Trittico di emozioni
di  Cristiana Danila Formetta

 

 

  Rossofuoco, un racconto di desiderio color sangue

 
La luce del locale è troppo forte. A darmi fastidio non è l’intensità, bensì il colore. Non amo il rosso, questa tinta ha in sé troppe sfumature. Rossi sono i graffi che ho impressi sulla pelle, rossi gli occhi segnati dalle lacrime. Rossi sono i segni dei tuoi denti, che stuzzico ancora adesso, sperando invano che non vengano cancellati dal tempo. Li vorrei tatuati sulla pelle. Ti vorrei un’altra volta qui. Nel frattempo la musica cresce di intensità, sale come un’onda. Mi lascio prendere dal ritmo. Mi volto e fisso il tizio che ho rimorchiato dieci minuti fa. Anche lui mi sta guardando. Molto, troppo intensamente. Benissimo. I suoi occhi neri mi bruciano, mi danno quel calore giusto, quello che mi scioglie dalla bocca fino al seno, al ventre, alla fica. Perfetto.

Una futile voglia di sopravvivenza mi ha portato qui stanotte, in mezzo a sconosciuti di cui non rammento neppure il nome. Mi sta bene così. Tiro la gonna fin sopra i fianchi, butto la testa all’indietro e mi offro al primo che mi viene a tiro. Ha un bel viso, un bel corpo. Mi basta. Non porto le mutandine, e questo sembra piacergli molto. Si avvicina e mi apre di più le gambe, mi accarezza lentamente l’interno delle cosce, poi sale più su, spinge, affonda, mi incita. Chiudo gli occhi, ansimo, mi muovo sopra quel cazzo immaginario, lascio cadere la testa all’indietro, grido. Nessuno sente, nessuno dice niente. La musica copre tutto. Sollevo appena le palpebre, vedo i suoi occhi neri, e li vorrei azzurri come i tuoi. Tu che non ci sei. Tu che scorri ancora nelle mie vene, come sangue. Un desiderio rosso fuoco mi sale alla gola, mi soffoca. Mescolarti con altri uomini è necessario per dimenticarti
 
       
  Stanza d’albergo: un racconto d’amore clandestino

 
Sei buffo quando dormi. Tutta la tua faccia si rilassa, e affonda completamente nel cuscino. La piega delle guance diventa più morbida, e la bocca si schiude in uno sbuffo. Ecco, se mi avvicinassi adesso, potrei respirare il tuo fiato, e toglierti così un po’ di vita. Oppure, potrei stringermi teneramente a te, legare questo corpo magro al mio, chiederti se mangi mai abbastanza, e forse dubitare della tua parola, rimproverarti di non saper badare a te stesso. Ma potrei anche fregarmene di tutto questo. Mandare la dolcezza al bando e toccarti, da sotto le lenzuola. Mille carezze che ti costringono ad aprire gli occhi, e mani che all’improvviso smettono di essere inerti per rispondere al mio invito. Posso fare mille cose, stanotte. Posso sfinirti. Spaccarti il cuore con un sorriso. Posso ucciderti, e soffocarti con un bacio anziché con un cuscino. Diventare ladra e assassina per un amore clandestino. Posso fare mille cose, e invece niente. Non mi muovo. Ti osservo che dormi beato e sembri felice. Io non ci riesco.
Ho già provato a chiudere gli occhi e contare le pecore. Le ho contate una ad una. Poi in coppia, e alla fine credo di aver contato l’intero gregge senza nemmeno un accenno di torpore. Non ho sonno, e una veglia forzata mi costringe a pensare a cosa è andato storto, questa volta.
Cosa c’è che non va? Cos’è che non mi fa dormire?

Non è colpa tua, non è colpa della tua faccia che continuo a fissare, invece di addormentarmi. La tua faccia mi piace, è bella, mi fa star bene. Sapessi quante volte ho sognato di averla qui accanto sul guanciale per una notte intera, e stare a guardarti. Anche il tuo corpo è molto bello, magro come quello del Cristo, sacro per me più di un altare. Non è colpa tua, non è colpa del sesso. Anche quello è stato magnifico. Magnifico è spogliarti, toglierti di dosso i pantaloni, la camicia, baciarti il petto un’infinità di volte, sentire quelle gambe lunghe e magre fra le mie. Magnifico, certo. E terribilmente provvisorio. Perché tu ed io sappiamo che domani al risveglio, saremo ancora costretti a far ritorno ognuno a casa sua, ognuno fra le braccia dell’altra o dell’altro. L’altro che non sei tu, amore mio.

Lo sappiamo entrambi che questa felicità è solo di passaggio, che questo momento non si ripeterà per molti giorni ancora, forse per settimane. Questo momento dobbiamo farcelo bastare, ed è così da sempre. Da quando è cominciata questa storia. La nostra storia, che porto avanti ad ogni costo, cercando di scacciare incubi e fantasmi, cancellando il sospetto che tutto ciò che ci circonda non sia poi così unico e raro.
Tu non ci hai mai pensato?
Hai mai pensato a quante persone si rifugiano in una camera d’albergo per sfuggire a un matrimonio sbagliato, a una vita scialba e noiosa come la mia, la nostra? Hai pensato alle decine, e forse centinaia di impronte di corpi che hanno scavato questo materasso, e ai sogni, alle speranze che sono passate attraverso le pareti della stanza?

