Suor Malizia

di   Narratore

 

“Gloria in excelsis coeli. Benedicat vos omnipotens Dei, in Nomine Patri, Filii et Spiritui Sactis. Amen. Pax Vobiscum. Ite, Missa est”. Il congedo liturgico serpeggia tra i banchi del convento di Santa Brigida a Castelforte di Rosato. Esce fuori dalla piccola cappella e si disperde tra i solchi dell’orto delle erbe medicinali fino a lambire i filari di vite che degradano verso il fondo della collina. Il buio della notte si attarda tra le foglie macchiate di bisolfito mentre l’alba manda sms che ne annunciano l’arrivo sul cellulare della giornata. E la bruma si fa densa come un gas asfissiante e muove le sue volute in quei movimenti d’aria che sarebbe presuntuoso definire brezza. Terra nera, zolle grasse e generose come le troie di un bordello di Marrakesh, piene di linfa nutriente che ingrossa gli acini scuri pronti a diventare vino forte e rosso come il sangue venoso che i braccianti versano sotto forma di sudore e di fatica.
Il sole è ancora solo una promessa quando la piccola auto risale la stradella in terra battuta e agglomerato che porta all’ingresso del convento. Santa Brigida era il castello di un Don Rodrigo di periferia, eretico e gaudente, opportunamente espropriato da un Papa avido che aveva anticipato la punizione terrena a quella Divina con l’esilio del Peccatore e l’incameramento dei suoi beni. Un castello tronfio, pieno di merli arroganti, con tanto di fossato che magari serviva a fermare le soldataglie raccogliticce di altri signorotti ma non i Soldati di Dio cui il Papa aveva promesso il bottino del potere temporale in nome dell’affermazione di quello del Signore.
Grandi mura grigio sporco descrivono un ovale interrotto solo dal grande portone una volta sormontato dalle insegne del feudatario, uno scudo con il bassorilievo di un grifone armato di spada come un San Giorgio pagano. Ma quell’insegna non c’è più, sostituita da un angelo imbandierato librato sul motto “In Hoc Per Pace Redimebunt Se Ipsos In Gloria Dei”: così, attraverso la pace poterono redimersi nella gloria di Dio. Oltre le mura due grandi edifici, una stalla, una cappella, un pozzo, un orto. In un edificio dormono le sorelle, diciotto celle severe con branda, inginocchiatoio, piccola scrivania, una sedia. Le cucine, il refettorio con un grande arazzo raffigurante l’Ultima Cena. Nell’altro edificio il laboratorio dove le suore producono, secondo la regola, un linimento in odore di Prodigio che le farmacie della zona vendono ai pellegrini dolenti e doloranti. E dentro quelle mura il Tempo è un altro Tempo.
La piccola auto si ferma lungo il fossato. Laura ne scende, chiude la portiera a chiave e si avvia verso l’ingresso. Barcolla leggermente sui tacchi che affondano nella terra mentre il bordo dei pantaloni raccoglie la polvere. Si stringe nel montone mentre l’aria fredda e brumosa le graffia il bel viso pallido, regolare. Arriccia il naso e stringe le belle labbra, sente l’umidità sulla nuca scoperta per i capelli neri a caschetto che non la proteggono, socchiude gli occhi come a proteggere le iridi scure dal freddo.
Attraversa il ponte levatoio, guarda il fossato pieno di ranocchie e di pesci gatto, entra nell’atrio e si ferma. Non sa dove andare, si guarda intorno, vede la costruzione bassa del laboratorio sormontata da una canna dalla quale esce un fumo nero e denso. Unico segno di vita che l’attira in quella direzione. Bussa percuotendo una porta di noce con un batacchio di ferro battuto.
Si apre uno spiraglio che subito lascia sfuggire una ventata di aria calda che sa di mentolo e di sudore. E’ una suora piccola, rotonda, il lungo abito grigio stretto da una cintura nera, la fascia bianca in testa a nascondere i capelli, le maniche tirate su sui gomiti, le mani infilate in guanti da chirurgo.
- Sì?
- Buongiorno sorella, sono Laura Benanti. Cercavo suor Maria Letizia. Mi sta aspettando
- Ah sì, lei è la mamma della novizia, mi sbaglio
- Sì sorella. La mamma di Adele
- Bene, benvenuta a Santa Brigida signora Benanti. Suor Maria Letizia l’aspetta negli uffici. Sono nell’altro edificio. Poi magari, prima di andare via torni pure qui che le faccio vedere di cosa ci occupiamo.
- Con piacere sorella. Sono molto curiosa e ho tutta la giornata libera
- Oh, ma allora sarà un piacere poterla avere a pranzo. Noi pranziamo alle 12, una cosa frugale come può immaginare. Ma digiuna non resterà.

