Color Rouge
di Rossogeranio
Come in un sogno.
Il suo piccolo volto scarmigliato riluce di fronte a me, distinguendosi tra la
folla.
Splende per fascino e ambiguità, si vede che è indipendente, che nessun sultano
la potrà mai domare.
Nell’attimo in cui la guardo, solleva la testa: è proprio lei. All’istante non
provo nulla, l’emozione mi affiora un attimo dopo e allora mi accorgo che si è
tinta i capelli, come aveva sempre desiderato, del mio stesso colore naturale:
color Rouge.
Lasciva, impudica e grintosa, con quella capigliatura vermiglia sembra una fata
inquietante e barocca di Vallejo: la pelle diafana quasi trasparente, le labbra
scarlatte che paiono stillare sangue, gli occhi di un verde senza fondo. Ha i
capelli color del fuoco, membra lunghe e un seno generoso che straborda dalla
blusa strizzata sopra i fianchi rotondi. Indossa un abito di pelle lucida nera e
stivali col tacco in cuoio, scuri e con le catene; al polso un braccialetto di
gocce di rubini e all’indice sinistro una grande fedina d’oro.
Il giorno prima, una strega dal pelo fulvo mi aveva tirato fuori dal mazzo dei
tarocchi “Il Matto”, offrendomi il messaggio cabalistico nella sfera di
cristallo, di costellazioni future di lentiggini rosse: la suadente profezia di
gelo e fuoco, la sferzata intrusione negli interstizi dei desideri.
“Ciao, come stai? Tutto bene? Scusa, ma vado di fretta, sono già in ritardo.
Magari ci vedremo presto” quasi balbetto, con il cuore guizzante in
trepidazione.
Dolore fisico e intrinseco, linfa stimolatrice di tutti i geni. Scappo via quasi
evitandola, rifugiandomi in un bar chiassoso del centro.
Due innamorati stanno abbracciati dietro la vetrina dei gelati e si baciano
appassionatamente.
Rimango sconvolta ed esco d’urgenza.
Lei è ancora lì. Mi ha pedinato.
Splende come un candelabro di rame fuso, con i capelli raccolti in una crocchia,
impaziente a gustare un germoglio riottoso, dall’apparenza fulgida e sanguigna.
Sembra una forza della natura, venefica e indomabile, demoniaca e primitiva,
senza nessuna parvenza delle debolezze femminili e umane. Uno stordimento
febbrile invade tutti i miei organi, spinta verso di lei da un’oscura forza alla
quale tento di reagire.
So che è una cagna, se le prende il capriccio, all’infelice che le capita a tiro
gli rompe anche il culo, con uno sfregio mortificante. Un collo di bottiglia
rotto infilato nell’ano: perché tutti la vogliono fòttere e alla fine striglia
sempre lei, o quasi.
Mugghia, strepita, insegue il suo delirio di fantasie: spinte, toccamenti,
barbari amplessi col fiato grosso. Una tigre smagliante: la terribile
vendicatrice.
E’ l’ultima rossa in cattività a cui non posso resistere, la reazione al suo
fascino sta per essere insolita e incontrollata.
Comincia a piovere piano e ripariamo in un giardino pubblico, nel chiosco degli
attrezzi, inspiegabilmente aperto.
Ha le braccia spalancate e s’inginocchia ad abbracciarmi le gambe di latte.
Le bolle d’aria mi indicano che c’è qualcosa di unico e appagante, nel corpo di
un danno che non si può ottenere da un uomo. Non solo le mammelle piene e sode,
ma il tessuto della pelle e l’odore premuroso, l’aurea misteriosa che emana ed
evoca il primo corpo al quale mi sono abbandonata, cibata e scaldata, tanto
tempo addietro.
La lince rossa comprende e comanda gli eventi.
La fisicità originaria, il ciuccio avido dei capezzoli, il bisogno di essere
toccata, coccolata e succhiata senza dovermi misurare, ogni volta che voglio
venire. Posso rinunciare al sogno del cavaliere in armatura per una fantasia più
nutriente, dell’inghiotto dei mielati umori dal pertugio bagnato, dopo aver
tolto l’anello e inserito l’ultimo indice nell’ano roseo e prezioso.
Mi sento pruriginosa non alla vista di un uccello eretto, ma mostrandomi a lei
ed imparare a cercarla nel suo nucleo, nella sua essenza e ritornare lì dentro
la sua natura, in una foresta aromatica in cui nuoto, nel lusso equanime che mi
sono voluta concedere.
Le sue dita mi aprono esponendo al fiato caldo la mia fessura che sembra
dilatarsi incontro e raggiungere la bocca con le labbra improvvise e succose, la
calda lingua che fruga e sigilla.
Non posso staccarmi da quella lingua e dalla bocca e dalla mia polpa dentro.
La adoro e ne rimango stregata, irretita, pronta a lasciarmi distruggere pur di
non perderla:
E’ la mia cascata di colore carminio a barriera con il resto del mondo.
Flirto con lei, con la sua vulva veemente e generosa. La credevo una sfinge, ma
non così: due corpi perlacei e infiniti, non indecenti né malvagiamente lubrici.
Un’ amante felina, pronta a dilaniare percorsi di sangue e dominio, adagiata
supina sotto di me ed io che butto avanti la testa e la bacio, la bacio e la
bacio…
Il resto non conta. Sento lo sciroppo caldo sgorgare fuori e lei me lo beve, con
la saliva e con il sudore; le sue membra ora sono piene.
Ora ho compreso perché si amano e si odiano le rosse; confinate in un proprio
ghetto ambiguo e tentatore, loro non sono mai sole. Vituperate come seduttrici
senza cuore o amanti lussuriose, rimangono vittime delle loro stesse passioni
esclusive o di un’inspiegabile ed erotica ripulsa.
Infondo, non ci s’ innamora di tutto, ci si perde in un dettaglio. Magari del
colore dei capelli.
Sta salutandomi con uno sguardo malizioso alla stazione e mi sembra un’insolenza
che qualcuno può mettere in mostra una chioma così sensuale e scarlatta, senza
minimamente scomporsi.
E’ solo un sogno, dipinto del mio colore, color Rouge.