Gli Olmi
L’uomo cammina sfiorando il ciglio della strada.
Un passo che si incolla a quello precedente, si fa tratteggio sul suolo pestato
riga retta perfetta quasi, ininterrotta nella sua sequela.
Passo dopo passo…l’uomo, dal cielo se fosse giorno e un uccello in volo lo
vedesse sarebbe passo di lumaca e scia immaginaria il percorso alle sue spalle.
Lascia al suo lato destro una fila di olmi.
Allineati….un olmo ogni 20 passi. L’uomo non lo sa perché non conta i passi, e
gli olmi che si presentano anche loro in fila sembrano all’occhio distratto nel
buio della notte sempre lo stesso tronco e la stesa ombra.
Ombra nell’ombra.
In fondo, la casa.
Una luce accesa sulla porta, la lampadina è gialla.
Alone prima simile alla brace di una sigaretta lontana.
Ora che di olmi alle spalle ormai ce ne sono molti, la luce non è più brace
lontana ma alone. Latte cagliato giallo che si spande lungo il muro. Latte di
aliena forse, un poco fluorescente sulla vernice nuova della vecchia casa.
L’uomo vede e non guarda. La strada è sempre quella.
La luce anche. E gli olmi, e i passi… non si accorge nemmeno di posare i piedi
nelle sue impronte precedenti, vecchie di anni.
Dentro la casa, lei.
Lei che lo ha atteso lungo il viale così spesso.
A percepire al chiuso delle mura..solo all’ultimo.. solo all’ultimo.. quando il
passo è vicino e la ghiaia canta più forte sotto il piede, il suo arrivo.
Arrivo rinnovato a consumare amore e passione. Notte dopo notte.
Lei coi suoi seni di donna ormai matura, celati a stento in camicette troppo
strette.
I fianchi ampi, la gonna corta che ne fa cintura.
Alla luce del piccolo camino i capelli sono fiamme. Riccioli che scappano alle
dita alla carezza dell’amante.
Serpenti animati di vita propria nelle scosse dell’amplesso.
Se lei è sopra, e lui, l’uomo degli olmi è sotto.. quei serpenti si fanno
cascata. A sferzare il viso nel momento culminante. Quando lei si inarca e poi
precipita sul petto.
Si immerge in lui.
Serrandolo stretto.
Ai piedi la donna ha vecchi sabot di cuoio chiaro, appena appena un po’ spellati
in punta. E’ il vizio di aprire quella porta che porta alle stanze sempre
spingendola col piede.
Anche se le mani non sono occupate, spinge lì in basso, la porta è un poco
stinta e il sabot scuoiato. Spinge e apre così.
Anche quando potrebbe farlo con le mani, anche quando non ha lui stretto che la
forza verso la stanza o magari non entrano baciandosi e senza sciogliere le
bocche.
La donna che ha quel piccolo rito di ogni incontro. Che offre il taglio senza
pelo alcuno alla sua bocca e ai suoi occhi. “Mi sono fatta nuda tutta, non ti
nascondo nulla. Carezzami, socchiudimi, esplora il taglio e fallo burro alle tue
dita”
La donna.
L’amante sua da anni.
L’uomo ha lasciato alle spalle il penultimo olmo adesso.
La luce della lampada ha allargato alone e si è fatta vernice di luce sul muro
lì davanti.
L’ultimo olmo.
Sa che la porta sarà aperta.
Come sempre, come ogni loro notte.
Lei non la chiude mai, lontana dalla città e dalle sue paure di ragazza. La casa
lì rimane aperta come l’orizzonte quando camminano sul colle a volte.
E la città e il suo buio quotidiano sembrano lontani, là sotto.. in fondo in
fondo.
L’uomo e la donna che salgono al colle tenendosi per mano.
L’ultimo olmo.
La mano sulla porta, la maniglia gira.
L’uomo sente solo il rumore delle rane al fosso, intorno, nascoste nell’erba ad
aspettare la cena notturna, l’insetto sciocco che si attarda.
La porta gira sul cardine oliato, la vecchia porta che lui le ha riparato, a
togliere anche quel cigolio di cardine vecchio che così stonava nel silenzio
delle notti lì in campagna.
La porta gira su se stessa. Ora rimane aperta alle spalle dell’uomo, davanti a
lui filtra la luce da quell’altra porta, quella interna, che nasconde o disserra
le stanze.
Scivola gialla sotto la soglia, luce che si fa acqua al pavimento.
L’uomo ha la mano in tasca.
Nella mano il coltello.
Li ucciderà entrambi stanotte.
La donna coi seni di donna matura e lui.
L’altro...