Masquenada
di Morgause
Che cosa mai mi avrà attirato in questo pub, non lo so.
Forse l’insegna con quell’occhio cieco della U fulminata al centro.
Masquenada: più che niente anzi meglio che niente; un locale che mi calza come
un guanto, per come mi sento.
Ogni tanto mi capitano serate come questa in cui non mi trovo più, e l’unico
desiderio che ho è quello di annullarmi completamente.
Allora divento vulnerabile, aperta ad ogni offesa, da buttar via, insomma.
E lo faccio, di buttarmi via.
Comincio con il girare a tarda ora per i bar e i pub della città vecchia,
entrando in vicoli maleodoranti, scoprendo spesso una fauna che alla luce del
sole non incontrerei mai.
Mi siedo ad un tavolino oppure al bancone e qualche volta rimorchio un uomo che
poi mi scopo fuori, appoggiata al puzzolente muro di un vicolo oppure che
costringo ad inginocchiarsi di fronte al me, alle mie gambe aperte, sotto la
luce malferma di un lampione.
Naturalmente ricambio il servizio.
Il piacere che raggiungo è acuto, tanto improvviso e intenso da lasciarmi senza
fiato e stranamente spossata.
So di rischiare molto in tutti i sensi ma considero queste mie sortite anomale
come una specie di necessario rito di purificazione che passa attraverso la
cosciente degradazione di me stessa.
Per poi rinascere.
Infatti non provo nè paura nè vergogna, solo un senso di gratificante abbandono
totale.
Il perchè di tale comportamento non chiedetemelo, forse un collega psichiatra lo
saprebbe spiegare, se solo lo interpellassi.
Così son finita in questo pub, che ho trovato perdendomi in un dedalo di vicoli
vicino al porto.
Aria bassa, densa di fumo e di birra, rari clienti per lo più maschi, seduti al
bancone a ai tavoli.
E’ tardi, quasi mezzanotte.
Appena entrata mi trovo puntati addosso gli sguardi di tutti: è una calamita per
gli occhi una ragazza sola a quell’ora con le gambe lunghe in mostra, i seni
grandi che a malapena resistono compressi dentro la canotta bianca, i capelli
arruffati e un viso infantile e senza trucco a cui fa violenza un corpo vistoso.
Ma so che cosa crea maggior scompiglio tra i maschi del pub: è quell’odore di
nudità assoluta che mi porto in giro come un mantello ad avvolgermi tutta,
quell’eccitante aroma di femmina da predare senza difficoltà, perchè già se ne
fiuta a distanza la resa senza condizioni.
Mi siedo ad un tavolo, in fondo, vicino alla parete e mi guardo intorno: in
verità non noto nessuno.
Sono così stanca, vediamo chi si verrà a sedere qui, vicino a me questa notte, a
chi toccherà l’onore di sbattermi contro un muro oppure di accoltellarmi se ne
avrà voglia...
O magari di sputtanarmi, se mi riconoscesse....
Per ora nessuno si muove .
Ordino una birra che assaggio appena perchè sono astemia, intingo un dito nel
liquido ed inizio a tracciare ideogrammi di spuma sul legno sporco del tavolo.
E poi ...arrivi tu.
Sento la tua presenza vicina, alzo gli occhi e ti vedo: alto, il viso tondo, gli
occhi color delle castagne.
-Ciao, mi chiamo Simone, posso sedermi con te ?- chiedi con una voce neutra e ti
accomdi senza aspettare una mia risposta.
-Angelica- mento io, ogni volta un nome nuovo, chiaramente falso.
-Angélique, la marquise des anges...- mormori
-Ma guarda stavolta mi è toccato un intellettuale, vedi un pò-
penso tra me sorridendo ironicamente e mi sporco le labbra con un pò di spuma di
birra.
Tu cominci a parlare in fretta, accumulando domande che restano lì per aria come
punti interrogativi, naturalmente mi chiedi come sono capitata al Masquenada e
credi alla mia risposta vaga, o fai finta di crederci.
Ed io scopro subito che sei un poeta.
Forse ti sei accorto di avere di fronte una donna che è l’unica passeggera di
una nave senza timone, hai intuito che cosa non sto cercando, sarà per questo
che le tue parole sono così dirette, accuratamente scelte e la tua voce che si
abbassa di tono, tanto persuasiva?