Il sorriso aperto e sincero sparisce dietro la porta di noce. Laura attraversa il cortile interno, passa accanto al pozzo di pietra sormontato da un arco di ferro battuto con la carrucola. Un secchio è posato sul bordo, la fune passa dalla carrucola e se avvolge a terra come un lungo serpente addormentato in spire ordinate. Si sporge, guarda giù dove, come in uno specchio vede la sua testa riflettersi sulla superficie dell’acqua molti metri sotto di lei. E dietro di lei il cielo che si è schiarito. Solo allora si rende conto di come la bruma si sia dissolta, di come la giornata sia diventata cristallina, trasparente e luminosa. E di come quel posto che le era sembrato tanto ostile sia diventato all’improvviso un eremo di pace e di tranquillità, un luogo che induce a pensieri pacati, una grande tavola sulla quale distendere non i tarocchi ma le istantanee di un’esistenza come si fa quando si traccia un bilancio, quando dell’esistenza si avverte come un assottigliarsi che prelude alla fine. O a una svolta.
Adele, la sua bambina. Ventuno anni, bella come il cielo di maggio, dolce come un nontiscordardimè, leggera come una cinciallegra, intensa come un abisso, silenziosa come una notte senza luna eppure solare nei suoi sorrisi senza ombre. Adele poco più che una bambina, Adele tutta amici e motorini, amori e messaggini, viaggi di istruzione e giornate al telefono, osmosi di abiti e amiche, camere disordinate, Five e Giorgia, 883 e Ligabue, Lunapop e Shakira. Una gioventù col volto delle Streghe, coi turbamenti di Dawson Creek. Coi diari della Pecora Nera che scoppiano di bigliettini e di orsacchiotti disegnati, di computer con le decalcomanie, di studenti.it. Adele delle Hogan, di Dimensione Danza, di Bestaff, di Diesel, di Ralph Laurent. Adele dei reggiseni troppo larghi indossati con speranza di riempirli, di quelli rubati a mamma, più larghi ancora. Adele che vive. Adele che sogna il padre lontano. Adele che gli scrive lunghe lettere e che attende risposte lente, certe volte frettolose. Adele che guarda le foto del matrimonio, i nonni, gli zii, gli amici. Adele che vuole sapere tutto.
Adele che a un tratto non vuole sapere più nulla. Adele che legge il Gabbiano Jhonatan Livingston e mette via Stefano Benni, Adele che mette la stessa maglietta per una settimana, Adele che non cura più i capelli e che un giorno torna con la testa quasi rasata, Adele che non telefona più. Adele col rosario sotto il cuscino, Adele con un’edizione delle Paoline sui conventi, Adele con un opuscolo sull’ordine delle Clarisse di Santa Brigida, Adele che un giorno torna a casa e dice: “Mamma, prendo i voti”.
Mesi di tormento, di telefonate, di consigli del suo amico psicologo, di “dove ho sbagliato”. Pianti contro sorrisi, la consolatrice consolata, bufere contro laghi alpini. Muri di gomma, rabbia, impotenza, frustrazione. Adele risponde soave: “Sono stata chiamata, mamma. Non puoi capire. Sono stata chiamata. Non posso resistere”.
Adesso è lì. Per capire.

L’ufficio sembra quello di una delegazione comunale. Due scrivanie di metallo con la formica, due telefoni, una tavolino basso col computer, la statua della Madonna sulla scrivania più grande dove siede suor Maria Letizia, la responsabile del Noviziato.

- Venga, venga mia cara. Si sieda pure. Ehh cara signora, qui viviamo dell’essenziale. Non ci sono molte comodità ma, come dire?, abbiamo altri interessi.

Ha gli occhi verdi trasparentissimi, la fronte spaziosa solo un po’ coperta dalla fascia bianca dalla quale esce qualche capello di un rosso incredibile. L’incarnato chiarissimo, un naso che sembra scolpito da Fidia su una bocca che l’assenza di trucco sembra disegnare ancora meglio in un ovale perfetto. L’abito nero largo non impedisce che il suo corpo parli di forme che non è possibile nascondere. E’ seduta ma a Laura pare più alta della media. Le sue mani giocano con il cordone nero della cintura che finisce con una croce di legno. Sono mani sottili ma forti, le nocche dividono le falangi senza costituire discontinuità, sottile venuzze le attraversano e i palmi danno la sensazione di essere assolutamente lisci. Le unghie corte ma curate.

