L'araba fenice

di   Schiava d'Amore

 

Lo vedo subito, non appena varca la porta.
Il passo sicuro, lento, quasi a misurare il peso del corpo, la decisione a ponderare chi o cosa voglia incontrare.
Il suo collo è un guizzo di determinazione, lui si inoltra, si apposta, gira intorno, ruota lo sguardo da una parte all’altra. Si sposta nella sala silenzioso, fruga in tutte le tane, lui è il lupo che fiuta la preda e marca il territorio.
Ha occhi obliqui adesso, a scrutare il paesaggio che geme, lui cerca tra la carne animale la sua femmina nel branco. E lì, immediatamente davanti, nuda, nel corridoio in fondo, ci sono io e lo guardo, mentre piegata sulle ginocchia intreccio neri lacci lunghissimi dalle caviglie fin sopra le cosce.
Quando mi volto e lo riconosco, l’emozione mi immobilizza. Ogni aspettativa è l’inizio di una supplica, la felicità si fonde all’ansia. Temo che mi veda e si allontani, prolungando il suo rifiuto. Invece, non appena mi individua, prende a farsi avanti e la mia prospettiva cambia. Sono alla resa dell’agnello, la sua vicinanza è inevitabile.

“Sei già stata nell’anima della festa, vedo”, la sua voce è profonda, controllata.

Io arrossisco, come quando da bambina mio padre mi scopriva con una mano tra le gambe e con il volto nascosto nel cuscino. Arrossisco come fosse la prima volta, ma non si vede, la luce nella villa è vacua, bluastra, dilegua ovunque lungo le pareti riflettendosi sui piedi.
Mi sento divisa tra due sensazioni. Piena di vergogna, incapace di lasciare quella posizione sottomessa, così, inginocchiata, e al tempo stesso così bagnata tra le cosce, da erigere la voglia ad implorarlo, guardandolo negli occhi, alzandomi, mostrandogli sfrontata tutta la nudità offerta dal mio corpo.

Il suo sguardo mi preme contro, con intensità, mi tocca. Lui ha l’aria divertita ed animale, mi sorride.

“E ti è piaciuto?” dice, l’ironia striscia sotto le parole.
Io di nuovo abbasso gli occhi.
“Guardami”, è un sussurro impercettibile.
Lo guardo senza sapere cosa dire. Sono confusa, mille domande da fare e nessuna che sembri possibile.
“Sì, mi è piaciuto…” parlo sottovoce, resto un attimo in silenzio, e poi continuo, “… lo sai, la croce mi piace sempre, quando me ne sto legata a lungo e gli altri si avvicinano, mi toccano, con le mollette mi pizzicano dappertutto”.
Non riesco a guardarlo, parlare mi riempie di lacrime. La tensione accumulata la sento, si allenta dopo giorni, inesorabile.
Lui allora si avvicina, mi sfiora dolcemente e cambia tono, si piega su di me e mi dice: “Vale…, alzati in piedi”.
Ed io mi alzo.
Lui resta fermo un istante e mi guarda, io sento i segni dei morsetti bruciare d’evidenza come sotto i riflettori. Poi, con un movimento perfetto, mi mette una mano tra le gambe e la lingua in bocca ed io mi apro, allargo le cosce e gli rispondo, lo bacio.

“Sei bagnata troia…”, la sua voce è compiaciuta, spezzata e roca, mi eccita più di cento carezze.

Mi abbandono contro di lui, faccio per stringerlo a me, ma lui non me lo permette. Mi spinge contro il muro e infila una gamba tra le mie, mi ordina di strusciare il sesso contro il ruvido dei suoi pantaloni, mi tiene le braccia tese lungo la parete.
Io muoio di voglia e non cerco ragioni, il mio sesso si gonfia, lo sento aprirsi da solo, farsi rosso, poi livido, io struscio insistente contro il tessuto. La pelle si scalda, si lucida, il piacere mi diventa ossessivo, irritante, mi è quasi insopportabile, doloroso, al quale non mi è possibile rinunciare.
Poi lui si separa da me, dal mio respiro corto, e mi guarda, mi penetra gli occhi. Ha la bocca socchiusa, mi fa cenno con la testa, vuole che lo segua nel cuore della festa.

