Il tavolo di cucina
di Morgana
Sta avvicinandosi il nostro anniversario e sento dentro
come un’irrefrenabile bisogno di fermare i nostri momenti speciali, quelli che
hanno caratterizzato la nostra storia, forse le altre persone leggendomi
penseranno che siamo strani, a volte anche depravati.
La realtà è solo che noi siamo noi, e questo è quanto.
Quel giorno me ne stavo seduta sul divano ad occhi chiusi, cercando di
controllare l’emozione, respirando come fanno gli yogi, prima il ventre, poi la
parte bassa dei polmoni, poi la parte alta, trattengo e poi lenta espirazione.
Stavo così da mezzora ma non ne venivo a capo, il cuore non cessava la sua danza
folle e quel messaggio ancora non arrivava.
Ti ricordi? Sono certa di si, per quel giorno mi avevi chiesto di restare a
disposizione, di aspettare un messaggio sul cellulare e di seguire con
precisione tutte le istruzioni. Non avresti tollerato uno sbaglio, questo lo
sapevo, oramai ti conoscevo da un pezzo.
Estate calda, troppo calda per una donna che, come me, stava affondando nel
timor panico, piccoli rivoli di sudore mi colavano sulla pelle, scivolando in
mezzo al seno e sotto le ascelle ed io li asciugavo paziente: non potevo
vestirmi o mi sarei dovuta cambiare dieci volte.
Nuda a respirare, di tanto in tanto aprivo gli occhi per controllare di essere a
posto, depilata, unghie smaltate, mani curate, profumata.
Sbirciatina al cellulare muto e poi di nuovo esercizio di respirazione.
Provai anche ad accarezzarmi il pube, chissà se la tranquillità di questo gesto
familiare mi avrebbe potuto riportare equilibrio, ma nulla da fare, nessuna
risposta, anche da quella parte che di solito rispondeva inturgidendosi ed
umidificandosi.
Improvvisamente nel silenzio irreale della casa vuota il segnale convento, un
sms da imparare a memoria e cancellare, un indirizzo, le prime istruzioni.
I vestiti erano sul letto, bastava infilarseli addosso l’uno dopo l’altro, li
avevo provati e riprovati mille volte, perché dovevano essere signorili e non
appariscenti, mi dovevano donare ma non potevano dare nell’occhio. Dovevano
essere facili da togliere, questo soprattutto, niente cerniere che si inceppano
sul più bello.
Gonnellone nero a piccoli pois bianchi con elastico in vita, top nero con sotto
solo reggiseno di pizzo, slip coordinato, rigorosamente nella borsetta. Ancora
un rapido controllo al beauty: due toys, spilla clitoridea, gel, e per finire,
unica concessione alla mia fantasia più estemporanea, lo spazzolino da denti a
batteria, con la testina rotante, lo accarezzai maliziosamente, avrebbe stupito
tutti.
Ma tutti chi? Non sapevo proprio chi sarebbe stato presente, era la mia prima
esperienza di questo gioco e la prima regola che mi era stata data era non fare
domande.
Raggiungere destinazione non fu difficile, la mia auto è dotata di sistema di
navigazione satellitare, il difficile venne dopo.
Dovevo orientarmi in uno di quei casermoni popolari con decine di scale e
cortili interni, così che non fu facile trovare l’edificio e l’appartamento dove
mi aspettavano, ma alla fine lo localizzai, la porta era appena socchiusa,
entrai e la richiusi a chiave dietro le mie spalle, sperai di aver fatto la cosa
giusta, anche perché non avevo ricevuto istruzioni precise a proposito.
L’ingresso era in pratica la cucina di questo modestissimo appartamento, l’unica
cosa che mi colpì fu che il tavolo insolitamente grande e robusto, non era
assolutamente in proporzione all’ambiente, comunque ricominciai a sentire i
battiti del cuore molto affrettati e così smisi di focalizzarmi
sull’arredamento, del resto si trattava di oggettistica di raro squallore.
Il mio pensiero andava a te, il mio signore, che mi avevi portata a vivere con
te questa nuova esperienza.
Avevo un gran bisogno di sentirti, di parlarti, ma nei patti c’era che non
dovevo dire una parola e che nessuno mi avrebbe parlato .
