Old devil moon deep in your eyes

di   Zoeblog

 


Stavo pulendo dei bicchieri. Ero soprappensiero, li pulivo delicatamente, osservando i riflessi sui calici; in realtà facevo questi gesti meccanicamente, sembravo concentrato sulla brillantezza dell’oggetto ed invece ero perso nei miei pensieri. Quel pezzo mi risuonava nelle orecchie, l’avevo provato e riprovato eppure quella strofa mi sfuggiva, forse avrei dovuto lasciarla entrare dentro di me, farla mia, senza ostinarmi a riprodurla fedele al suo autore. Con la mente provavo e riprovavo, i bicchieri diventavano sempre più puliti, strofa dopo strofa, finché non raggiungevo quella complicata e allora le mie mani si fissavano su un punto del calice e sfregavano, sfregavano a tempo di musica. C’ero quasi, mi sembrava di averla ricreata quando un suono mi ha distratto, d’improvviso mi sono visto dall’esterno e avevo uno sguardo assorto, le mie lunghe mani brandivano uno straccetto e sfregavano, sfregavano, i capelli seguivano il ritmo di Frank mentre lei avanzava delicatamente. E’ così che deve avermi visto la prima volta. Io ho guardato quelle scarpe alternarsi nel pavimento e quel suo incedere elegante mi ha spinto a seguire il suo corpo dai piedi fino al viso, sentendomi come rapito. Il suono dei suoi passi era lento e sensuale, la voce bassa e avvolgente, si è appoggiata al bancone sorridendo maliziosa ed io, con ancora il mio motivo nella testa, l’ho desiderata subito.
Aveva un bel corpo, magro ma rotondo, lineare, aggraziato. Portava dei semplici jeans, ma su di lei assumevano la consistenza della seta. Riuscivo a immaginare le sue gambe, e più volte ho rischiato di farmi sorprendere ad ammirarle il culo.
Voleva festeggiare il suo compleanno. Era lì con una sua amica in attesa della mezzanotte per un brindisi. Mi ha chiesto se saremmo rimasti aperti ancora per un po’, le ho detto subito di sì, voltandomi e cercando una conferma dal mio collega, non mi sentivo di negarglielo e poi avevo voglia di brindare anch’io ai suoi anni, alla sua nascita.
Lei si è seduta fuori, in compagnia della sua amica, ed io, ormai dimentico del motivo di Frank, ho trovato vari modi per giustificare le mie uscite in veranda.
Giunta la mezzanotte, lentamente e distrattamente mi sono unito al suo cin cin, nel frattempo un altro amico l’ha raggiunta, ma non era il suo fidanzato e poi non avrebbe fatto differenza, se voglio una cosa so come prenderla.
Mi piacciono le sfide, mi piace quando le mie prede sfuggono e se non scappano da sole faccio in modo che mi temano, che cerchino di evitarmi ma che rimangano comunque tentate dalla mia ambiguità.
Sono ambiguo e gioco a fare l’ambiguo, non ho ancora capito se il mio è un istinto naturale, un talento, un’inclinazione, una missione, un puro piacere o una condanna. Sta il fatto che quella ragazza è tornata di nuovo, quella giovane donna è stata attratta da me e dall’atmosfera del bar, dall’aria socievole e curiosa che vi si respira. C’è seduzione, gioco e lussuria intorno al bancone, io e il mio compagno siamo maestri nel creare quest’atmosfera. Noi diamo gli spunti e la gente ci aggiunge la propria personalità e così vediamo crearsi, sotto i nostri occhi, incontri, scontri, ammiccamenti, discorsi profondi, leggeri, nulli e intriganti.
Nulla sembra succedere tra le mura e tutto sembra accadere fuori, soprattutto nel mio appartamento.
Lei piano piano è diventata uno dei miei tanti obiettivi, lentamente l’ho circuita, avvicinata, messa a proprio agio, ricoperta di piccole attenzioni distratte, studiate e spontanee insieme, e poi un giorno l’ho sorpresa.
Più la conoscevo e più m’incuriosiva quella sua testa piena di pensieri; sembrava un vulcano a rischio di eruzione ed ho desiderato diventare la sua miccia per provare a farle esplodere quei pensieri, farli uscire allo scoperto e magari farli impazzire insieme ai miei, già contorti, già metabolizzati, già un po’ malati.
La consideravo intelligente, ma troppo complicata, una donna che si scontra giorno per giorno con la sua sensualità e il suo romanticismo. A volte queste caratteristiche si sposano perfettamente e a volte le vedi combattere l’una contro l’altra. La sua femminilità è sessuale, emana una gran voglia di scopare ma questa consapevolezza a volte la rende timida, incapace di affrontare le energia che crea, che sa di creare, ma che non ha ancora imparato a gestire. Ed io, ho desiderato tuffarmi in quest’inquietudine e provocarle ancora più confusione; ma poi mi sono spaventato del suo romanticismo incalzante, ha iniziato a guardarmi con occhi dolci ed ho subito desiderato chiudermi a riccio, costruire un muro tra noi, impedirle di oltrepassarlo. Eppure continuavo ad essere curioso, quel vulcano a rischio eruzione tentava la mia libido.
