Nota di vetro

di  Nessuna

 

 

  Rumore.
Ovunque.
Si posa come fosse neve sulle cose, formando uno strato compatto, una coperta lucida che avvolge ogni cosa, persino i miei pensieri, ed io li perdo, uno dopo l’altro, impossibili da afferrare, perché troppo veloci, come una donna che corre lontano, fuggendo da un volto o da un desiderio. Mi sporgo sul muretto per guardare di sotto, i seni si gonfiano tra respiro e mattone, tra vita e contatto. Sotto di me scorre il fiume, e mi pare incredibilmente muto, l’unica cosa che non possiede voce questa notte a Torino. L’unica, insieme a me.
Mi sporgo di più, e mi prende un odore di marcio, di urina e di piante. Non capisco perché ma mi piace. E ne annuso ancora. Se fosse solo questa l’unica cosa che di me non comprendo. Non so, per esempio, perché sono qui. O meglio ne conosco il perché superficiale, il perché che è risata, sorriso e rumore, ma vi è una spiegazione più buia, che striscia che sa di marcio e di urina ed è certamente silenzio.
Dieci giorni fa, con le amiche si parla di sesso, non è la prima volta che lo facciamo, anzi è una volta come tutte le altre, un discorso che brucia e si consuma sulle nostre sigarette, che diventa cenere nel piatto, parola dopo parola, in confronti che in tanti anni son sempre gli stessi confronti privi di intelligenti, o almeno variabili, conclusioni .Poi salta fuori la provocazione di Daniela, che un uomo se l’è comprato. Proprio così dice, come parlasse di un outlet del piacere. E le è piaciuto. Ed io che ho fatto? Zitta zitta l’ho copiata, senza dividere la confidenza dietro l’ennesima sigaretta.
Eppure quanto sono arrivata vicino a tirarmi indietro, quando mi sono confrontata con quei volti che mi si proponevano uguali nel sorriso ammiccante, e vestiti più in profondità di una dolcezza strana, di un senso di indifeso, che pareva così in contrasto con i loro tratti di uomo sono arrivata a pensare di lasciar perdere. Che tanto non era mica l’unica cosa della mia vita che abbandonavo a metà, nel momento in cui mi si offriva carica e fertile di promesse, come un pesca in estate. Era che non riuscivo a non pensare al fatto che fossero uomini nati da altre donne, da madri che li avevano amati, fratelli di donne che li avevano creduti invincibili, compagni forse di altre che li avevano chiamati con il nome che ha l’amore. Ed incredibilmente non per loro, ma per rispetto verso quella femminilità muta che da qualche parte, nella loro storia viveva, stavo per cancellare tutto, progetto e fantasia.
Poi vedo lui.
E decido in un istante.
E chiudo nel cassetto le considerazioni fatte poco prima, e le lascio lì, in compagnia di carte scritte a metà, e di tutto ciò che un giorno finalmente sarò.
E così sono a Torino stanotte, perché pare che funzioni in questo modo, un incontro di persona, pelle vicino a pelle, che ancora non è contatto, ma è il sabato del villaggio del piacere.
Sorrido un po’ impietosa pensando che mi sono cambiata mille volte stasera, mille abiti che mi restituivano un’ immagine di me troppo diretta e precisa, troppo uguale a come mi disegno quando chiudo gli occhi, o quando mi vedo da fuori, come in un film. Alla fine ho deciso camicia e gonna anche se tutto ciò che ora sento, è l’elastico delle autoreggenti, che mi stringe le cosce, come fosse già un inizio di promessa.
Mi sporgo ancora di più, mentre rispondo al cellulare, ed il suo nome mi compare, in lettera diligenti, in fila una dopo l’altra. E questa ostinata suoneria mi pare urlare quasi il mio desiderio di non essere me stessa stanotte, di abbandonarmi lì, vuota come uno dei miei mille abiti smessi, per indossare un nuovo colore, e vivere poche ore come fossi un’altra. E chiunque sarò, sarò felice di non essere chi sono.
“Ciao sono Andrea”
Sì, lo so.
“Senti sei già arrivata? “
“Sì ho parcheggiato da dieci minuti, sono vicino al cartellone degli autobus come mi avevi detto tu e…”
Mi interrompo una mano mi sfiora il bordo in pizzo delle calze, un tocco tanto leggero da essere ancora più sfrontato, ed i seni mi si gonfiano tra il respiro ed il mattone che mi pare ora di aver ingoiato, tanto mi sento lo stomaco diventare un pugno chiuso al centro di tutto ciò che sono.
Mi volto, è lui.
Il lui che è la foto.
“ti sei sporta un po’ troppo – sorride poi allunga una mano - che facciamo ci presentiamo?”
“Anna” butto fuori col respiro
“Andrea - ride di gusto- vieni andiamo a sederci in un bar, così parliamo con calma”
Annuisco e gli cammino affianco, il rumore intanto attorno continua ad avvolgere tutto e a lasciare solo me incredibilmente nuda.


