ci arrivi neppure.
Ti illudevi forse che non avrei mai osato esercitare la mia arte contro di te,
ma ti prendevi un rischio grosso. Ed infatti cadi con un tonfo pesante sul
tappeto, sei già fortunato che non è di marmo.
Ora che sei sdraiato ai miei piedi, approfitto del comprensibile momento di
sgomento, ti metto le manette con cui mi costringevi tu, e godo nel vedere che
ti sono strette e scomode, mi piace renderti la vita grama, ho qualche conto da
saldare e lo vorrei sistemare stasera.
Così capisci in fretta e mi assecondi, non vuoi darmi la soddisfazione di
sentire la tua voce chiedermi che strano gioco ho in mente, ma il tuo sguardo
interrogativo la dice lunga sui tuoi dubbi.
Ti tolgo le scarpe e ti slaccio la cintura dei pantaloni, questi te li sfilo, ma
gli slip no, quelli li lascio, mi piace l’idea di abbassarli dopo e se mi
aggrada, in funzione della fantasia che intendo nutrire.
Mi sembra anche il momento giusto per togliermi il kimono, chissà se ti piace il
completino di latex, non te lo chiedo, non mi interessa che ti piaccia, anzi
vorrei che ti facesse paura, vorrei che tu pensassi a quanto sono cambiata, a
cosa mi hai portata, vorrei che riflettessi, intanto ti passo una leggera
stilettata col tacco, ma poi lo userò in maniera diversa, più penetrante,
diciamo, dopo, non voglio affrettare le cose.
Ora ti posso legare anche le caviglie, così sono certa che non mi farai
scherzetti, sei sempre più perplesso, ma soprattutto infuriato perché sto usando
i tuoi gingilli contro di te.
Sorseggio il the, mi piace molto caldo, ma quasi per errore, e dico quasi,
perché in verità l’ho fatto apposta, te lo rovescio addosso, ed è molto bello
vedere la tua schiena che si infiamma, la bocca che si storce in una smorfia, ma
tu non fai un verso, devo pensare in fretta qualcosa di più doloroso.
Bene, cosa ne pensi del frustino? La schiena è già rossa, infierirò dove è già
dolorante, una, due, tre, dieci, può bastare, per ora, ma adesso leccami gli
stivali,
e non ti ribellare, o ti infilerò le unghie nei capelli e tirerò forte, forte.
Non mi ami, non mi ami, lo so che non mi ami, ma dopo, quando avrò finito mi
amerai e ne chiederai ancora, imparerai com’è bello soffrire, saprai che ti
scava dentro una dipendenza amara come il fiele, ma pur sempre dipendenza.
Mi accorgo or ora che mi pulsa una parte che finora è stata trascurata, è umida
e prominente, tu non l’hai mai leccata, ma visto che mi stai succhiando i tacchi
vuol dire che la bocca ti funziona, e allora leccami, leccami il buchino del
sedere, la patata non ancora dopo, dopo, ora me la tocco da sola, tu puoi solo
sentirne l’odore.
Ti è venuto duro, me ne rallegro davvero, perché mi serve e me lo prendo,
mettiti pure comodo, sdraiato sulla schiena, accidenti, aspetta che metto sotto
il portacenere di marmo, non vorrei stessi troppo comodo. Ed ora mi calo sul tuo
sesso duro, la mia è calda e umida, così scivola dentro bene, mai era scivolato
così, ma forse mai era stato così duro. Era questo che volevi, una geisha
cattiva che ti facesse male, che ti rendesse qualche sofferenza, cosa fai? Sei
pazzo? Non penserai che voglia farti godere, questo proprio no. Ora fuori da me,
fuori dal mio corpo, puoi solo leccarmi, fino a che ti dico io, ed ora godo di
te, della tua stupida bocca che non mi ha mai detto quel che volevo sentire,
lecca e succhia, fin che non ti dico basta.
Basta, ho goduto, ma non ti darò la soddisfazione di urlare, me lo tengo per me
questo momento, avara come te, se hai sentito le contrazioni peccato, senò non
saprai mai che ho goduto. Anzi ti offenderò, lingua incapace, peggio, farò di
peggio, mi scappa la pipì, che faccio? Te la faccio addosso, te la faccio sul
viso, ricordi?
Io ti amavo ricordi, io godevo di berla la tua e tu che ne pensi? Ti piace,
bevila tutta,
come fosse champagne, brinda al nostro amore infinito, paglierino delicato,
gusto soave, solo calda, molto calda.
E adesso alza il sedere che devo approfittare, te l’avevo annunciato il mio
tacco, voglio vedere se ci sta tutto, coraggio, non è tozzo, ci passa, solo che
non ti metto il gel, quindi succhialo bene e mettici saliva, o ti farà male,
molto male.
La punta, piccola spinta, siamo a metà, muggisci, cosa sei una mucca? Ancora un
pezzo e piantala, oggi va così. Ecco è tutto dentro, ti piace, sei donna abusata
dal mio tacco, è bello soffrire, dimmi che mi ami, dimmelo adesso che ti faccio
mio.
Com’è duro, come chiede, stilla gocce di desiderio, mi vuole e non mi avrà, ma
sono buona, troppo buona e ti tolgo le manette, ti consento di godere da solo,
ma non ti guardo, mi giro, non voglio che tu veda che piango.