- Allora, la nostra Adele…
- Eh sì. La… vostra Adele. Era la mia Adele
- Signora Benanti… posso chiamarla Laura?
- Ma certo
- Laura allora… Lei è una persona colta, ha uno sguardo intelligente. Immaginerà di certo quante volte in questa stanza le discussioni con i genitori delle novizie sono cominciate così. E saprà anche che Adele, se deciderà di continuare, non sarà sua ma neanche nostra. Sarà di ben altro Marito…
- Sorella, mi risparmi il catechismo, per favore. Anche lei ha occhi intelligenti, a occhio e croce abbiamo la stessa età e dunque non le mancherà esperienza. Lei sa perfettamente cosa può succedere in una casa dove un giorno arriva un fiore di ragazza e ti dice che vuole farsi monaca.
- Ormai ci chiamano suore, signora. Ma se chiamarci monache la fa star meglio, faccia pure. Ho smesso di impressionarmi tanti anni fa.
- Sì, ha ragione. Mi scusi. Ma sono ancora sconvolta. Non è tanto… non è per il fatto che… sì insomma: non ero preparata a questo
- Questo lo posso capire
- Già, ci si chiede sempre “dove ho sbagliato”? Ma poi si riflette. Sbagliato? E perché mai? Prendere i volti è un trionfo del Bene mica la orribile deriva del Male. Ma una figlia suora è sempre considerata una perdita. Come se morisse, non so se mi spiego. Mi dispiace ma è così
- La capisco. Lei ragione per altre linee. Il Signore si incontra nei luoghi più impensati. Mica solo in chiesa. Sua figlia l’ha incontrato. A che serve chiedersi dove? Anche se lei lo sa bene. Adele, dico.
- Ecco suor Maria Letizia. Questo verme mi sta scavando. Quando? Come? Perché? Io devo capire. Non avrò pace fin quando non avrò capito. Adele ha diritto alla sua. Io alla mia.
- Non le ha parlato?
- Oh si, tanto, ma tanto…notti intere. Mi ha spiegato tutto, mi ha raccontato tutto. Tranne l’inizio.
- E si è mai chiesta perché?
- Me lo chiedo in continuazione sorella. Ogni istante della mia vita…
- E non è riuscita a darsi una risposta Laura? Davvero? Lei mi delude….
- E che risposta devo darmi? Certo si pensa sempre ai contesti di famiglia. La separazione, le carenze affettive ma, vede, noi abbiamo cercato di scaricare su di lei il minimo. E sembrava funzionasse. Col mio ex marito siamo rimasti in buoni rapporti. Lui, nei limiti del suo lavoro, si occupa di noi, si occupa di Adele. Cioè si è occupato di Adele.
- E lui, il suo ex marito, che dice di tutto ciò?
- Niente! Non dice niente e questo mi fa impazzire. E’ come se fossero complici. Come se mi nascondessero qualcosa.
- Qualcosa che lei non sa o qualcosa che lei sa e non vuole ammettere di sapere?
- Non ho capito sorella…
- Lei di cosa si occupa Laura?
- Sono architetto sorella. Mi occupo di arredamento. Perché?
- La sua vita… com’è?
- La mia vita? Normale… nei limiti della situazione. Il mio lavoro mi lascia tempo libero.. sto molto in casa, ho qualche amica. Ahhh, capisco….No sorella. Non ho un compagno dopo la separazione
- Sì Adele me lo ha detto
- Ah sì? E che altro le ha detto?
- Lei è sicura di conoscere bene Adele?
- Ma certo! Vuole che non conosca mia figlia? Noi siamo molto legate. Da sempre
- Certo, immagino…
- Non occorre che immagini. E’ come le dico
- Eppure…
- Eppure?
- Eppure Adele dice che dopo la separazione credeva di conoscere una mamma per scoprire che non conosceva Laura…
- Ma…non capisco…
- Eppure è così semplice… E’ sicura che non ci sia nulla da raccontare?
- Io non… Cioè, proprio non capisco che intende
- Oh, io sono sicurissima di sì, invece. Ora, qui: è il suo momento Laura.