Due bicchieri.
Il vino è goccia sul vetro. Mi passo una mano sul viso, e guardo Anna. La guardo dritta negli occhi e ne guardo le labbra. Intanto lei continua a giocare con il bordo un pò sfrangiato della tovaglia. E’ nervosa come fosse sotto esame e sono certo che è così che si sente. Vorrei non essere in grado di immaginare che il vestito che indossa è nuovo, o è forse il risultato di una prova lunga, difficile, un stentato tentativo di seduzione verso sé stessi, che è ciò che facciamo, quando crediamo di vestirci per piacere agli altri .Parla e mi racconta.
E’ una donna che tutto sommato si svela poco, qualche accenno a cosa fa, a dove lavora, e quindi un sospiro di sollievo che le sfugge dalla labbra quando rispondo con un “No” alla domanda che è domanda su tutte le bocche cariche di rossetto delle donne “Forse ti chiederai perché sono qui”.
“Perché Anna hai scelto me?”vorrei chiedere invece, ma taccio, lascio che sia lei a dire ciò che si sente libera di offrirmi, nessuna costrizione, siamo qua per spogliarci entrambi, di qualche vestito e di molti preconcetti.
La guardo.
Sono certo che Anna non sappia quanto sono belli i suoi i capelli che non vogliono sapere di stare al posto, e quanto lo sia con quelle rughe che paiono un pensiero leggero agli angoli della sua bocca. Anna non si conosce e non si vede .Ha mani piccole. Ne prendo una nelle mie, e mi sembra di ingoiarne la carne. Lei cerca di tirarla via, ma so che le piace il mio trattenerla, una sottile prova di forza, che è come lo sbottonare la prima asola della sua camicia di seta.
Sono certo che Anna non sappia quanto è bella questa piccola mano, con le unghie colorate di un rosso che non le appartiene, unghie tagliate corte, come le portano le donne nervose, Anna, sono certo, da bambina se le mangiava recitando il rosario delle sue paure. Forse Anna lo fa ancora oggi.
Forse
Lo fai Anna? Ma taccio ancora .E quando parlo lo faccio di ciò che è giusto io parli, perché sono qui per questo, le spiego come vivremo l’incontro, ciò che potrà avere, ciò che invece non si dovrà aspettare .Nulla di che poi, una trattativa mascherata da qualche gesto appena accennato di cavalleria.
Tace, Anna.
Tace per un po’.
Gioca con le gocce di vetro, del bicchiere, poi ne beve il contenuto, decisa e fiera.
Finalmente.
“No, grazie, ho cambiato idea”dice.
Si alza per andarsene, ma mi tocca mostrarle il conto.
Anna di certo non sa quanto è donna in questo momento.
“Il disturbo di essere venuto qui, stasera, vale cinquanta euro…o un pompino”.dico-