Io lo amo, l’ho sempre amato troppo, così vado, ripeto i suoi passi e non lo lascio andare, stringo la mia mano nella sua e mi faccio accompagnare.

Mi conduce di fronte ad uno specchio, verso la croce che amo, io guardo nel vetro e mi vedo: sono incredibilmente felice, sono lì, sono con lui, sono sicura che lui provi lo stesso.
Per questo resto tranquilla, quando mi mette in posizione, mi fa aderire al meglio con la pelle alla pelle nera delle quattro assi della croce. Mi emoziono della mia schiena inarcata, del sapermi così, vulnerabile e offerta, mentre le mie gambe restano aperte, mentre il mio ventre fa perno all’incrocio del legno ed ulteriormente mi inarca.
Mi guardo allo specchio e mi piaccio, così, un po’ inclinata in avanti, e so che lui pensa lo stesso, anche se non pronuncia parola, lui ha avidi gli occhi.
Mi eccita la cupa atmosfera, la stanza ne è invasa, mi soggioga la mente. I corpi fremono intorno ed io fremo quando lui stringe i miei polsi e con le polsiere mi blocca le caviglie sul legno.
Io sono la schiava del suo desiderio, ma lo sento il mio scendere intenso, tangibile, lo sento il mio sesso che pulsa invitante.
E lo so, mi farà male, lo so e mi piace. Con il fiato sul collo, lui mi sussurra appena che io possa sentirlo:
“Sì, ti farò male… ti farò molto male…”
Gli sorrido, i denti a tagliarmi il labbro inferiore. Provo uno strano senso d’assenza, come se non fossi presente, mi sento distante, neutra, eppure m’infiamma l’attesa, sono decisamente eccitata.
E così lo fa.

Velocemente scioglie la snake, e la lunga lingua intrecciata svirgola nera, inquieta, dalla cinghia dei suoi pantaloni ad un paio di metri da me. Ed io non vedo più altro, oltre lui che mi scioglie i capelli e li porta davanti, che tende quel nastro e benda i miei occhi. Lui mi stringe le tempie con forza, la luce guizza nel buio, ed io scatto, bruscamente contratta, alla prima fitta di dolore. Io serro le mani alle ghiere d’acciaio.
Poi lui cambia posizione, sposta la sua attenzione sul mio corpo. Le sue dita pizzicano inarrestabilmente i miei capezzoli, e a proseguire dolcemente mi accarezza, così, finché mi adatto alla nuova sensazione. E mi piace, benché già sappia che non durerà a lungo, so che l’azione a derivare sarà sempre peggiore del principio.
Ma solo quando si allontana, mi spavento, mi rendo conto della mia immobilità. Intuisco l’arrivo del momento. Il primo colpo.
Glaciale.
Nitido.
Interamente sulle cosce.
Lui scarica il colpo e il cracker rompe, mi spezza il fiato. Appena sotto il culo sento la mia carne bruciare, poi, a poco a poco, ancora di nuovo andando in giù, quando lui comincia a scendere, e ripetutamente colpisce, fino al nodo dei lacci, dove il dolore mi diventa incontrollabile, mi sfugge, in gemiti lunghi, in smorfie di sibili che si confondono ad altri. Io sento di andare lontano.
Lui fa schioccare più volte la punta, finché il dolore impazzisce impattando la schiena, finché mi diventa insopportabile, mentre dall’alto in basso stavolta, lui continua a colpire, alternando tocchi leggeri, appena avvertibili, a onde su onde che mi strappano urla ed un pianto continuo, uno sfogo liberatorio che mi impregna la benda.
Il mio corpo è contorto contro la croce, resta impedito dentro le pieghe, si inarca convulso immediatamente sopra le reni.
Finché lui si ferma, e mi concede riposo.
Io resto incapace di muovermi, ripiegata dentro me stessa, tremante, come un uccello travolto dall’uragano. Trasudo d’ansia e di linfa. Ho freddo. Finché sciolgo la stretta, libero le mani dal legno, quando le conseguenze dei colpi cominciano a crescere, in fretta, si accendono a pelle, e il dolore diluisce voluttuosamente in altro. Ormai non strillo neppure, mi piace, mi fa godere l’abbraccio del fuoco, l’ardore del cuoio, il mio sangue che affluisce intenso appena sotto la superficie.
Un’espressione da senza vergogna dipinge il mio volto.

