La mia saliva ferrosa

di  Rossofuoco

 



La sala illuminata sola dalle fiammelle delle candele ci aspetta.
Una leggera musica accompagna i nostri passi, mentre entriamo e di colpo ogni brusio di sottofondo si arresta.
Non puoi vedere gli sguardi dei presenti, non sai ancora dove ti porteranno i passi che ti faccio fare lentamente dietro di me. Ti conduco con mano ferma.
Sei l’essenza concreta del mio desiderio, del mio potere, sei carne nuda, sei un corpo incatenato da usare, sei la volontà ceduta, emblema della libertà negata.
È questo che sei, mentre cammini, polsi chiusi in manette di acciaio, caviglie tenute insieme da una corta catena.
La maschera, la nostra amica dell’oblio ti isola.
Il collare di pelle e il guinzaglio ci uniscono nella distanza dei passi.
L’impalcatura è già montata al centro della sala, una serie di candele fatte mettere apposta formano un cerchio intorno alla struttura, solo noi in quel cerchio di fuoco.
Ti parlo attraverso la pelle della maschera, ti spiego che voglio legarti, senza via di scampo, ti bacio sulla fronte sulle guance e a fior di labbra ti annuncio che la tua pelle non mi basta più. Quello voglio, è il sangue che scorre sotto.
Ti parlo lentamente così che le mie parole siano un' onda nel tuo cervello.
Ti anticipo, sibillina, che nel dolore non sarai solo.
Mentre ti parlo apro le manette e le cambio con le polsiere, accorcio la catena che ti tiene le braccia tese verso l’alto e le aggancio alla sbarra sopra la tua testa. Ti libero le caviglie dalla catena e le sostituisco con un distanziatore doppio.
Sei così, bloccate braccia e gambe a formare una ics.
Senti i miei passi che si allontanano, ti guardo, orgogliosa di averti mio.
Ritorno al tuo viso per dirti che sto per cominciare, per farti sapere che saranno lunghe e dolorose carezze le mie, per rassicurati che non sarà un dolore vano, sarà per me oro ogni lacrima, ogni stilla di sangue ambrosia sulle mie labbra.
E ti lascio nel buio, mi allontano e impugno il flogger, quello morbido. Per scaldarti.
I colpi sono un crescendo d’intensità. Mi prendo tutto il tempo necessario per fare diventare ogni parte della schiena e dei glutei calda e rosseggiante.
Affiora il sangue nei tessuti e quando ti accarezzo, la mia mano è un debole sollievo, leggera frescura. Tenere carezze bugiarde diventano sempre più velocemente dei brevi e secchi colpi che ti inviolettano il culo. Voglio i segni della fiera per te stasera, artigliate profonde nella schiena. Si gonfia la pelle, ma ancora regge il sottile tessuto.
Mi avvicino. Il respiro veloce, accolgo la tua testa abbandonata sulla mia spalla, ti accarezzo, ti stringo, e ti do forza, attraverso un leggero bacio sulle labbra.
Ti avviso di stare calmo e tranquillo.
Di nuovo i miei passi che si allontanano e nel ritorno io non sono più sola.
Lei è sensuale, bellezza fattasi carne prorompente, docile, anche lei sola nel suo cappuccio, anche lei stretta nel collare, anche lei bloccata.
Si, bloccata a te, le caviglie unite alla stessa sbarra, collegati i suoi polsi ai tuoi, una catena leggera dall’anello del tuo collare tiene in tensione le catenelle delle mollette ai suoi capezzoli, ma non solo,.
Capisci, subito dopo il primo strattone che ti obbligo a fare, tenendoti la testa, che la seconda catenella è collegata al piercing che la piccola ha nel posto più dolce del mondo… Tu e non io sei la causa del suo dolore e del suo piacere.
Puoi sentire la sua pelle sulla tua, i capezzoli intrappolati che ti sfiorano il petto, i suoi gemiti e i suoi sospiri. I deliri che il dolore farà fuggire dalle sue labbra.
La bacio, accarezzo i suoi seni gonfi, mi nutro del suo respiro le succhio la lingua e poi allungo una mano sempre più in basso, raccolgo con le dita il succo che le cola tra le gambe e le porto alla tua bocca. Le spingo dentro, te le faccio succhiare, mentre con l’altra mano ti strattono il collare.
Senti gli urli soffocati di lei e sai che non puoi fare nulla. Ho  tra le mani la frusta, la faccio scorrere sul suo corpo, ti porto il manico alle labbra, e ti ordino di baciarlo.
Lo sai che adoro frustarti e stasera più che mai ho voglia della tua schiena da marchiare con lunghe strisce rosse.
Senti i miei passi che si allontanano e il primo colpo arriva leggero, poco più di un graffio ma ti fa lo stesso tendere il corpo, faccio subito schioccare la frusta in aria e capisci che non sto più scherzando. Cominci a contare i colpi e la tua voce si alza sempre più forte, stai resistendo per me, per aumentare il mio piacere nel farti del male. Cerchi di rimanere fermo.
E questo lo fai anche per lei, perché senti il suo sudore freddo che ti sfiora il torace, perché avverti il suo corpo che si tende e segue i tuoi movimenti e la sua voce più vicina della mia.
Le sue grida nella testa voglio che ti facciano impazzire.
Continuo a infierire e finalmente la pelle si lacera. Il tuo urlo più forte è una lama calda che sento dentro, in mezzo alle gambe e ancora, a salirmi fino al cervello. Appoggio la frusta e mi avvicino alla tua schiena.
Ripercorro con le dita i segni e raccolgo sulle labbra una goccia di sangue. In quella unica piccola goccia c’è tutto, ci sono io e ci sei tu, il nostro tesoro.
Sgancio lei dalle catene, da ciò che vi teneva uniti, l’accarezzo dolcemente, mentre la riconduco al suo Master.
Poi. Ci siamo solo noi due, ti bacio e la mia saliva ferrosa si mischia alla tua. Ti sgancio le caviglie, i polsi.
E sei tra le mie braccia, ti abbandoni. E scivoliamo a terra, il tuo viso nel mio grembo, i tuoi occhi bellissimi a guardarmi, solo due parole dalla tua bocca.
Grazie.
Padrona.