Ketchup

di  Siresa

 



La donna camminava lenta, osservando i dipinti tetri di quella galleria. Era una strana mostra di pittura. Non si vedevano ritratti sorridenti o nature morte o paesaggi soleggiati colorati del rosso dei papaveri o dell’oro del grano. Tutto pareva coperto da un curioso velo di mistero.
Gaia era entrata per guardare, spinta da una strana curiosità. Come se avvertisse quasi l’istinto di evitare quel luogo. Ma era stata una tentazione troppo forte. Era entrata con il batticuore simile a quello di un bambino che sta per tuffare di nascosto il dito dentro il barattolo della cioccolata.
Una figura presa di spalle, incurvata tristemente a guardare le foglie cadute su un sentiero buio di un bosco era il quadro che ora stava osservando la donna. Stava chiedendosi se l’autore di un simile ritratto fosse mai stato felice nella sua vita.
- Un sorprendente capolavoro, non trovi? – sussurrò improvvisamente una voce alle spalle della donna.
- David?? – chiese Gaia voltandosi di scatto, gli occhi spalancati per la sorpresa.
- Sono io… -
- Quanti anni sono passati…? -
- Credo una dozzina… -
La donna lo guardò per qualche secondo in silenzio. Lui le ricordava molte cose del suo passato. Era stato l’unico uomo che aveva amato senza mai smettere di sentirsi libera.
- Non eri andato a Londra? –
- Si, ero andato. – L’uomo fece una pausa e nel frattempo contemplò uno dei quadri lì accanto. Poi si voltò ancora verso Gaia. - Ora sono tornato. –
- Come stai? – chiese lei, scrutandolo.
- Bene… tu? Non trovi bizzarro incontrarsi proprio qui? –
- Non credevo che potesse esistere qualcosa di bizzarro per te… - rispose la donna maliziosa ma mostrando indifferenza.
- Sono dei bei ricordi, vero? –
Gaia sorrise. - Vuoi dire che non è più successo? –
- Le donne fraintendono facilmente, o si scandalizzano, o pretendono di più. Non è facile trovare una via di mezzo… -
- Non sapevo di essere una rarità… -
David passò un dito sotto il mento di Gaia, lo sollevò appena per guardarla diritto nei suoi occhi che gli erano sfuggiti un attimo prima.
- Ti imbarazzi ancora…Non sei cambiata affatto. – constatò l’uomo, con aria critica. – Che cosa hai fatto in questi anni? –
- Beh, molto brevemente potrei dirti che essenzialmente mi sono annoiata… -
- Come fa ad annoiarsi una donna come te? –
- Mi avevi abituato troppo bene… -
L’uomo non rispose, e il suo sorriso si fece malizioso.
- Credo d’aver visto abbastanza qui… - fece lei cercando di evitare il discorso.
- Pure io. Tu sei il migliore tra i quadri da ammirare stasera… -
Gaia ridacchiò e si avviò all’uscita, affiancata da David. – Lo stai rifacendo! Come se dall’ultima volta fossero passati solo due giorni… - disse poi.
- E’ così divertente con te! –
- E dici pure le stesse cose… -
- E tu arrossisci nello stesso adorabile modo… -
- Devo andare. Mi ha fatto piacere rincontrarti. - rispose lei, sforzandosi di ignorare la propria agitazione.
- Vieni a cena da me stasera? –
Gaia si immobilizzò e si morse un labbro.