Tunnel buio, la penombra del soggiorno in un pomeriggio d’estate, Michele lontano mille miglia, volato a primavera come una rondine che torna al caldo ma senza la prospettiva del rientro invernale. Depressione, silenzio. Solo il brusio indistinto della musica che viene dalla stanza di Adele. Noia, frustrazione. Caldo. Finestre aperte. Caldo. Ventilatore acceso. Caldo. Ma perché questo caldo così asfissiante? L’aria si muove, le tende svolazzano. Caldo. Sarà un preavviso di menopausa? Le caldane che segnano il confine tra la vita fertile e il dopo? Caldo. Poltrona di stoffa fresca ma che sembra bollente. Abito leggero, sottanina da casa appena indossata sul corpo nudo. Quel corpo che non conosce, riflette. Quel corpo efficiente: polmoni che respirano, cuore che batte, cervello che funziona. Quel corpo che ha dato la vita, quel corpo che sente come si sente un altro corpo non troppo vicino. Si guarda, si sdoppia, si guarda. Michele sopra di lei. Sempre sopra, mai il contrario. Michele che le preme i seni grandi, le aureole lisce senza mai un’increspatura di desiderio. Michele sopra di lei. Doverosamente. E lei sotto di lui. Doverosamente. Quel corpo che dilaga sulle lenzuola azzurre ma senza grandi movimenti, senza sospiri. Quel corpo che accoglie Michele come un estraneo, le pareti asciutte e doloranti che hanno bisogno della sua saliva per lasciare scivolare dentro suo marito. Quel corpo fatto di occhi che guardano quelli di Michele, velati da un turbamento evidente. Perché lui lo sa. Quel corpo che si lascia vivere, che nulla rifiuta ma che nulla dona. Doverosamente.
Laura in poltrona, la sottanina indossata sul corpo nudo. Ma che sa del suo corpo? Quel neo accanto al capezzolo sinistro. Sì dovrò farlo vedere alla dermatologa. Macché, non serve: è sempre uguale, non c’è pericolo. Quel corpo fatto dei muscoli dell’addome piatto. Si stanno rilassando? Laura si appoggia una mano sul ventre, sente rassicurata la carne dura, li tende. Sbagliato. Il tocco e la contrazione non restano lì. Scivolano come un olio incontrollabile lungo le valli sinuose che portano giù, tra le gambe. No, no, no…. Ma suvvia… alla mia età… no. E invece sì, la mano che scivola, la mano che trova, la carezza inusuale, l’umido che quasi la sorprende. La stoffa della poltrona sempre più calda, quella della sottanina ancora di più e che prende vita propria per sollevarsi a scoprirla, una coscia sul bracciolo, il suo piacere esposto, la sua mano decisa, pochi movimenti prima di sentire i muscolo che si tendono, il bacino che si protende, il respiro che si spezza, la mandibola che si serra, il capo che si reclina all’indietro mentre i seni sembrano scoppiare. Poi la calma stupita, i pensieri in fuga, lo sguardo su un territorio sterminato, un mondo parallelo.
Da quel giorno Laura percorre tutti i sentieri da sola. Compra libri, va in Rete a zonzo per siti. Guarda, osserva, si placa ormai molte volte al giorno. Poi è il tempo dei messengers, delle chat. Indaga sull’articolazione del piacere, scopre l’inesauribile ventaglio delle possibilità. Piano piano si addentra nella foresta. Webcam, contatti, telefonate, i primi incontri, l’inerpicarsi lungo tutte le ramificazioni. E conserva. Conserva ricordi, foto, testi, filmati. Conserva tutto nelle cartelle segrete del suo computer, e in quelle ancora più segrete della sua memoria dove registra, cataloga, commenta ogni incontro, ogni sensazione nuova.
Mesi e mesi di attività frenetica. Adele ascolta sempre meno musica, il suo sorriso solare si vela di nebbia che lo rende malinconico. Ma tutto questo Laura non lo sa. Laura conserva nelle sue cartelline e senza accorgersene scrive il suo personale diario degli abissi. Tiene la nota delle esperienze e controlla le caselle bianche, quelle che ancora non ha riempito, con la fretta di riempirle. E cerca come, dove, quando con una voracità compulsiva.