Mi spogliai senza particolare cura, non c’era nessuno che potesse vedermi,
restai ad annaspare equilibrio sui tacchi a spillo dei sandali con la sola
biancheria intima, visto che nel frattempo mi ero infilata anche gli slip, mi
facevano sentire meno in imbarazzo. Poi appoggiai il beautycase dei toys nel
centro del tavolo, infilai la mascherina e mi appoggiai, per non vacillare,
cieca com’ero, e, dopo un tempo che mi parve interminabile un abbraccio da
dietro, mani che mi accarezzavano, le tue, bocca sul collo e mani che scostavano
i capelli, il tuo calore, il tuo corpo che si avvicinava, cercava un contatto.
Ero nervosa, incapace di lasciarmi andare,era molto più difficile di quanto mi
aspettassi, sapevo che qualcun altro ci stava guardando, sentivo uno sguardo che
mi scrutava, quasi mi valutasse, una muta domanda su chi ero io, veramente.
Una donna in cerca di esperienze, certo, forse, in cerca di conferme, come no,
la tua donna, ecco la risposta che mi scivolava nel ventre e rimbombava nelle
orecchie, le stesse orecchie che tu gentilmente vellicavi con la lingua.
Lentamente e con molta dolcezza mi aiutasti ad adagiarmi sul grande tavolo,
continuando ad accarezzarmi ma ad un certo punto c’erano altre mani che mi
toccavano, altri odori nell’aria calda dell’estate. Tu c’eri sempre, la mia
attenzione era focalizzata a seguirti ed identificarti, sapevo sempre dov’eri e
cosa stavi facendo. C’era un altro uomo, uno solo, menomale, non sapevo se se ne
sarebbero aggiunti altri, ma supponevo di no, mi stavi addestrando gradualmente,
non mi avresti mai messa in mano di botto ad un gruppo incontrollabile di maschi
eccitati, no, questo tu non l’avresti mai fatto. Ero tranquilla, fiduciosa, tua.
Quell’uomo cercava di penetrarmi, ma era difficile, non ero pronta e non
collaboravo per nulla. Amore mio, ti sono grata per la tua pazienza, per come
hai preso tu il suo posto ed il mio corpo ti ha risposto con l’entusiasmo di
sempre, si è aperto a te fiducioso, avvolgendoti di caldo e umido, intanto che
l’altro si teneva duro nella mia bocca, ammirando il tuo lavoro sapiente. Mi
soffocava questo membro non tuo, senza il tuo odore, troppo grande e troppo
tozzo, nel frattempo pazzamente pensavo a quanto gli uomini vadano inutilmente
fieri delle loro misure, mentre spesso noi donne di queste misure non ci
facciamo nulla, se manca un vero afrodisiaco che le condisca come
desideriamo.Sentivo anche il toy piccolo a cercare strade alternative, dovevi
averlo unto per benino perché entrava senza sforzo, senza dolore.
Di nuovo un cambio, ed era lui a sbattere le mie viscere, sentivo i tuoi occhi
su di me, che l’accompagnavo nel ritmo, volevo solo farti contenta, fare buona
impressione, che non ci fosse nulla che non funzionasse al meglio. Lui era
sempre più grosso e veloce, respirava forte ma io sapevo che non l’avresti mai
fatto venire dentro di me , tu l’avresti cacciato a godere altrove, ero
tranquilla, ma non sapevo lasciare andare la mia eccitazione, forse ne ero
gelosa, in fondo l’avevo sempre solo riservata a te e quest’ospite del mio
corpo, altre mani, altro membro…in altre parole, altro da te, io non sapevo
veramente liberarmi di me e dei miei orpelli. Quell’uomo godeva da solo, senza
di me,senza di te, che tristezza la sua.
Ed io dove avrei stanato il mio orgasmo? Accompagnata dalle tue mani, la mia
mente che si rifugiava nella tua, un posto dove stare soli anche in mezzo alla
folla, ricordo le tue parole la prima volta, le parole che mi hanno incatenata
dentro i nostri corpi e nella fusione degli orgasmi.
Tu, che potevo vedere anche bendata, tu capace di risolvere, scatenare,
possedere, prendere tutto, come l’asso che fa sparire i numeri ed il valore di
tutte le altre carte.
Fu così che io, transfuga dei corpi e dei giocattoli, sfuggita al tavolo della
cucina e ad ogni contesto terreno, io , in viaggio con te per chissà quale meta,
ti regalai quest’orgasmo infinito della mente, dove non seppi mai e non volli
mai sapere di chi fu il corpo, perché io ero altrove, dentro di te e tu eri
dentro di me, tutto il resto … contorno.