Ulisse al contrario

di  Penelope Bianca

 

 

  Una settimana di inferno. Ne esco spossata.
Nessuno può capire una donna che lotta tra il desiderio di far felice un’altra donna e la voglia di tenerla distante perché stanno condividendo lo stesso amante.
L’ho già vista, ci siamo incontrate , baciate e rispettate.
Lei se lo scopa quando io non ci sono.
Lei può averlo per un caffè, un aperitivo, un pranzo, una passeggiata.
Lei può averlo per qualche ora la sera che vuole, come lo vuole.

Io no.
Io sono lontana e aspetto di poter partire. Ulisse al contrario. Costretta a viaggiare per appagare il desiderio di intimità.
Costretta nel sentimento, costretta nell’istinto, costretta nell’abbandonarsi al sentire.
Questo mi consuma.
Aspettare e aspettare.
Era una volta un godimento, il saper aspettare con la gola arsa dal desiderio, quello che lui e solo lui avrebbe placato.
Quello che lui e solo lui avrebbe riempito di gioia e di sperma.
Ora no.
Ora aspettare è una tortura. E per nulla dolce.
È il desiderio che ti consuma, che ti sfonda la testa per l’attesa e squarcia la pancia in una esplosione di solitudine.
Nel frattempo si vive.
Nella normalità di tutti i giorni.

E poi arriva il momento. E per assurdo fatico a partire. Quando manca sempre tutto da mettere nella valigia. Quando quel che cerchi non c’è e non ci sarà se serve.
Quando alla fine mi arrendo e parto con l’idea che basta quel che ho.
E poi la strada che non finisce mai. Una volta i chilometri scorrevano veloci tra una telefonata e l’altra. Una volta i chilometri sapevano di voglia che cola neppure tanto lenta.
Ora sanno di muscoli contratti e di voglia arrabbiata.
Quando arrivo mi pento e incomincio a litigare.
Mi dico che se ci casca stavolta ci lasciamo e allora finisco di aspettare.
Ma non ci casca . Non mi molla. Succede di tutto, ma non mi molla.
E io non riesco a partire da sola. E se mi alzo per prendere la porta e andarmene, da femmina offesa, mi prendo un ceffone e io non spero altro che in quello perché glielo ritorno.
E allora la lite non è più a parole e razionalità assurda.
La lite è concreta e tangibile.
La lite è animale e per questo più vera.
Si va avanti a morsi e graffi.
Sapendo che quei morsi e quei graffi risvegliano la voglia di una volta.
Sempre più animali e per questo più puliti.
Se mi incula mi incula sul serio e non ci pensa due volte a tirarmi i capelli mentre lo fa.
E io piego la testa e gli mostro la gola. E lui morde la gola ma stavolta più piano. Ed è già bacio che sfiora le vene e non le vuole più sfregiare a parole.
Il mio sangue che pulsa odora di voglia e non più di paura.

E quella troietta che piscia diventa di nuovo il nostro giocattolo.
Quella che si fa scopare quando io non ci sono ed è diversa da me.

E a letto la diversità è evidente.

Nelle forme.
Lei esile, fragile, pallida, sfuggente, gatta.
Io piena, sfacciata, certa, scura e ubbidiente.

Diverse nel venire.

Lei piscia di continuo mentre gode.
E si abbandona sempre alle sue mani, alle mie. Concessa in maniera ostentata.
E dice di non essere esibizionista. Ma si alza il vestitino mentre si fa infilare tre dita nella fica per venire piovendo voglia, perché io possa ammirare il tutto.
Si corregge. E’ un’esibizionista discreta.
L’avrei sculacciata come meritava, quella esibizionista discreta che non smetteva di allargare le cosce .
E’ un riflesso automatico, mi ha detto più volte : nuda, stesa a pancia sotto, le tocchi il culo e lei apre le gambe.
E dice di essere timida.
Al primo dito infilato già lo alza quel meraviglioso culo.
E poi bagna e bagna di nuovo.
Prendo l’asciugamano l’ha ripetuto come una litania per una notte intera. Bastavano pochi minuti e ricominciava a pisciare.
E quando non ne può più piange di gioia.

Io tremo di continuo mentre godo.
Vibro e tremo e non voglio controllare.
Non ho più paura nel farlo vedere.
Afferro con le mani il metallo della testiera del letto solo per sentire il freddo nei palmi e guardare che effetto fa venderlo appeso alla mia voglia, quel letto.
Ma già sono persa. Ed è mio l’insensato.
Distese di fianco una all’altra lui sta facendo venire me, lei mi guarda e si masturba mentre la tocco anche io.
La voglio stretta a me, vicina mentre mi perdo in quel momento.
Che senta, che goda attraverso di me.
La stringo mentre mi sfonda.
Mentre le mie labbra vacillano in parole inesistenti.
Sono io ad essere completata, loro lì per permettermelo.

Ma poi io riparto di nuovo .
E di nuovo sono lontano.
E di nuovo aspettare e aspettare.