- Ma come poteva pensare che Adele non si sarebbe accorta di nulla?
- Non lo so, sorella. Credo che non mi importasse granché
- Era così più importante perdersi?
- Io non mi sono perduta. Anzi, mi sono ritrovata
- Laura lei ha trovato l’Inferno e lo ha scambiato per il Paradiso
- Ma che ne sa lei dell’Inferno sorella? Lei se ne sta qui, lontana dai clamori, dalle trappole. Qui tra le vigne e nel silenzio in quest’anticamera del Paradiso che per lei non avrà sorprese. Che ne sa dell’inferno così com’è circondata da angeli come Adele? Lei non sa nulla dell’Inferno, delle sue fiamme che forse bruciano ma certamente riscaldano, delle sue lusinghe affascinanti, dei tormenti che ti infligge al prezzo del piacere…
- Lei non sa di che parla Laura. L’inferno passa anche da qui. Pensa davvero che qui non ci siano tentazioni? Pensa davvero che una cella monacale, come la chiamerebbe lei, sia come una camera blindata dove riusciamo a trincerare un’estasi senza tormento? E’ lei che non ha capito, che non sa. Le sento io le sorelle quando attraverso il corridoio delle camere. Lo chiamo il Tunnel dei Gemiti, lo sa? L’unica cella silenziosa è quella di Adele. Neanche la mia…
- Neanche la sua sorella? Lei, suor Maria Letizia, una leggenda del suo Ordine, quella che si occupa delle novizie…è una confessione pesante quella che mi sta consegnando
- Ne ho chiesto una altrettanto pesante a lei, lei non si è tirata indietro e questo è il mio contributo alla discussione. D’altra parte Laura, non siamo poi così diverse per quanto questo le possa sembrare incredibile. Anche io ho avuto i miei sentieri da risalire, sa? Ho preso i voti a 29 anni, non a 18… E sino a 29 anni non sono stata chiusa in un eremo.
- Oh, certo, suora o no, lei è pur sempre una donna e può quantomeno comprendere il mio punto di vista anche se lo rifiuta.
- No, no, non è questo. Qui tutte sappiamo. Ogni notte attraverso il Tunnel dei Gemiti, mi fermo davanti a ogni porta senza aprirla, ascolto e mi prendo la mia porzione di peccato. Perché non resto insensibile, mi creda. Mi turbo. Ne più e ne meno di lei. Siamo esseri umani, dopotutto. Nasciamo peccatori e viviamo per redimerci come dice il nostro motto. Ma la strada è lunga e bisogna percorrerla fino in fondo…
- Suor Maria Letizia…
- A proposito, sa come mi chiamano le consorelle? Suor Malizia. E’ quasi un anagramma del mio nome nel Signore. Ma non solo…
- Suor Malizia…. Ah ah ah…. Mi perdoni se rido… è così… così… così singolare!
- Ah, non c’è dubbio e non mi da fastidio che lei rida. Le si illumina il volto quando ride. Dovrebbe farlo più spesso
- Davvero suor Malizia? Anche lei ha un bel sorriso anche se del suo volto, quasi, si vede solo quello e gli occhi. Ma bastano.
- Bastano a cosa Laura?
- Bastano a capire che lei deve essere stata una bellissima ragazza
- La bellezza non ci interessa più. L’abbiamo lasciata laggìù, oltre i confini della collina, dove vivono gli Altri. Ma sì, ero bella. Così dicevano almeno.
- No suor Malizia. La bellezza ce la si porta dietro. Come la bruttezza. Poi ci si convive in un modo o nell’altro
- Lo sa, Laura, che qui non ci sono specchi?
- Ma dai… davvero?
- Vero. Niente specchi. Anche se ogni tanto sorprendo qualche sorella che si specchia nei vetri delle finestre…
- Ah ah ah, suor Malizia…la vanità è un peccato duro da reprimere, vero?
- Il più duro per chi ha rinunciato a guardarsi
- Io non potrei vivere senza guardarmi. Lo faccio sempre. Poi, avrà capito, mi piace anche se mi guardano. Sono una vanitosa a tutto tondo…
- Sì Laura, ho visto. E se è vero che l’occhio ha la sua parte, con lei l’occhio è gratificato di una parte ben consistente
- Mi sta facendo un complimento suor Malizia?
- Diciamo che è un omaggio alla grandezza del Creato. La vanità è un peccato ma la bellezza è Grazia di Dio
- Ne sono lusingata suor Malizia. Davvero.. Ma… ah ah ah, mi vengono certi pensieri veramente sorprendenti
- Me li dica Laura
- No no, assolutamente. Solo una sciocchezza
- Sì? Forse è proprio sulle sciocchezze che il Diavolo affila il suo forcone..
- Beh… mi è venuta una curiosità assurda date le circostanze. Ma ho scoperto che in realtà è una cosa che mi sono sempre chiesta.
- Su, coraggio Laura, chieda pure
- Ma le monac…. cioè le suore usano la biancheria?
- Ah ah ah ah…. Ma certo Laura. Siamo donne anche noi. Pensi a quando abbiamo il ciclo. Non si può fare a meno della biancheria. Naturalmente non badiamo certo all’eleganza ma alla funzionalità
- Mi scusi suor Malizia, questo va bene per le….ehm… come posso dire…
- Le mutandine?
- Ecco sì. In quel caso capisco il suo discorso. Ma il reggiseno, ecco, il reggiseno lo usate?
- Ma che curiosona Laura….beh, come tutte. Alcune si, altre no. Mica c’è una regola. Le Regole per noi sono qualcosa di più importante
- Si certo, questo lo capisco. D’altra parte con l’abito che indossate non dovete certo porvi il problema di sostenere il seno o stringerlo o modellarlo…
- Laura, lei sa veramente poco delle suore….il peccato, Laura, ricordi: il peccato
- Non capisco suor Malizia
- Non c’è nulla da capire. Siamo donne anche noi le ho detto…
- Sì, sì. E non è vero che le suore sono tutte coi baffi! Ah ah ah
- Dicono così??
- Sì, suor Malizia. Ma lei non ne ha, invece..
- No, non ancora
- Tornando al discorso di prima… quindi: reggiseno si o no?
- Io no
- Lei no?
- No, io no
- Avrei detto il contrario
- Davvero? E perché?
- Non so, mi sembrava…ehm… d’accordo: a guardarla sembrava troppo alto per essere senza
- La natura, Laura, è stata generosa e finora mi ha risparmiato l’uso di altri legami che non siano quelli della mia Regola
- Legami?
- Certo
- Che genere di legami? Fisici?
- Anche
- Ma dai… lei porta il….
- Cilicio, sì. Tutto il giorno. Lo tolgo solo la notte
- Ma lo sa che non ho mai capito esattamente cosa è il cilicio?
- E’ una sorta di cintura di lana ruvida da portare intorno alla vita o alla gamba -con dei nodi o, in qualche caso, delle punte non acuminate, che premono cioè sulla pelle senza penetrarvi
- E lei, se posso chiederlo, quale usa?
- Guardi lei stessa

