Angelo e l’algebra delle combinazioni casuali
Succedono a volte eventi imprevisti.
O solo rinviati, perché da tempo non passavi da quella strada e quel giorno
invece sì, per caso.
Oppure nati per una combinazione puramente casuale, algebrica e ignota, di
tempi. Se solo Angelo non si fosse fermato a guardare i libri esposti fino sul
marciapiedi di quella piccola libreria del paese antico forse nulla sarebbe
successo.
Angelo era sceso lì dal piccolo borgo in collina dove, ritiratosi dal lavoro a
seguito dell’incidente del cavalcavia - di cui portava ancora i segni nelle
giornate più umide quando camminava e a stento nascondeva il suo leggero
zoppicare – si era ritirato. I soldi dell’assicurazione e uno scivolo aziendale
gli avevano permesso di lasciare lavoro e casa di Milano.
Era tornato, quasi per scommessa con se stesso per vedere se si fosse medicato
col tempo anche l’altro suo male, alcune volte, l’anno prima alla stazione della
metropolitana e della ferrovia, all’ora che conosceva essere quella di Marianna.
Non è che avesse poi una voglia così reale di vederla arrivare.
Era a metà tra l’esorcismo e un piccolo atto di masochismo, come quando da
ragazzo si compiaceva di sentire pulsare, sotto la crosta al ginocchio, la carne
nuova e il sangue, nello scemare del dolore, dopo ogni caduta dai pattini o
dalla bicicletta. O una più cruenta partita di pallone su un campo che aveva
ghiaia fina al posto di erba proprio nell’aria di rigore.
Anche ora che da quasi tredici mesi viveva lì sulle colline, davanti a quello
che chiamava, prima ancora di trasferirsi in riviera, il suo mare, nei viaggi a
Milano, per pratiche residue connesse alla sua vita precedente, o quando
raggiungeva la moglie che era rimasta là vincolata dal lavoro quattro giorni a
settimana, tra visite alla Fnac, alla Feltrinelli di piazza Duomo o semplice
girovagare, si era ritrovato almeno due lunedì, a distanza di mesi tra loro,
davanti all’edicola di Cadorna, alla stessa identica ora.
A lavorare nell’edicola ora era una coppia di rumeni, giovani, sui trent’anni,
con lo sguardo triste e totalmente indifferente a qualsiasi cliente avessero
davanti.
E’ ovvio che Marianna, in quei lunedì lui non la vedesse arrivare.
Ovvio per chi sa che Marianna aveva cambiato lavoro, orari, abitudini e rotto
già prima di quel cambio la tradizione di un rito che non voleva più celebrare.
Non era ovvio affatto per Angelo che di lei da quell’ultima giornata spesa nella
baita in compagnia di Martina e di quell’addio mai pronunciato tra loro due, di
lei aveva perso, all’inizio volutamente, poi per necessità e fili della vita che
si erano da soli ingarbugliati, ogni notizia e ogni cognizione. Aveva, sei mesi
dopo l’incidente, comprato invece la casa al mare. Non quella visitata
all’epoca, ma un’altra, leggermente più in collina. E lì viveva.
Anche per questo fu più forte lo stupore.
Sceso ad Albenga per una notte blues estiva,
uscito dalla libreria, nella piccola folla di persone colorate che sciamava
nelle piccole strade, perdendosi con lo sguardo dietro a mille persone, come era
sua abitudine fare, ebbe quasi un sussulto quando vide, o gli parve di vedere in
una coppia di giovani donne, una decina di metri oltre il piccolo muro di tshirt
e gambe abbronzate, e teste, lei.
Ebbe un attimo di stupore incredulo, quel tanto di sospensione tra il vedere, il
pensare e l’agire che fece sì che la piccola folla inghiottisse le due donne e
gli togliesse la possibilità di mettere a fuoco bene e realizzare. O anche solo
raggiungerle per controllare.
Si fece largo tra la folla e si incamminò nella loro stessa direzione.
Ma non riuscì a vederle.
Provò, tornando sui suoi passi a percorrere anche un paio di vicoli laterali, il
centro antico del paese non è così grande, si disse. Incrociò visi che lo
salutarono, altri che come lui erano scesi al mare per la notte musicale, e che
non si fermò a salutare.
Scansò con malcelato fastidio un gruppo di tedeschi, che, fermi, ostruivano la
via assai stretta e lo fecero ancora rallentare. Poi giunsero le prime note
degli accordi, dopo che la musica del disco fatto suonare in attesa del concerto
si interruppe. La voce del bluesman che introduceva la serata.
Sbucò nella piccola piazza, alle spalle del palco, al sorgere dei primi accordi
di chitarra e delle prime note dell’armonica..
Convinto che – comunque - non potesse essere lei.
Nemmeno i capelli erano i suoi, troppo corti quelli della ragazza che però aveva
creduto di riconoscere in un istante solo. Entrò nel bar alle spalle del palco.
Ordinò una spina piccola perché aveva sete e se la sarebbe potuta gustare fuori,
davanti al palco, sulla piazza dove la piccola folla si era fatta densa e nera
al calare dell’ultimo ricordo e riverbero del sole, e al sorgere delle prime
note inalberate e poi trascinate in malinconia vitale di un pezzo di John Lee
Hooker.
Quando si sentì chiamare per nome quasi si rovesciò la birra addosso.
Ancora lì al bancone, la birra in una mano, il resto di due euro nell’altra
riconobbe in quell’ “Angelooo” la voce.
Si voltò e la vide.
Marianna coi capelli corti, come mai l’aveva vista prima, persino il colore del
viso era diverso, perché in questa estate forse lei doveva aver preso molto
sole.
Fu certo che, al momento del bacio, le bocche non si fossero trovate solo per
uno stupido pudore.
L’amica di Marianna parlava con uno sconosciuto fuori dal locale.
Angelo non seppe negare alla sua mano una carezza al viso di lei.
Poi sorrise.
E lei rispose.
(primo capitolo del secondo romanzo di Angelo e Marianna)