Mi sento cadere. Mi sento cadere l’anima, la sento mentre mi cozza dentro andando a sbattere contro qualcosa altro. Qualcosa che forse si chiama pudore o piacere. Lui mi tiene per mano, mentre camminiamo fuori dal locale, è tutta la sera che lo fa, ed io, io vorrei avere sputato colla sulla dita, per non dover più lasciare la sua.
Devo smettere immediatamente di chiedermi come io possa avere accettato, devo smettere con le domande e vivere di impulso ciò che ho deciso. Eppure vorrei che il fiume allungasse un tentacolo e mi affogasse ora.
Si guarda attorno, in questo luogo che perde in fretta ogni luce e diventa fatto di vie più piccole, di palazzi che dormono spenti, come chi li abita.
“andiamo lì”. Mi passa una mano attorno alla vita mentre mi spinge dentro un portone che mi pare una bocca già oscenamente spalancata.
Entriamo solo di qualche passo, lo stretto necessario per nasconderci dal cielo.
Si appoggia al muro, e mi spinge in ginocchio, sento che le calze si strappano sul ruvido contatto con la terra. Vorrei strapparmi via i vestiti, la pelle, tutto fino alle ossa tanto mi sento bruciare, ed invece spoglio lui, dello stretto necessario.
I bottoni dei pantaloni, mi resistono qualche istante, poi cedono.
E dietro di essi libero il suo sesso, chiaro biondo, già turgido nell’istante in cui lo prendo tra le labbra, e lo bacio appena, come baciassi una bocca, come baciassi uno sposo.
Si scioglie di lui una goccia appena sulle mie labbra, sembra quasi acqua eppure il suo sapore mi sorprende e mi affama, di un qualcosa che scende dallo stomaco fin giù, fino al ventre, tanto che se mi mettesse una mano tra le gambe ora, mi troverebbe più pronta di quanto nessun uomo mi abbia mai trovata prima.
Mi stacco, voglio impararlo, non questo uomo, ma questo sesso, di cui seguo vene e pulsazioni, toccando lievemente, anche se vorrei stringerlo tra i denti e sentirlo urlare.
Mi infila le mani nei capelli.
Non tira, ma stringe appena e questo lo fa sembrare ancora più forte. E tutto ciò che stiamo vivendo ancora più urgente.
E allora via, lo affondo dentro di me, libero me stessa da ogni vincolo e con me libero lui, mentre non penso ma prendo e prendo più che posso, questo uomo di cui vorrei soffocare, e lo sento vicino al momento che voglio arrivi, perché è l’istante in cui il mio potere su lui diventa infinito. E giunge questo momento, proprio ora, mentre mi si scioglie in bocca, a singhiozzi di calore, ed io sono dentro di lui, molto più di quanto lui non sia dentro di me.
“Anna…”sussurra.
Con il dorso della mano mi asciugo le labbra, da una goccia di lui che mi andava fuggendo.


-Ho tenuto gli occhi chiusi fin ora. E Ti ho vissuta. Il mio piacere sparisce ed io mi sento trascinato via. Lascio la presa sui tuoi capelli. Ti porgo una mano per aiutarti ad alzarti. Tremo.
Sapessi Anna come sei bella ora, con gli occhi infiammati e la bocca sporca di me.
Sapessi, quanto sei bella ora Anna, sorella mia.-


Mi incammino lenta, lungo il fiume, mio fratello Andrea mi è accanto, ogni tanto mi sfiora. Non parla, arriviamo al parcheggio e mi offre una sigaretta ed un bacio in fronte, con il quale suggella un silenzio che sa di tenerezza. Poi sale sulla macchina nuova, che altre donne come me, eppure da me, per lui così diverse, gli avranno aiutato a comprare, il rumore della sua corsa che si fa più lontano, e mi sembra il rumore stesso che fa la sua esistenza, pazza di vita ed incontenibile.
Mi sporgo di nuovo dal muretto, e getto via la cenere.
Sulle labbra ancora il suo sapore.
Respiro, profondamente, e mi stupisco di non provare nulla, non rimorso, non vergogna, solo un vago senso di piacere, che ancora si fa languore tra le pieghe della carne e del sentito.
Niente più rumore.
Tutto attorno a me si è spento con la notte, ed il mio pensiero è tanto grande da essere ovunque, un pensiero che ha la mia forma, e che con le mie scarpe, potrebbe attraversare il mondo, perché da qualche in ciò che sono, in questo corpo che si veste e spoglia di mille vestiti, senza mai sentirsi sé stesso, senza mai riconoscersi in ogni specchio in cui ostinatamente si confronta, in questo corpo che è femmina ma non sempre donna, stanotte vibra una nota diversa. Una nota così fragile che sembra di vetro, eppure limpida, schietta, tagliente per la precisione con cui si fa percepire. Io sono IO. Banalmente. Stupidamente. Incredibilmente IO. IO sono Anna. Stanotte so quanto sono bella.
E cammino ma non corro, leggera tra un silenzio e l’altro, verso un nuovo pensiero.