La suora si alza dalla poltroncina, si mette davanti a Laura ancora seduta sulla sedia. E’ davvero alta, statuaria e l’abito non riesce a nascondere la prepotenza del seno. Ha i piedi nudi vestiti da sandali di cuoio. Laura non aspetta. Si china a prendere i bordi della veste e li solleva con gesto deciso. Suor Maria Letizia non indossa la biancheria ma i suoi fianchi sono cinti da una sorta di corda interrotta da nodi e dentro i nodi sono intrecciati quelli che sembrano piccoli ossi di pollo con le punte arrotondate. La cintura non è stretta ma scende sin quasi l’inizio dell’inguine, la pelle sotto è solo leggermente arrossata. Suor Malizia si gira. La cintura le cade sulle natiche piene che sembrano scolpite. Laura è rapita. Adesso è la suora a tenersi alto l’abito per consentirle di guardare

- Ecco il mio cilicio Laura. Anche se non è la versione completa
- Come sarebbe?
- No, c’è una versione un po’ più complicata.. le faccio vedere


Si allontana da lei lasciando ricadere l’abito, gira attorno alla scrivania, apre un cassetto e prende qualcosa. E’ un breve tratto di corda coi nodi e senza le punte. Ad ogni capo del nodo c’è un piccolo gancio.

- Mi aiuti Laura, per piacere


Laura prontamente solleva di nuovo l’abito e suor malizia aggancia una delle punte sul davanti del cilicio. Adesso il tratto di corda pende davanti a lei che porta una mano dietro la schiena, si abbassa un po’ aprendo le gambe e prende l’altro capo della corda coi nodi per agganciarla dietro. Adesso la corda le passa attraverso il sesso con i nodi ruvidi che subito si insinuano nella fessura.

- Ecco il cilicio che preferisco. Lo chiamo Tormento ed Estasi

E’ ancora in piedi, Laura le tiene ancora sollevata la veste, passa le dita tremanti su quel tratto di corda nel punto in cui si immerge nella vagina.

