Cavalcando

di  Luca Balducci (Silverdawn)

 

 

   Cavalcava da anni, ormai. Cavalcava cavalli non suoi. Ambiva averne uno ma non poteva; cavalcava e, per cavalcare, lavorava in scuderia, piccoli turni che le permettevano di stare lì, coi cavalli. Quando lui le disse che le avrebbe comprato un cavallo quasi non ci credeva, era folle di gioia... un suo amico, allevatore, l'avrebbe aiutata a scegliere quello giusto.
“Come? Non vieni con me?”
“Non capisco nulla di cavalli... che vengo a fare?”
Già, ma senza di lui... somigliava più al buono d'acquisto di un supermercato che a un dono. Lui assente presente, indiscreto asociale, misterioso e solare, contraddizione perenne. Lontano dal suo ideale ma... insidioso, intrigante.
“Vai là a nome mio, chiedi di Attilio, lui ti fa scegliere il cavallo e poi ci penso io... non serve che venga con te; se ci vedessero, sarebbe un bel casino, lo sai...”
Lo sapeva, lo sapeva sempre... però, almeno stavolta, almeno per il dono... invece nulla.
Telefonò ad Attilio e lo raggiunse, il giorno del suo anniversario, due anni con lui, due anni strani, due anni di sotterfugi, due anni che non avrebbe mai pensato... due anni di passione vera.
Per essere giugno era terribilmente caldo, aveva addosso solo una gonna e una maglietta leggera ma le sembravano anche troppo; biancheria non ne portava più, lui non voleva. Che lui ci fosse o meno, che la chiamasse oppure no, biancheria non doveva averne... per lei era come un gesto d'amore, di sottomissione, aveva rinunciato a portarla. Attilio le si parò davanti vestito più da stalliere che da imprenditore, passava lì le ore che aveva libere, sudando e lavorando come gli altri, senza problemi. Un largo sorriso la mise subito a suo agio, era cordiale, quasi affascinante... affascinante, senza quasi.
All'ombra delle scuderie già stava meglio, l'odore acre dei cavalli le piaceva e le metteva buonumore. Li volle vedere tutti, prima di scegliere, prima di decidere quale diventasse suo. Cavalli giovani, pronti per la doma, belli e forti, cavalli arabi. Attilio spesso le si avvicinava, le cingeva le spalle con fare paterno, la consigliava e lei si sentiva bene nelle mani forti di quell'uomo. Ma quelle mani si facevano stranamente audaci, scendevano spesso dalle spalle, lisciavano la schiena quasi nuda, giungevano all'orlo della gonna, stringevano delicatamente ma con decisione il suo fianco. Cominciava a sentirle un po' troppo padrone, quelle mani... ma padrone di che? Per chi? Lui sapeva, doveva sapere... l'avrebbe raccontato al suo amante, non avrebbe dovuto permettersi... invece si permetteva... eccome! Ancora più audaci, ancora più in basso, ancora più forti, ancora più calde, sulla natica quasi nuda.
“Ma allora è vero... non porti biancheria.... quando me l'ha detto non ci credevo, ma si sente che non hai nulla!”
Lui glielo aveva detto? Lui? E per quale motivo? Tentò di mandar via la mano ma non ci riuscì; era una mano forte, decisa, consapevole anche del fatto che ella non avrebbe resistito troppo, alla sua morsa. E non si ingannava! Anche lei cominciava a capire che non avrebbe resistito abbastanza, che quelle mani frementi e sapienti le avrebbero fatto perdere ogni volontà di resistere... poi c'era quel sapere che lui aveva detto ad Attilio una cosa così intima, così perversa e così sua da farle sembrare tutto una sorta di ordine: “Fai ciò che ti chiede, sarà come farlo a me...” le labbra di Attilio sul collo fecero il resto, si abbandonò con un gemito a quelle carezze, reclinò la testa in avanti per meglio farsi baciare, allungò le mani alla sbarra del box per sostenere le gambe che già vacillavano incerte. Pensava a lui, al suo amante... glielo avrebbe raccontato? Avrebbe atteso che fosse lui a chiedere? Non ora, non poteva pensarci, ora... non aveva la forza di pensare. La mano destra di Attilio era scesa a prelevare l'orlo della gonna, l'alzava tranquillo, padrone. La sua sinistra era già andata a ghermirle il seno e lo palpava attraverso la maglietta madida di sudore. Infilando il bordo sotto l'elastico della vita, Attilio ebbe la mano libera di muoversi sulle carni nude, s'introdusse fra le sue cosce, le scostò, le divaricò, si creò un vasto spazio e prese a carezzarle la figa da dietro, senza alcuna delicatezza. Non una parola, non un sorriso, solo il rude stimolo delle sue mani, delle sue labbra, della sua lingua e dei suoi denti. La costrinse a inginocchiarsi, gambe larghe e culo nudo, la costrinse senza alcun ordine, senza alcuno sforzo. I sospiri della ragazza erano intensi serrati, ritmici e palesi; non poteva nasconderlo, non voleva nasconderlo. Tutto quel trattamento le piaceva, la faceva impazzire di piacere. Quando lui ne fu certo, smise di baciarla e di frugarla, le prese il mento con la mano e lo volse verso sinistra, verso altri box, verso altri cavalli, dicendole:
“Guarda...”
Ed ella vide... vide un giovane stalliere che si godeva la scena, che si era goduto tutta la scena.