Mi parli con amore della tua città che conosco benissimo ma mi guardo bene dal
dirtelo, delle sue origini romane, racconti della tua passione, la vela, della
barca che tieni sul lago, mentre accendi una sigaretta dietro l’altra e bevi
birra, lentamente, a piccoli sorsi, per permettere alla tua voce di prender
respiro.
Tu componi poesie, Simone, ne sono sicura, dimmi ne scriveresti una per me?
Quasi avessi ascoltato il mio pensiero allunghi una mano a sfiorare la mia.
Intuisco che ti è costato molto osare questo approccio con la donna sconosciuta
e strana che sta lì di fronte a te ascoltandoti con attenzione dapprima finta
ora reale, mentre la voglia di spalancare le gambe per far vedere a tutti che
non porta mutandine non la tortura più
da quando tu sei arrivato a tenerle compagnia.
L’hai capito questo Simone?
Ti guardo sorridendo e improvvisamente sento che ti voglio, desidero che tu mi
tocchi lì tra le cosce dove sento salire il ben noto calore, forse sto
elemosinando un poco di affetto oppure ho voglia di donarne o ancora mento a me
stessa, non so, ma:
-Vieni a sederti qui, vicino a me- mormoro
Ormai sono quasi le tre di notte, il locale è semivuoto.
Tu ubbidisci, guardandomi in viso, fissando le mie pupille vacue, in cui non ti
riesce di
rifletterti.
Quando mi sei accanto ti faccio avvicinare prendendoti una mano che poso sulla
coscia mentre apro legambe.
-Accarezzami, ti prego, qui non ci vede nessuno-
Appoggio la testa all’indietro sul legno sporco e sento la tua mano salire
dapprima timida poi farsi più audace fino ad arrivare all’inguine, mentre ti
accosti ancor più al mio fianco, guardandoti inquieto attorno, nel timore che
qualcuno si accorga di noi.
Anche se accadesse ora non me ne importerebbe nulla.
Quando ti accorgi che non indosso slip e le tue dita toccano le mie labbra di
femmina
accuratamente depilate ti scosti d’un colpo come se ti fossi scottato.
-Continua- mormoro e tu ubbidisci.
Le tue dita mi accarezzano, penetrano, premono, stringono: sei bravo Francesco.
Mi appoggi il viso sul collo e cominci a baciarmi, leccarmi, una cosa che mi fa
impazzire
di piacere.
Intanto con una mano mi circondi la spalla e con l’altra seguiti a blandire quel
sesso morbido e caldo di donna in amore seguendo il movimento a forbice delle
mie cosce.
Ora le tue labbra sono sulla mia gola, sento i capelli morbidi solleticarmi il
mento.
Scosto la canotta e ti porgo un seno come fosse un frutto maturo scuro e lucido
da gustare sulla mia mano.
Tu ti abbassi attaccandoti al capezzolo come un bimbo goloso.
Con un gemito mi inarco contro il legno mentre il mio orgasmo ti bagna la mano
che istintivamente immergi ancora più dentro di me.
Tutto è successo in pochi minuti.
Quando ritorno sulla terra e riapro gli occhi ti sorrido e ti tocco: sotto i
pantaloni il sesso teso è pronto per me.
-Usciamo- ti sussurro nell’orecchio.
E siamo fuori, nel vicolo deserto, stravolti.
Ci rotoliamo contro i muri sudici baciandoci furiosamente poi all’improvviso
staccandomi da te e senza curarmi dello sporco mi inginocchio per terra ai tuoi
piedi.
Tenti di rialzarmi, mormorando:
-No, non così-
Ma non serve, il rito deve essere portato a termine, non lo vuoi un pò d’amore
Simone?
Ti apro i pantaloni con dita svelte e ti prendo in bocca, assaporando la tua
carne, il tuo odore acidulo, mentre ti accarezzo il ventre e ti artiglio i
fianchi per prenderti tutto.
Tu gemi e non ci metti molto a venire, me lo sussurri, forse le ragazze con cui
vai non vogliono ingoiare il tuo seme, ma io sì, Simone, io voglio berti,
gustarti, farti diventare parte di me, il mio pasto nudo.
Ti succhio golosamente fino all’ultima goccia.
Poi appoggio la guancia al tuo pene, accarezzandoti le cosce.
-Ma chi sei veramente Angelica?-mi chiedi le mani a frugarmi i capelli.
-Una regina- rispondo io rialzandomi- una regina che ha perso il trono, ma solo
per una notte-