- Aspetti Laura, deve capire bene come funziona. Un attimo solo

Si allontana da lei e con un movimento rapidissimo fa cadere la veste. Resta solo con la fascia e il velo in testa e i sandali. Laura la guarda con la bocca asciutta mentre le si avvicina ancora con l’inguine all’altezza dei suoi occhi. Automaticamente torna ad accarezzare il tratto di corda, con le dita allarga un po’ le labbra della vagina per vedere i nodi lucidi di umori, ne segue il percorso fin dove può, poi la fa girare e continua allargandole le natiche. Si accorge che il nodo sull’ano è doppio e che la piccola circonferenza rugosa è tutta arrossata.

Suor Malizia non si muove, resta in piedi ferma. Laura si solleva, è alle sue spalle, scosta il velo che ne ricopre una spalla, la fa passare oltre la spalla sul davanti per guardare la schiena nuda. Vista così da dietro sembra la cassa armonica di un violoncello tanto sono larghi i fianchi e stretta la vita. La pelle chiarissima contrasta con i colori severi dell’ambiente e la pelle lattiginosa dei piedi contrasta con le fasce dei sandali. Laura appoggia le mani sullo scapole, comincia a massaggiarle piano allargando progressivamente il giro delle mani. Le fa scendere lungo i fianchi e le fa risalire di fianco insinuandosi sotto le braccia fino ad arrivare alla piega del seno che sporge dalla sagoma del dorso. La pelle delicatissima che sente sotto i polpastrelli la induce ad avanzare esplorando quei globi di carne soda e vellutata. Non ha visto i suoi capezzoli ma subito le sue dita li incontrano come fossero un ostacolo invalicabile tanto sono erti e consistenti. Le sue dita cominciano a giocarci piano con tocco leggerissimo che va facendosi viavia più deciso ed energico. Suor Malizia si abbandona un po’, le ginocchia hanno un impercettibile cedimento e sente la sua schiena aderire a lei. Si allontana un poco, tira fuori i bordi della camicia dai pantaloni e con una mano comincia a sbottonarla mentre con l’altra continua la carezza sulla schiena della suora. La camicia raggiunge l’abito di suor Malizia sul pavimento. Laura Infila la mano nella coppa del reggiseno e tira fuori una mammella gonfia con l’aureola piena delle rughe dell’eccitazione alla base di un capezzolo dritto e appuntito. Si prende il seno con una mano, lo stringe in punta e comincia a disegnare ghirigori col capezzolo sulla schiena della suora. Sente il suo respiro affannarsi, comincia a spostarsi sui piedi appoggiando il peso prima su uno poi sull’altro. Il motivo è subito chiaro: in questo modo le natiche si strofinano tra loro e il nodo del cilicio a contatto con l’ano comincia a fare il suo lavoro di erosione lenta. Laura toglie i pantaloni ma rimette le scarpe chiuse ma con i tacchi piuttosto alti. Fa girare suor Malizia e la guarda. Grazie ai tacchi i loro occhi si fronteggiano
In quegli occhi verdi c’è una tormenta. Hanno perduto di trasparenza e adesso sanno solo brillare e nascondere. Le sue labbra sono come più gonfie, la pelle tesa a nascondere le piccole rughe delle labbra in riposo. Sono dischiuse pochi millimetri e Laura si sente invitata ad appoggiarvi le sue mentre i seni vengono a contatto, i capezzoli cominciano a fare conoscenza, le mani appoggiate sulle spalle. Le bocce adesso sono incollate le labbra pressate le une contro le altre, i nasi che si sfiorano, le narici che fremono e si allargano per poi sgonfiarsi e allargarsi ancora. Boccheggiare è stupendo quando è l’amore che prende il posto del fiato.
Le lingue saettano all’improvviso per effetto di una decisione quasi concordata e invece assolutamente naturale e coincidente. Quasi si scontrano infatti pressandosi larghe l’una contro l’altra. Poi scivolano e ognuna trova la sua strada nella bocca dell’altra mentre le mani cominciano a muoversi. Laura le fa scivolare lungo la schiena sino al cilicio che afferra con le dita per tirarlo su. Sente Suor Malizia avere un sussulto perché i nodi l’hanno violata, si sono serrati nella sua carne. La vede chiudere gli occhi come in estasi. La vede cadere in ginocchio davanti a lei.
Poche persone sanno stare in ginocchio come una suora, una posizione raccolta, i piedi a squadra, il busto ritirato i seni che pendono. La vede aprire la bocca a pochi centimetri dal suo sesso e cominciare ad aspirare come se la volesse svuotare dell’aria che la vagina può contenere. Laura si apre con le mani, serra gli indici alla base del clitoride per farlo sporgere e porta avanti il bacino fino a fare in modo che il bottone si insinui tra le labbra di suor Malizia. Che comincia a lapparlo con la lingua piatta quasi volesse farne un piccolo piercing di carne. Poi il lento lappare prende il ritmo sempre più veloce che da inizio all’ultima tappa. Laura comincia a tremare, comincia a muovere il bacino avanti e indietro quasi a colpirla sul viso. Suor Malizia adesso è ferma con la lingua fuori dalla bocca come una foglia di carne un po’ arricciata sui lati. Laura ci sbatte ritmicamente contro tenendo il sesso aperto con le mani fin quando le sue anche cominciano a fremere, le sue spalle a tremare, i suoi capezzoli a corrugarsi e la sua bocca a gemere sempre più forte, sempre più forte sino allo spasmo finale tutto vissuto sulla lingua della suora che diventa una canaletta che convoglia i succhi di Laura nella sua bocca.
Restano così per qualche lungo minuto… poi si mettono in piedi. Sono una davanti all’altra, non si toccano, si sfiorano solo con gli sguardi mentre le labbra si arricciano in sorrisi complici e gentili. Suor Malizia passa la lingua sulle labbra. Laura pure. Adesso le loro mani sono intrecciate e ingentiliscono la passione che va tornando negli argini mentre fuori ormai trionffa una luce abbagliante che smentisce l’alba brumosa. Una cicala inizia a cantare.
Si rivestono senza parlare. La suora torna dietro la spartana scrivania.