“Ora lo chiamo e ti faccio scopare da lui...”
E senza aspettare che ella rispondesse, che ella si riprendesse, che ella capisse, lo chiamò e lui non si fece pregare.
Pochi secondi dopo era già trafitta da chi non sapeva, carponi sulla paglia della scuderia mentre Attilio la guardava e sorrideva. Il ragazzo, eccitatissimo, la sbatteva violentemente, le tirava i capelli e mugugnava forse anche qualche sillaba... lei vedeva il sorriso beffardo di Attilio e godeva, godeva come una pazza di questo strano regalo che le stavano facendo. Quando Attilio la vide veramente scossa dai sussulti dell'orgasmo, si calò i pantaloni e si parò di fronte a lei con la verga in mano, l'avvicinò alla sua bocca, ve la introdusse e cominciò a spingere come fosse una figa, un culo, con ritmo sincrono a quello del ragazzo così che ella si ritrovava riempita e svuotata simultaneamente, compressa ed estesa, motore a due cilindri di un sistema complesso. Se ne vennero insieme, uno davanti e l'altro di dietro, aggiungendo i loro ai nitriti dei cavalli. Il ragazzo se ne andò via quasi subito, tornò a lavorare. Lui la prese per mano, la fece alzare e la portò, senza darle modo di coprirsi il sedere, in una specie di ufficio; passando davanti ad un box aperto guardò istintivamente dentro; il ragazzo, lo stalliere, col forcone in mano la guardò e le sorrise. Dall'ufficio passarono in un salottino, fresco di condizionatore, elegante e pulito.
“Se vuoi lavarti lì c'è un bagno, facciamo una doccia insieme?”
Ella lo guardò senza espressione, volse lo sguardo alla finestra, priva di tende, che dava verso i box e rivide il sorriso dello stalliere sulla porta della scuderia... non importava, avrebbe visto tutto ma non importava. Anzi sì, importava! Si accorse che le sarebbe piaciuto, esser vista da lui. Si tolse la maglia, la sfilò dal collo, liberando prima i suoi seni e poi i suoi capelli, la gettò su una sedia e allargò l'elastico della gonna facendola scivolare fino ai piedi... per ultimo tolse anche i sandali e andò lentamente verso la finestra guardando gli occhi del ragazzo là fuori. Pettinava i riccioli scuri del pube, con le dita, aperte e serrate, alzate e riscese fino allo schiudersi delle labbra. Attilio la prese da dietro con le possenti braccia, si era già denudato anche lui e così, nudo e sudato, pareva ancora più possente, più alto e più forte. Ancora quelle mani su di lei, ancora le sue labbra sul collo, ancora le gambe che vacillavano e gli occhi puntati su altri occhi, di fuori, lontani. Sotto la doccia Attilio non la prese, continuò a baciarla e leccarla e morderla ma non la prese. Dopo l'asciugò un poco, non molto, e la riportò nel salotto, le offrì da bere e la fece sedere sul divano che fronteggiava la finestra. Ella avrebbe voluto vestirsi ma lui non volle. Guardò fuori, il ragazzo era sempre lì, sullo stipite della porta, all'ombra; guardava e sorrideva. Anche Attilio si sedette, accanto a lei. Le sue mani ripresero a coprire il suo corpo, ad aprire il suo corpo, a plasmare il suo corpo. La sua bocca cominciò ad aprire, scoprire e plasmare il suo cervello. Non gli ci ci volle molto, dopo qualche minuto ella stessa si decise a cavalcarlo infilandosi decisa il nerbo in corpo, strusciando i seni sulla faccia di lui, implorando che li mordesse, baciasse e leccasse. Si regalò un altro orgasmo, violento, convulso e liberatorio. Urlò più che poteva affondando le dita nelle spalle di lui, volgendo il pensiero allo stalliere lì fuori. Poi si accasciò disfatta, quasi senza sorriso. Lui la cullava dolcemente, carezzava la sua schiena e i suoi capelli appena sopra la nuca. Lo fece finché ella non si riprese, finché non si ridestò dal torpore. Ancora una volta ella stessa volle cambiar posizione, volgendo lo sguardo fiero allo stalliere fuori dalla finestra, rivolte le spalle ad Attilio, si calò lentamente sulla verga eretta, facendosela scivolare in culo con l'aiuto della mano sinistra. Con la destra spalancava le labbra del sesso per esser sicura che anche lo stalliere ne fosse sicuro, sicuro che Attilio la stesse sodomizzando, sperando che egli capisse che se non lo aveva fatto, poteva farlo quando voleva, lei l'aspettava. Fece salire il ritmo con un crescendo delicato, accompagnando ogni pompata con mugolii e canti sempre più intensi finché non riuscì a farlo godere, godendo un attimo dopo ella stessa, con l'aiuto della sua manina e degli occhi del ragazzo fuori dalla finestra. Poi si accasciò di schiena sopra ad Attilio che non aveva mai smesso di torturarle i seni con le mani.
Così la trovò il suo amante entrando, riversa ansimante con Attilio confitto nel retto, con qualche goccia di sperma che già colava fuori, con gli occhi riversi e pieni del sorriso dello stalliere.
“Che brava, amore mio! Che magnifico regalo di anniversario che mi hai fatto oggi! Te ne comprerei un paio di cavalli, non uno solo... magari per il secondo torniamo insieme e mi fai vedere ancora come sei brava...”