Ma non basta, lui torna di nuovo e picchia implacabile. Stavolta raddoppia i colpi, sul culo, e non smette, insiste sfibrando tensione, finché il mio corpo s’inarca, esaurendosi, nel centro alle cosce, dove il morso prende furioso, il contatto è da subito intenso.
Rovente.
Lui contrae quella carne a se stessa, d’impulso, inaspettatamente, lui mi getta in uno stato di incoscienza.
E la mia forza cede, la mia pelle si satura all’istante.
Io non penso più nulla, solo sprofondo lontano, dal momento, dal mondo, mentre l’avverto la diga che irrompe, il calore dal ventre mentre dilaga. Io mi svuoto, ho la volontà mutilata, sento la scissione all’insistenza e allo struscio, al tocco furtivo che torna, io mi sciolgo alla punta e alla lingua sicura.
La mia carne diventa insensibile, io vibro soltanto. E ancora una volta, io mi sopporto al dolore, e a lui piace, lo so, gli piace sul serio, sono certa che gode, gli si rizza in quei minuti che mi sembrano secoli, gli diventa duro, e non può sottrarsi.

Mentre io resto muta, mi soffro immobile, io fondo d’endorfina nell’ipnosi del piacere.

“Tu, tu mi fai diventare pazzo, pazzo…, se ti trascinassi sulle ginocchia fino a farti sanguinare, se ti pisciassi sulle ferite, se ti lasciassi annegare dentro il tuo sangue tutta una notte, tu me lo lasceresti fare, tu ti lasceresti soffrire per sentirmi godere, tu sei una piccola troia nata per scopare”, di nuovo, sul collo, lui mi parla adesso, ha la voce concitata e sciolta come se fosse ubriaco, riesco a immaginarne il volto, tirato, l’espressione con lo sguardo perso in lontananza.
È una sensazione diversa, è puro potere, paradossalmente, lo sento, in questo momento, lui dipende da me.
Ma non dura che un attimo, è una sensazione che non posso godere.

“Ora ti romperò il culo lo sai, ti romperò il culo”, lui si incita, torna a ripetersi, “ti pianterò il dolore di una nuova sofferenza, ti obbligherò a succhiarlo”, lui è in pieno delirio.
Io sono ancora imprigionata sulla croce, ancora cieca, e sento lui che di nuovo mi colpisce, con la mano, sul culo. Lui mi umilia a conferma della sua intenzione. E, poi, mentre il fuoco della carne mi possiede, lui mi concede alla carezza che condanna, affonda un dito dentro il culo, e, “prendilo”, sibila, quasi dolcemente.
E poi lo stesso in bocca, e, “succhialo”, ordina, mentre il mio sesso lìquefa, lo sento, la mia vita se ne viene tra le cosce, a quel sapore dolce, vagamente amaro. Io non so resistere a questa sensazione, io non so resistere mai.

“Ti prego Michael, ti prego…”, lo supplico, ora ho la voce rotta.

