La lettera

di  Soledad C.

 

 

 

 

  Era partita da casa con una piccola ventiquattrore, le sue scarpe in vernice rossa ed il lungo cappotto nero, cosi come indicato nella lettera.
Il viaggio in treno sarebbe durato un paio d’ore, durante le quali forse avrebbe potuto tirare il fiato.
Le istruzioni erano precise ed imprescindibili.
Completamente nuda sotto il cappotto e come segno di dedizione, un plug di cristallo a dilatare le carni che ora non le appartenevano più. E camminando, passo dopo passo cercava di tenere sollevato il mento e ondeggiare i fianchi in modo naturale.
Ma tutti i sensi in allerta tendevano duramente i suoi muscoli, ogni sguardo indifferente la frugava dentro. Passo dopo passo lo sentiva muoversi, consapevole che una piccola distrazione le sarebbe costata una terribile disfatta.
“Nessun ostacolo, se dovesse sfilarsi e cadere lo raccoglierà solo il marciapiede”.
Ma il treno ormai era vicino e finalmente poteva sedersi e ritrovare le energie per eseguire le prossime istruzioni. Raggiungere da sola l’indirizzo non sarebbe stato semplice e il divieto di utilizzare taxi non facilitava il suo compito già abbastanza arduo.
I tacchi non eccessivamente alti erano certamente un sollievo, ma i fianchi indolenziti e la presenza di un oggetto dentro di lei intorpidivano anche la mente e offuscavano la vista.
Stava seguendo pedissequamente gli ordini chiari e netti dell’uomo a cui sentiva di appartenere, le cui parole erano penetrate ben più a fondo di quel plug che la riempiva da quasi quattro ore. La cui voce aveva un suono cosi dolce e risoluto da ipnotizzarla, conquistarla e ridurla alla completa sottomissione, come un flauto che guida il serpente, come la sirena che porta via il suo marinaio.
Questo viaggio l’avrebbe portata finalmente a Lui, che ancora non aveva un volto e nemmeno un odore. E mille di questi pensieri pervadevano la mente, mentre il cammino si accorciava e pochi metri la separavano dalla Sua presenza cosi forte ma reale tanto quanto un pezzo di carta contenente solo delle indicazioni.
La domanda su come avrebbe fatto a riconoscerlo rimbombava da ore nella sua testa.
Ma il punto doveva essere questo. Avere fiducia fino alla fine e seguire diligentemente le istruzioni.
Aveva scelto di fidarsi del suo istinto, deciso di giocare e finalmente raggiunto la destinazione. Varcava la soglia del posto stabilito, stringendo la ventiquattrore nella mano sinistra e avanzando piano nel mezzo del locale.
Adesso il suo pensiero andava a quella piccola valigetta dal peso leggero “Solo tre cose che della tua vecchia vita vuoi portare..” e adesso si aggrappava forte a quelle poche cose.
Fece scivolare il cappotto a terra, come le era stato indicato, dopo averlo sbottonato lentamente per avere il tempo di guardarsi intorno, nel mezzo della pista semi vuota. Sapeva che indossando solo le scarpe in vernice rossa avrebbe attirato tutti gli sguardi nel locale e per nascondersi chiuse bene gli occhi.
Tre o quattro persone si avvicinarono per annusarla, qualcuno per sfiorarla; trovato un tavolino abbastanza vuoto, ci si sistemò sopra premendo i capezzoli sulla superficie e mostrando i fianchi nudi e il plug inserito a quella moltitudine di occhi fissi, avidi e carichi di desiderio.
Tra le mani ed i corpi mescolati perdeva il senso dell’orientamento.
La paura di non riconoscerlo tra la gente, quel dubbio martellante, non esisteva più. Socchiuse finalmente gli occhi, le persone erano tante tutte intorno a grappoli a nutrirsi di lei.
Qualcuno dopo averla usata le urinò addosso, per lasciare il suo odore.
In testa le ultime parole della lettera cominciavano ad assumere un senso: le istruzioni erano chiare “.. e dopo cercami tra la folla.. sarò li ad osservarti”.
Sollevò la testa per mettere a fuoco un punto preciso e ritrovare l’equilibrio, e gli occhi si imbatterono nei Suoi. Come fossero i soli presenti nella grande stanza in mezzo a mille.
“Sono io, mi hai trovato” dicevano fissandola nell'anima, grati di tanta devozione.
Si sollevò avvicinandosi a lei con passo sicuro.
La raccolse da terra, allontanando il gruppetto di affamati , le prese la ventiquattrore che ancora stringeva nella mano, e mentre la accompagnava verso l’uscita stringendola in un forte abbraccio sporca come era, potevano leggere l’ultima riga della lettera: “ ..e da adesso non saremo mai più soli”.