Scommetto di no. Scommetto che non ci hai pensato nemmeno per un attimo. Queste sono cose che tolgono il sonno, invece tu continui a dormire, sereno, in questo letto. E la tua calma mi dà fastidio. Mi fa capire che in fondo, non sei così tormentato come dici, non vivi come me, fra mille sensi di colpa, tutta presa ad inventare alibi, e scuse per giustificare un banale ritardo, o una notte intera senza tornare a casa. Tu non pensi a trovare una soluzione, tu non pensi a cosa accadrà domani.
Tu sai già cosa accadrà domani.
Domani ti sveglierai e tornerai da lei. Ti siederai a tavola, farai colazione e le darai un bacio, prima di andare in ufficio. Un bacio solo, sulla guancia, come fai sempre con tua moglie. Un gesto d’amore, ma di quell’amore che una donna non merita. L’amore per quella tranquillità assassina fatta di due vani bene arredati, terrazza con gerani, e utilitaria. Mentre io resto qui, sospesa, pensando a cosa è meglio per noi due. Se fare finta di niente e baciarti, oppure strangolarti ora nel sonno, con i miei capelli.
 
       
  Banchetto per camaleonti, racconto di una fame senza fine
 
Le sue spalle sono una sorpresa. Non pensavo che Trevor avesse delle spalle così larghe. Capisco perché le giacche non gli cadono mai bene, o troppo larghe, o corte di manica. Non l’ho mai visto nudo, non ho mai sentito il sapore della sua bocca prima d’ora. Sa di whisky, ha bevuto, beve sempre più spesso e più forte. Trevor mi abbraccia e mi tira a sé, mi passa le mani sul seno, sui fianchi, e fa tutto questo senza un gemito, senza un sospiro. È freddo, distaccato. Mi conosce bene e non si fida. Sa che non faccio mai nulla senza uno scopo, e probabilmente si sta già chiedendo dov’è che voglio arrivare. Mi sfila via la maglia, il reggiseno, mi accarezza la curva della schiena con le dita, ed avverto un brivido. Non lo aveva mai fatto, almeno non così, con tanta tenerezza. I suoi occhi sono aperti su di me. Sono di un verde chiarissimo, e sembrano chiedersi il perché. Perché sta accadendo proprio adesso.

Ma Trevor non ha il tempo di trovare una risposta, le mie mani già lo sfiorano, gli scivolano tra le cosce, fino all’inguine. Non posso fare a meno di toccarlo, di baciarlo, di perdermi nel suo odore, mentre con la lingua disegno mille arabeschi sul suo corpo. Guardo gli occhi di Trevor che sfumano nel verde più intenso, e lo sento deglutire.

Ogni cosa è al suo posto. I pantaloni di Trevor sul pavimento, le mie gambe attorno ai suoi fianchi. Lo sento che mi solleva il bacino, e mi entra dentro, come una furia. Le sue mani stringono le mie e così le bloccano, mi impediscono ogni movimento che possa alterare questo equilibrio. Trevor mi scosta una ciocca di capelli dal viso. Vuole guardarmi in faccia, e lo farà per tutto il tempo, mentre si muove dentro di me. I nostri corpi si incastrano alla perfezione. Trevor mi scava sempre più in fondo, ed io faccio fatica a trattenere le grida. Ma devo farlo, perché lui mi sta osservando. Trevor vuole vedere tutto, la pelle chiara del mio seno che si fa rossa dei suoi morsi, i muscoli tesi del mio ventre ad ogni affondo. Ogni spasmo, ogni emozione mi rivela. Ed è questo il segreto per possedere realmente una persona: la conoscenza.

Trevor vuole il controllo totale. Bene, io voglio altrettanto.
Voglio imparare tutto di lui, come si muove, come cammina, quante volte si spazzola i denti prima di andare a dormire. Voglio acquisire i suoi pensieri più intimi. Voglio conoscere la sua tristezza e farla mia, legarmi a quella smorfia ironica di disincanto che gli attraversa il viso.
Voglio il suo accento filo-inglese.
Voglio conoscere le ragioni del suo divorzio, quelle vere, non quelle che racconta in giro.
Voglio i suoi capelli biondo cenere fra le mie cosce.
Voglio divorarlo. Assimilarlo.
Questa volontà è tanto forte, tanto evidente, che mi si legge in faccia. Trevor ne è sorpreso, eppure non ha motivo di dubitare.
La mia faccia è la sua faccia, la mia volontà è la sua volontà.
Avrebbe dovuto prevederlo, prepararsi almeno un po’. È tardi adesso.
 


[da La vita sessuale dei camaleonti di Cristiana Danila Formetta - © 2005 Coniglio Editore]