Allora lui affonda di più, nel mio corpo, ancora e ancora, fa scivolare le dita lungo il canale, ripete, le fa scorrere, mi sfrega la carne viva mentre il mio sesso lo sento, batte più forte del cuore.
Poi si piazza dietro di me, mi slaccia le cinghie e la benda, mi attira a sé con forza, con cautela estrema, ed io mi abbandono a lui. Completamente. Ma se non fosse per il piacere intenso mi sentirei la testa scoppiare: la mia pelle struscia contro i suoi vestiti, brucia contro il suo torace nudo.
Lui mi tiene ferma, è sempre dietro di me, mi guida nella stanza pizzicandomi i capezzoli, “adesso te lo pianto in culo”, la sua voce è tesa, la sua erezione spinge da dietro, e contemporaneamente le mie mani afferrano il suo sesso.
Nuovamente libera, ora l’accarezzo.
Dalla base faccio mia tutta la sua consistenza, lo stringo decisa, il disegno delle vene si delinea, io sento la pressione mentre sale dentro il palmo. Lo impugno e lo percorro, lentamente e scrupolosa, a risalire, poi cambiando il ritmo. Io ruoto il pollice con ossessione fissa, lungo il bordo, sulla cerniera e sulla punta, a mano aperta fino a fare conca. Io lascio scivolare la lascivia, a proseguire, comprimendo il cazzo e il suo respiro. Recupero a ricominciare con abuso e senza, lungo l’asta e sulle palle tese, fino a scendere insinuante, con dolcezza e contenendo, fin dentro la sua desiderabile fessura.
Io lo masturbo con un ritmo lento e stanco a sentire la sua carne dura, crescere ancora, deliziosamente dentro le mie mani.
Lui mi costringe a muovermi e a piegarmi, a offrirmi in bilico verso di lui, a spingere verso la punta, e a rimanere così, ferma, per non perdere nessuna sfumatura.
Le sue labbra mi sfiorano la nuca, “inginòcchiati per terra”, mi sussurra. La sua bocca mi scende sul collo, sulle spalle, lui mi bacia ed io mi piego, m’inginocchio a terra.
Poi la sua mano è rapida alle mie, ed insieme ecco, noi guidiamo il cazzo, lui preme contro quello che io sento come un orifizio fragile e minuscolo. Ed io soccombo a quella penetrazione infame, insultante, lui mi usa ed io mi sto usando. Lui prende da me un piacere il quale mi restituisce indietro assolutamente l’intensità del piacere stesso.
È dolce, la mia dolcissima sodomia.

La mia impotenza è totale, lui mi schiaccia sotto il peso di una bestia che si contorce cruenta. Ansimando e sospirando, annodandomi i capelli, lui mi morde aggiungendo note inarrestabili al piacere.
Io sento sciogliere le gambe, la mia testa girare.
Noi gemiamo come animali deliziosi e brutali, noi siamo sinceri e violenti, siamo schiavi di una carne ansiosa, noi siamo incapaci di resistere.
Poi i suoi attacchi si fanno violenti, e il brivido invade.
Io non ce la faccio più, accentuo la mia spinta, lui si inarca interamente dentro di me e poi si lascia cadere. Mi penetra con tutte le sue forze e rimane lì, sul fondo, finché non cessa anche l’ultima delle scosse, vuotandosi dentro il mio corpo.
Rimaniamo così, a lungo, immobili, lui sopra di me, dentro di me, finché pronuncia il mio nome: “Vale…”, ed io lo sento è un flauto dolce.

Felice gli sorrido, e, “grazie…”, finalmente dico, adorandolo.

Lui si allontana da me, lentamente, eppure al tempo stesso mi rimane dentro: la mia carne resta aperta, appiccicosa, tarda a chiudersi.
Allora lui si occupa di me, lo fa sempre.

Lui mi prende in braccio ed io mi aggrappo. Noi attraversiamo ogni stanza in silenzio, proseguiamo lungo il corridoio, oltre la festa degli amici, noi andiamo in una camera attigua.
E mentre mi adagia su un letto, lui mi bacia, mi abbraccia e mi ripete: “sei Mia”.
“Mia”.

Con lui varcare il confine della follia fa parte della vita quotidiana, andare da una parte all’altra, sul filo del rasoio, con lui è facile, lui sa mantenere l’equilibrio tra la luce e l’ombra, ed io mi sento sempre sicura.

(A Michael)