Mi divertivo a giocare con la sua sensibilità.
Il suo animo gentile, la sua profondità mi rendevano malefico. Subivo un gran fascino, ma allo stesso tempo desideravo sporcarla. La vedevo pura, timida, ma così sensuale da desiderare ardentemente di farle uscire la sua anima perversa, tentatrice e provare a renderla più consapevole e spudorata. La volevo leggera, forte, distaccata e fragile. Dicevo di agire così nel suo bene ma, dentro di me, desideravo distruggere quel romanticismo fuori luogo, inadatto al tipo di relazione che avrei voluto avere con lei.
Dico di amare le donne ma, dentro di me, desidero distruggerle, sporcarle, metterle al muro e provocare una reazione, qualsiasi reazione. Forse sto aspettando che qualcuna reagisca in modo violento alle mie provocazioni, che mi dimostri carattere, forza o semplicemente dolcezza, coccole, carezze tra i capelli, baci affettuosi per il corpo, sorrisi che accompagnano sguardi, poesia, banali tramonti e passeggiate in riva al mare mano nella mano. Ma poi non ci credo e voglio distruggere quella purezza, quel romanticismo senza senso, quei piccoli desideri che non oso confessare.
Una sera sono stato spietato con lei.
Era in un locale che mi stava aspettando, almeno credo. C’erano molti amici, molte sue amiche e lei roteava tra la gente sorridendo e timidamente, ogni tanto, osava avvicinarsi a me che non la degnavo né di sguardi né di parole. Provavo simpatia e fastidio per il suo ballo appassionato e sensuale, per quella sua socievolezza mista a malizia, per quel suo muoversi con naturalezza tra gli uomini e giocare a provocarli. Stava giocando soprattutto con uno, un uomo interessante e seducente, che accoglieva le sue provocazioni e vi rispondeva con altrettanto entusiasmo ed intensità.
Io guardavo e non guardavo. Ho ballato con tutte le donne della sala, felice e scherzoso, con tutte tranne lei. L’ho evitata per farla sentire meno sexy, meno piacente, per impedirle di usare la sua malizia anche con me e credo di esserci riuscito.
Ad un certo punto lei si è avvicinata per invitarmi a ballare e lì ho sferrato il mio attacco finale; non solo non l’ho seguita, ma con un gesto le ho sintetizzato tutta la mia volgarità. Le ho mimato di ballare sul mio membro e, come mi aspettavo, lei si è allontanata delusa e mortificata. Se avesse accettato, se si fosse seduta su di me e avesse ballato così, di fronte a tutti, sì che mi avrebbe sorpreso. Mi avrebbe fatto un bello scacco matto e avrei potuto iniziare a considerarla più donna, più sicura del suo potere di femmina. Ed invece si è allontanata come una brava ragazza in preda ad una cotta per un coetaneo, mmh, perché si ostina a provarci.
Non voglio che s’innamori di me, che si appiccichi come hanno fatto in molte, inutili e stancanti. Io sono in cerca della mia anima gemella, aspetto, valuto, scarto e non voglio perdere tempo con romantiche fanciulle in cerca di avventure coinvolgenti.
E intanto lei continua a ballare, piena di energia e ad intervalli si ferma dolorante per una gamba che le fa male. Io sono inquieto o forse lo sembro soltanto. Comunque penso.
A fine serata decido di scortarla fino a casa o forse l’ho sempre saputo, desiderato.
Lei aveva ancora male alla gamba e una parte di me ha ceduto a qualche atteggiamento tenero e protettivo. Sono entrato in casa sua e quasi subito ho ripreso possesso della mia distanza.
Avevo un bicchiere di porto in mano ed una penna nell’altra per provare ad accompagnare i miei pensieri con dei disegni e, con questa posa, ho iniziato a parlare, ad esternare la mia cruda sentenza, la mia verità, continuando a giudicare il suo comportamento e non smettendo di disegnare casette, spirali e stelline su un foglio bianco. Lei rispondeva teneramente ai miei giudizi, sorseggiando una camomilla e tenendo ben salda la sua tazza per scaldarsi le mani e forse il cuore.
Ha tentato anche di interpretare i miei disegni, ma invano. Le ho chiesto più volte di dirmi cosa vedeva, lei ha ammesso di capire ed io ho sperato che lo avesse fatto, ma poi non ha detto nulla e non ha capito. Chi vuoi che capisca cosa ho dentro, perché perdo tempo, qui, in questa casa ed è mattino ormai.