******

Le sarebbe bastata una scusa qualsiasi per rifiutare, avrebbe potuto inventarsi un figlio, una baby sitter in vacanza, un impegno di lavoro. Ma non aveva voluto una scusa. In realtà si sentiva come se i dodici anni non fossero mai passati. Si era ritrovata improvvisamente immersa in quell’invitante atmosfera fatta di sguardi che parlano di cose differenti da ciò che chiunque potrebbe udire avvicinandosi. Un’atmosfera investita da una tempesta elettromagnetica e da provette spumeggianti di reazioni chimiche. E pensare che a quindici anni non ci credeva a queste cose. A quindici anni era convinta che bastasse un bel ragazzo, che portasse il giubbotto di jeans e i capelli lunghi e che avesse i muscoli al punto giusto. Quanto si è ingenui a quindici anni!
Gaia suonò il campanello. David aprì la porta sorridente, con quella luce negli occhi che lei non aveva mai rivisto negli occhi di nessuno. Rimase zitta e posò la sua borsetta sulla sedia dell’ingresso. Sapeva perché fosse lì. C’era stato un momento in cui aveva pensato all’eventualità di un normale invito a cena, ma in fondo sapeva che stava mentendo pure a se stessa. Se si fossero seduti a cenare probabilmente ne sarebbe rimasta delusa.
Si guardò un po’ intorno. David era sparito e lei non conosceva quella casa, non aveva idea di come muoversi.
Una mano che scivolava sulla sua spalla accarezzandole voluttuosamente il collo interruppe i suoi pensieri e le tolse ogni dubbio.
Un brivido percorse la sua schiena. Gaia chiuse gli occhi. David era dietro di lei, come tanti anni prima, e le respirava sul collo senza toccarlo. Poteva sentire l’odore di lui, il suo profumo e quello di qualcosa che aveva da poco fritto in padella.
- Non è vero che è tutto come l’abbiamo lasciato. Tu sei diventata più bella e più pericolosa. –
Le mani di David erano scese lentamente lungo le braccia. Lentamente.
Lentamente, si soffermarono a solleticare le dita, ad accarezzare i polsi, a chiudersi sulla loro circonferenza.
Gaia sentiva accelerare il suo respiro. Era presto, ma era passato troppo tempo, ogni sensazione era amplificata, prendeva il largo nel suo cervello, si insinuava, la tormentava… Era esattamente quello che voleva David: farla uscire di testa, tenerla sulla corda, e sapeva bene come doveva fare.
Era un gioco che avevano iniziato per caso e per caso avevano scoperto, a poco a poco, come i loro ruoli fossero complementari, come potevano avere ciò che preferivano in modo naturale. Non c’era neppure bisogno di mettersi d’accordo prima.
- Ho fatto le patatine fritte… - disse David sussurrando nell’orecchio di Gaia.
Lei inclinò leggermente il capo dalla parte opposta, ma l’uomo si spostò con il corpo per raggiungere l’altro orecchio.
- Con il ketchup… - aggiunse con un sogghigno. Poi con la lingua le sfiorò il lobo. Notò la pelle d’oca apparire sul collo della donna. Lui di risposta scese a sfiorarglielo con la bocca.
La sentiva fremere sotto le proprie mani che ancora stringevano i polsi, e questa sua reazione lo faceva impazzire. Era così eccitante il modo in cui Gaia appariva invitante, tenera e indifesa nello stesso momento. Decise di lasciarla andare improvvisamente come se la stesse respingendo.
- Non dici nulla… -
- Se ti dicessi che ho fame? – rispose incerta Gaia.
- Interessante… -