- Laura, può stare certa che avremo cura di Adele
- Sì suor Malizia. Nel Tunnel dei Gemiti?
- Sì, anche lì…
- Lo sa che uscita di qui dovrei andare dal vescovo a dirgli di venire qui?
- Vada pure. Lui viene una volta alla settimana….
- Non mi dirà che….
- Il Vescovo è un uomo pio. Lo sa che è il Vescovo più giovane d’Italia? Un personaggio davvero carismatico. Giovedì prossimo ci porterà i nuovi cilici…
- Ma guarda un po’…..
- A proposito… credo che un po’ di penitenza non le farà male. Ecco, mi permetta di regalarle questo cilicio. E’ uguale a quello che indosso e sono sicuro che la sofferenza che le provocherà le darà un gran sollievo. All’anima.
- Non posso rifiutare Suor Malizia. Adesso vado. Mi dispiace non restare a pranzo. Ma forse è meglio che non veda Adele. Mi scusi con la sorella che mi ha accolto.
- Suor Fontana?
- Non so come si chiama. E’ bassina, rotondetta..
- Sì, suor Fontana. In realtà è suor Michelina ma la chiamiamo così. Quando è al massimo del Peccato è una fontanella…
- Ah…. Capisco. Sono frastornata suor Malizia
- Ci pensi su e torni a trovarci
- Lo farò
- E se vuole potrà anche restare….
- Ma prima vedrò se il cilicio mi aiuterà a redimermi
- E’ cosa buona e giusta. Il Signore la protegga
- E così faccia con voi

Il tunnel dei Gemiti. Suor Malizia bussa alla porta di una cella. Adele le apre, ha la testa nuda ma indossa l’abito. Una bacinella su un treppiedi accanto al letto. Suor Malizia entra, le si avvicina, le prende una mano tra le sue

- E’ venuta tua madre poco fa….

Un’ombra passa sul volto della ragazza

- Non ti crucciare. E’ andato tutto bene. Ha capito. Le ho pure regalato un cilicio. Ma quello come il mio. Su stai serena. Hai tenuto il tuo cilicio come ti ho detto?
- Sì madre. Come avete detto
- Bene, dammelo adesso

Adele solleva l’abito e scioglie la cintura che tiene un lungo cilindro di legno che ha passato alcune ore dentro la sua vagina. Lo porge a suor Malizia

- Brava Adele, diventerai un’ottima Superiora. Adesso mettiti nuda e preparati a soffrire. Perché è la sofferenza che porta alla redenzione. Poi c’è solo l’estasi.



Narratore
14 ottobre 2005