E intanto continuiamo a parlare, a spiegarci, a teorizzare invece di scopare. Non c’è nient’altro che possa unirci, ma poi decido una cosa e gliela dico. Le dico che non scoperò mai con lei, non accadrà mai, non ci sono le condizioni per viverlo nel modo giusto. Detto questo la guardo e ho voglia di toccarla. E’ lì, timida, con la sua tazza di camomilla in mano, che gioca a fare la seduttrice spudorata e non ne è capace. La vorrei baciare, abbracciare forse, avvertire quella insicurezza da fanciulla che nasconde la sensualità di una donna, ma poi freno questo pensiero.
Ma ad un tratto lei si alza, raggiunge il lavandino ed io l’afferro da dietro ed inizio a giocare.
Sono io che decido, le mostro tutto il mio potere esternando la mia stanchezza per questi giochi. Sono ancora io che, per l’ennesima volta, inizio dal collo e a scendere, le accarezzo i fianchi, il culo, la schiena, la stringo e poi dolce, ancora baci sul collo, spostandole la maglia con le mani, con i denti e giù ad interpretare il seduttore.
La muovo, la giro a mio piacimento e lei, docile, risponde finché una frase, una sua frase riesce ad accendermi, a provocarmi.
< Ci siamo annusati per giorni > mi dice < e questo annusarci, aspettare per poi annusarci di nuovo mi ha eccitato moltissimo. Ha reso questo momento più forte. > Allora sento che non sono da solo ma che anche lei sta giocando e mi lascio andare di nuovo.
Ci spostiamo per la casa.
Lei evita di baciarmi, vuole provare a ritardare la sua tenerezza, ogni tanto le scappa un bacio e allora si scusa per non esserci riuscita. Io la proteggo dicendole che anch’io non vorrei spingere ma spingo e allora, sorridendo, come ad aver riacquistato la sua sicurezza, inizia a guardarmi negli occhi, in silenzio, poi mi afferra la testa e prende a baciarmi, prima teneramente, con morbidezza, poi con forza, affondando la sua lingua nella mia bocca e provando ad afferrare la mia; io le nego per po’ anche questo poi cedo, spinto dal suo desiderio. Sento che si eccita a baciarmi e mi eccito anch’io.
La prendo e la spingo contro lo stipite della porta; io da una parte, lei dall’altra, poi l’afferro con più forza e lei mi spinge il suo culo contro di me, appoggiando le mani all’angolo della porta e disegnando un arco sensuale e provocante. Spingiamo entrambi, cercando di perforare la stoffa dei nostri vestiti, di renderla polvere, di disintegrarla col nostro desiderio. Mentre spingo, la guardo e la vedo donna e fanciulla insieme ed io sono amante e amico, spietato e dolce, controllato e libero. La sposto su una sedia, la voglio sopra di me, la voglio far ballare per me, solo per me, concedendole questa libertà di dominarmi con la sua passione. E lei continua ad essere fanciulla e donna, muovendosi sinuosa, mostrando tutto il suo piacere nel darmi il ritmo ed io l’assecondo felice. Mi sdraio di fronte a questa danza, alla sua morbidezza e in qualche modo mi sento bene, quasi a mio agio. Finalmente.
Poi, d’improvviso, ci alziamo per allontanarci l’uno dall’altra; insieme decidiamo di interrompere il piacere, riprendendo i nostri ruoli con decisione. Lei mi aiuta a rivestirmi di tutte le mie giacche, della mia sciarpa bianca da pianista sull’oceano e, insieme, riafferriamo il controllo come un oggetto che rotea nell’aria, io l’afferro per primo e ne do una parte anche a lei, o forse è lei che ne strappa un pezzo dal mio. Torno perfettamente in me, spietato come solo io posso essere.
Mi dirigo verso la porta, lei mi segue e la apre.
Si avvicina, appoggia una mano sulla mia sciarpa e guardandomi negli occhi mi dice: < Sai, non vorrei dirtelo, ma mi sono innamorata di te. >, un sorriso burlone accompagna la sua frase.
Calmo e fermo nella mia posizione, sforzandomi di mascherare il fastidio, le regalo una risposta secca: < La prossima volta te lo infilerò un pochino e poi niente. Te lo toglierò per lasciarti in balia del tuo desiderio insoddisfatto >.
E lei, con sguardo impassibile, come se le mie parole non l’avessero toccata, risponde: < Forse perderai anche tu qualcosa, non credi? >.
< Non ha importanza,> le rispondo < saprò come soddisfarmi, da solo o con un’altra, chissà. >
Ho provato a distruggerla ma forse non ci sono riuscito. A cosa sarebbe servito in fondo?
Esco da casa un po’incupito, annoiato, ma con un barlume di desiderio ancora in corpo. Chiudo il portone del palazzo e il chiarore della strada illuminata dall’alba mi aiuta a dimenticare.
Alzo il bavero della giacca, mi avvio e penso:< Altro materiale su cui comporre, nuova musica da cantare >.
Il mio ego è appagato, ancora un volta.