*****

David e Gaia si erano seduti uno di fronte all’altro. Il tavolo era piccolo e quadrato. Lui si stava servendo di patatine intingendole nel ketchup . Lei lo osservava. Non mangiava da parecchie ore e si era guardata bene dal farlo per non rovinarsi l’appetito. Ora aveva letteralmente l’acquolina in bocca, ma non osava muovere una mano verso le patatine. Il fatto che non fosse stata neppure servita di un piatto le faceva intuire che doveva aspettare.
David si sprecava nei mugolii di piacere ogni qualvolta mordeva uno di quei bastoncini dorati e croccanti, sgocciolanti di salsa saporita e stuzzicante. Una goccia era caduta sul tavolo. Era assurdo come Gaia si sorprese a guardarla in modo ossessivo, come se volesse recuperarla col pensiero.
L’uomo allungò una patatina verso di lei, che visibilmente sollevata al pensiero di poterla gustare, si mosse per afferrarla.
- No… - disse David ritirando la mano - …non con le mani… - Guardò Gaia negli occhi.
La sua espressione tesa mista all’eccitazione era impagabile. Le porse di nuovo la patatina fritta, fermandosi proprio davanti alla sua bocca. Lei si avvicinò incerta, dischiudendo appena le sue labbra. Quelle labbra che non colorava mai di rosso, che lasciava naturali perché odiava il sapore del rossetto sulla punta della lingua. Quelle labbra che ora si stavano chiudendo sulla patatina, stando ben attenta a non sfiorare le dita di David.
Lui socchiuse gli occhi e ridacchiò maliziosamente. Afferrò un’altra patatina e il tutto fu ripetuto uguale a prima, come un rito. E poi un’altra ancora. E Gaia le afferrava sempre più in fretta, con avidità. Santo cielo! Le aveva mangiate al mcDonald la settimana scorsa, eppure si sentiva come se fosse una vita che le desiderava.
Finché una delle patatine non sfuggì al suo morso. David l’aveva spostata apposta proprio all’ultimo momento. Gaia si divertì a rincorrerla per un po’, ma l’oggetto del desiderio finì nella bocca dell’uomo.
- Ti piacciono le patatine? – chiese lui con indifferenza.
- Si… -
- Bene… - e così dicendo ne intinse ancora una nella salsa rossa. Questa volta andò a finire in bocca a Gaia senza difficoltà. La ragazza si leccò le labbra.
- Ti piace pure il ketchup? –
Lei annuì in silenzio. Il gioco delle parti si faceva sempre più audace, lo sapeva. Lei aveva il fiatone, un po’ per aver rincorso le patatine, un po’ per il battito cardiaco decisamente impazzito.
David tuffò il dito nella salsa, e lo fermò a un paio di cm dalla bocca di Gaia.
Stava per cadere una goccia. Stava per staccarsi, la vedeva, si faceva sempre più bombata in fondo e più sottile nel punto in cui si sarebbe distaccata. Non avrebbe tollerato vederla cadere. Era arrossita perché sapeva cosa doveva fare. Tirò fuori la lingua e raccolse la goccia di ketchup un attimo prima che cadesse. David non si mosse e il suo sguardo era fin troppo eloquente. Gaia si avvicinò al dito, e con un gesto rapido della bocca lo ripulì dalla salsa.
L’uomo sorrise furbo. Rintinse il dito e lo riavvicinò alla bocca di lei.
- Troppo in fretta. Non vale. – disse.
Gaia ubbidì. Era il suo ruolo d’altronde. Si preparò a ripetere il gesto e portò le bocca vicino a quel dito stuzzicante. Questa volta però chiuse gli occhi, e le labbra scivolarono sul dito con desiderio, quasi con affetto.
- Oh, ti sei sporcata… - disse lui dopo un lungo brivido.
La donna cercò di ripulirsi con la lingua ma il ketchup era andato a fermarsi troppo lontano.
- Aspetta… faccio io… -
