I Got That Old Kozmic Blues Again Mama

 

 

 

 

 

 

 

Dal blues al blues.
Dal suono al cuore.
Dritta come una freccia sale dall’interno.
La musica.
La collana di note e suoni.
Dicono: conosci la musica?
Cosa vuol dire poi quel conosci…Che l’hai incontrata?
Hai avuto con lei uno scambio profondo di emozioni, umori, orgasmo?
 

I’ve got that old kozmic blues again, mama…
 

L’uomo del blues.
Il blues.
L’uomo del blues.
La donna.
Sdraiata sul divano.
I jeans stretti e bassi sulla vita.
E la maglietta azzurra a marcare la curva dei seni.
 

I got that…
 

La testa, sua, di lei, sulle ginocchia.
E la mano dell’uomo a farsi strada.

A tendere il tessuto lì, dove il cerchio serrava prima il collo. La mano.
Scosta e si fa strada, scivola lumaca, lenta e profonda

come il sasso gettato in fondo al pozzo dalla luna.
La mano che tende quel tessuto ora. Lo gonfia, allontana il cotone dai seni , lo solleva.
Scompare anche il capezzolo teso e duro alla vista, ora, sotto la tenda improvvisata e alta.
La mano è una lumaca che sfiora e che lambisce,

scivola su una scia di pelle fresca e chiara.
La mano si fa coppa e serra, imprigiona. Il palmo caldo sul bottone assapora il chiodo.
Teso e duro.
Inchiodagli la mano così, su quel divano, ora.

Trafiggila col desiderio che ha gonfiato e sporto il tuo bottone.
La mano.
Il seno.
Le dita che si fanno ragno e vanno in giro.
Lasciano piccole orme scostanti e tracce segrete, percorsi contorti e scarti improvvisi, angoli di pelle sul seno e intorno a rabbrividire e farsi buccia.
Si allargano pian piano . Le dita, come se si staccassero quasi dalla mano.
Sotto la maglia la donna sente 100 dita

anche se sono solo cinque a giocare ora col suo seno.
L’uomo gode con gli occhi il piccolo inarcare dei fianchi, più in basso, sul divano, l’ombra che si disegna sotto l’arco rialzato a scatti, musica di desiderio che si accende e ogni tocco ravviva di vento sotto le sue dita. I fianchi parlano, per il seno che sta zitto e che assapora.
Telecomando di nervi e note.
Poi le gambe di lei, quasi incrociate a stringere e spremere da sole la vita e il piccolo mare salato che lei serra in mezzo, a comprimerla da sole a gonfiare il pensiero e il bottone più nascosto, come per trattenerlo nell’ansia che si alzi e fugga.
L’uomo dirige l’orchestra.
Di seno, fianchi, cosce serrate e gambe accavallate a stringerle per imprigionare il primo sospiro che si agita sotto il tessuto blu dei pantaloni della donna.
La mano stringe il seno. Poi le dita tonde come se fossero un mulino a circondare e stringere, fare sempre più stretto e concentrato il contatto intorno al cerchio e poi il bottone scuro.
 

I got that old kozmic blues again,

 

e la bocca di lei ora è serrata..trattiene il fiato e le parole.
Non c’e un ordine espresso nelle parole dell’uomo, nessuna richiesta, nessuna parola tra l’altro,l’uomo tace, in ogni caso.
Parla la musica suonata con le dita.
La donna muove la lampo ad aprirsi come buccia di banana matura, la buccia si scosta, scopre un lembo di pelle, scende ancora il taglio zigrinato del tessuto adesso, a scivolare schiudendo all’occhio il bianco del cotone sotto.
Alza le reni un po’ più alte, e la buccia si sfila.
Ora è a terra, a fianco del divano.
Due gambe di tessuto incrociate, piegate su se stesse in un piccolo mucchio azzurro, sbiadito.
Nessuna parola ancora.
Solo la musica, l’uomo e le sue dita.
La mano della donna allora si fa strada sotto l’elastico, e la macchia triangolare e bianca in cima alle colonne ancora strette.
Si piega il polso.
Riparte il ponte delle anche e dei fianchi a sollevarsi sul divano.
Un ponte di carne unisce le dita ormai padrone del suo seno e della pelle che toccano decise e capricciose e la sua mano.
Affonda un dito scostando l’umido di una porta già socchiusa.
L’uomo si china sul volto.
Bacia la donna e le canta il suo blues con la lingua.
Scosta le labbra, sposta la lingua che attendeva e canta.
 

I got that old kozmic blues again mama.
 

Parole mute mosse dalla lingua sulla lingua.
L’uomo si alza, gira a fianco del divano.
Scende il sipario bianco, il triangolo piccino, quasi da ragazza e non da donna, sulle cosce. Sui polpacci della donna adesso… a scoprire la mano e la sua esplorazione, esposta, offerta agli occhi e alla luce.
La donna suona da sola il suo blues per l’uomo.
Accompagna con le note delle dita i gesti lenti con cui l’uomo si spoglia.
La musica è la sua, le note anche, rinnova una melodia che ama comporre spesso, quando è sola, oggi per lui è la musica, e quelle notti prima erano solo forse le prove generali di un concerto, la costruzione e la ricerca delle note da offrire all’uomo che le è davanti adesso e gurada.
Lui prende la mano della donna, libera la stanza dalla dita.
Scosta le gambe di lei. Una è schiacciata alla spalliera, sollevata, la piega del ginocchio e il piede che si pianta nel cuscino.
L’arco del piede teso come per lo scatto in pista e le dita sprofondate nel tessuto e nel cuscino.
L’altra ricade e posa adesso sui jeans ammonticchiati.
Il palmo del piede sulla fibbia fredda e dura della cintura.
Difficile dire se il brivido è causato dall’improvviso freddo sotto il piede.
O dalla musica che corre e scivola sui muri.
Dalla salita dell’uomo calda e scura.
Il disco finisce e loro stanno suonando il loro blues ancora.
Ancora.


Dedicato.
Dedicato a Muddy Waters, Koko Taylor, Sonny Boy Williamson, John Lee Hooker, Janis e ai Maestri delle note, tutti.
Dedicato alla donna e al suo blues, la musica che amo, le sue note.
Dedicato ad un divano azzurro che aspetta ancora lei.

 

 

 

 

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