David si alzò e si accostò a Gaia, che lo guardava dal basso verso l’alto, in attesa. Lui si chinò dolcemente verso il suo viso e le sfiorò la guancia con la lingua, fino a ripulirla. Invitò la donna ad alzarsi, prendendola per le mani e si mise a baciarle il collo, il mento, il decolleté… Gaia aveva socchiuso ancora gli occhi e assecondava i movimenti di David, in silenzio. La bocca di lui si fece più audace nello scollo della camicetta, che aveva preso a sbottonare lentamente, soffermandosi sul pezzettino di pelle che ogni volta scopriva un po’ di più. Apparve il reggiseno nero, e la camicia scivolò giù lungo le braccia, senza tuttavia essere tolta completamente. David aveva preso a mordicchiare la pelle chiara delle spalle con un certo trasporto, mentre tratteneva i polsi di Gaia dietro la sua schiena, ingarbugliandoli alla stoffa della camicia.
- Mi sei mancata molto, Gaia… -
Lei accennò un sorriso. David la spinse di qualche passo indietro, sempre sfiorandola con la bocca fino a che non la sentì appoggiarsi al muro. Sfilò via la camicia e poi il reggiseno.
- D-David… -
- Sssstt…. Silenzio…. – sussurrò lui interrompendo l’altra. Le prese i polsi e li sbatté contro al muro. La guardò dritta negli occhi e poi la baciò con passione.
La pressione delle mani sui polsi di Gaia si allentò. Le braccia scivolarono in basso ma la donna appena le sentì libere abbracciò David con tutte le sue forze, poi lasciò che le dita si insinuassero tra i capelli dell’uomo.
David afferrò Gaia per le cosce, e la sollevò da terra, lasciando che lei si aggrappasse con le gambe al suo bacino. Senza smettere di baciarla l’uomo si spostò in camera e la depose sul letto.
Dopo un attimo aveva sfilato la gonna e gli slip di Gaia e si era tuffato in mezzo alle sue cosce. La ragazza iniziava a non capire più nulla. Lo scopo del gioco era farle implorare un orgasmo, farla supplicare, portarla allo stremo. Lei chiuse gli occhi e assaporò il piacere che a poco a poco stava salendo. Ma David si allontanò. Prese a giocare con il suo seno e i suoi capezzoli eretti, invitanti come una caramella. Le caramelle prima vengono leccate, succhiate e poi provate a mordere, e fu questo il trattamento che riservò a Gaia, fino a che non la sentì inarcare la schiena e premere il bacino contro quello di David, alla ricerca di qualcosa di più.
- E’ ancora troppo presto signorina… - disse lui accarezzandole l’inguine e baciandola intorno all’ombelico. Le concesse un dito, un solo dito per constatare quanto fosse eccitata, ma stuzzicandola ancora, facendo in modo che arrivasse a reagire solo al minimo tocco.
- Allora non lo dici? –
- No… -
- Lo so che non ce la fai più… -
- Io non voglio supplicarti… -
- Oh, lo farai invece… - disse David mentre ritornava a baciarla in mezzo alle gambe.
La donna si aggrappò con tutte le sue forze alle lenzuola. Le parole di David… la sua voce parevano essere così determinanti a volte! Lo farai invece… lo farai invece…. Quanto la eccitava sentirlo parlare così! Si obbligò a non urlare.
A quel punto David tornò a sdraiarsi su di lei lasciando che il suo sesso sfiorasse quello di Gaia. Lasciando che la invitasse, la tentasse ancora un poco.
- David! –
- Si? – chiese lui con una finta aria indifferente ma senza nascondere un ghigno soddisfatto.
- Non ce la faccio più… -
- Ma davvero? E quindi? –
- Quindi voglio godere… -
- E…?
- E ti supplico… -
- come? Non ho sentito… -
- Ti supplico! ti supplico! Mi arrendo va bene? Hai vinto tu!
L’uomo, che in fondo non aspettava altro, come se fosse stata la mossa decisiva sulla scacchiera, penetrò Gaia, che puntando i capezzoli al soffitto si contorse e si mise a mugolare, sull’orlo dell’incoscienza, sotto David che ora la prendeva con forza, con trasporto, sempre più forte, guardando il suo viso contorcersi e urlare di piacere. Poi venne anche lui, subito dopo di lei, soffocando il suo urlo in un bacio profondo, scaricando tutta la tensione accumulata in quell’incontro di lingue, che ricordava più che altro uno scontro di wrestling.
Poi rimasero lì, ansimanti, a guardarsi in silenzio negli occhi.
- Domani faccio i bignè al formaggio… - disse David mentre scostava una ciocca di capelli da davanti gli occhi di Gaia.
Lei sorrise. Sorrise solamente.