Cosa ti
succede quando la lussuria non giace più quieta, ma si risveglia
dal suo torpore? Quando si affievolisce quell’assuefazione data
dai gesti quotidiani, dai soliti amplessi, cosa ti succede?
Quando il pulsare di un semplice orgasmo non basta a drogarla e
a farla impigrire?
Io mi sdraio.
Le lenzuola bianche e sfatte mi fanno da cornice.
Il viso rivolto verso l’alto, le braccia lunghe dietro la
schiena. Le ginocchia piegate e leggermente aperte.
Nuda.
Solo sottili mutandine nere a spezzare la carne bianca del mio
corpo. Non le tolgo perché mi piace il gesto di farmele tirar
via. Dita ferme che sfiorano la pelle afferrandole. Facendole
scivolare fino alle caviglie.
Chiudo gli occhi.
Ti penso sai?
Penso che se fossi lì, in piedi accanto al letto, mi guarderesti
serio mentre infilo due dita sotto il tessuto degli slip. Mi
guarderesti senza dire una parola. Senza toccarmi, prima, per
assaporare e farmi assaporare in silenzio quei miei momenti di
solitario piacere. I tuoi occhi umidi, attenti, seguirebbero e
rincorrerebbero ogni mio gesto. Le labbra schiuse e ammorbidite,
ogni volta, dal passaggio della lingua. Le mani nervose.
Impacciate.
Ti immagino come un ombra nella stanza che poco a poco prende
forma. Come un capriccio senza volto che lentamente prende
colore.
Con gli occhi chiusi insistentemente continuo il mio viaggio
verso il punto più caldo. Lo sento pulsare ed agitarsi sotto il
palmo, tra le dita. Trovo quel piccolo sesso sporgente docile e
cedevole sotto i polpastrelli.
Nell’istante stesso in cui lo sfioro un tremito mi fa vibrare.
Le dita percorrono la fica nella sua lunghezza, arrivando
all’ingresso. Sfiorano, lambiscono, rasentano.
Premono ed entrano per pochi attimi prima di uscire ancora
portandosi dietro i primi umori. Poi ripercorrono veloci la
strada al contrario. Passano sul ventre, sui seni. Le labbra si
schiudono al loro avvicinarsi. La lingua esce a cercarle, va
incontro alle dita. Le infilo in bocca, arrivando fino in gola.
Le lecco intorno, in mezzo, come un serpente che insidia ed
avvolge la sua preda. Le succhio leggermente, con gli occhi
chiusi, dissetandomi di un’acqua primitiva. Poi tornano ad
esplorare colanti di saliva la fica aperta. Le appoggio di
piatto come una lingua tra le cosce. Le muovo avanti e indietro
come un cazzo che cerca di entrare.
Con gli occhi chiusi ti vedo lì, avvezzo dal momento. Inerme
come un bambino davanti una vetrina che brama il suo giocattolo
preferito.
Noncurante dei tuoi sguardi proseguo il mio gioco. Le dita sono
già pregne dell’orgasmo che deve ancora arrivare. Le muovo più
velocemente. Non voglio farti aspettare troppo. Voglio farti
gustare la scena.
Mi sembra quasi di sentirti. Con gli occhi chiusi il tuo
profumo, adesso, mi violenta le narici. Sento il tuo respiro
farsi caldo, incalzante. Segue il mio con lo stesso ritmo, cerca
di starmi dietro.
Con gli occhi chiusi ti vedo. La bocca aperta come se qualche
goccia del mio sperma ti fosse arrivata alle labbra. Passi la
lingua e ne segui il contorno. Le tue mani iniziano a cercarti
sotto i pantaloni. Sento il frusciare della stoffa flebile ma
veloce.
Godo.
Con gli occhi chiusi.
La schiena si inarca, la testa rivolta all’indietro. Le mani
entrambe tra le cosce accolgono i succhi del mio piacere. Le
tengo lì, con il palmo che preme lievemente sulla fica aperta,
fino a che l’ultimo spasmo non se n’è andato. Finché non smetto
di tremare. |
Ho macchiato il letto. Le lenzuola bianche.
Sei lì, in piedi, ai bordi del letto. Le tue mani cercano docilmente di
liberare il cazzo costretto dall’elastico. Mi guardi mentre ti guardo.
Chiudo gli occhi. Faccio finta di dormire.
|
Io
mi inginocchio. Di fianco al letto.
La piccola ha spremuto il succo per il suo padrone.
Seduto sulla sedia, lei gli si è offerta.
Ha fatto danzare su di sé le dita. Fino a far svanire in onda di eco il
ritornello dell’orgasmo, il disco lì si è perso a sfumare ed è svanito.
Era un regalo e un punto di domanda. |
|
Seduto sulla sedia sapevo che anche ad occhi chiusi nel momento del
piacere tu vedevi la mia mano. Potevi aprirli ed
averne certezza.
Del risultato su di me del tuo gioco. Del regalo che sapeva alla mia
bocca, mentre mi passavo la lingua sulle labbra guardandoti, di
provocazione e di fica.
Potevi avere certezza aprendo gli occhi anche un istante solo, di
come quelle cosce sollevate e l’esplosione della tua fica, frutto
maturo aperto dalla voglia, lì, stampata tra le cosce larghe e
sollevate, offerta per essere toccata solo dai miei occhi, avessero
sortito totale inequivocabile effetto e mosso la mia voglia.
Non li hai aperti perché sapevi che non serviva.
La mano mia sfregava sui pantaloni, lentissima. Senza alcun rumore.
Un sesso che cresce sotto il ripetersi di una carezza non grida.
Senza voler anticipare nulla, era quasi meccanico il mio gesto,
comandato non da me ma dal capriccio abile su di te delle tue dita.
Lunghe, con le unghie lucide di latte caldo.
Quante volte si è masturbata così la mia donna?
Quanto ha esplorato se stessa per scoprire ogni ansa del percorso,
dal pensiero all’approdo? Quando fu la prima volta?
Sei stata dolce e comprensiva.
Non doveva essere una mia tortura. Era un regalo, il tuo.
Farti giocattolo erotico per me.
Il mio film privato.
Godere solo per i miei occhi, farmi vedere quello che, scopandoti,
tutto è impossibile che io veda.
L’incrocio in punta di dita della mia piccola ragazza con la più
seducente spudorata puttana. Unite in me indissolubilmente, come
quelle due dita fradice con cui ti sei scavata.
La tua fica aveva un sorriso strano. Ammiccava. Provocava. Lambiva.
Restava aperta dopo ogni carezza come se fosse stupita.
Ho trattenuto le parole più dure e più taglienti, un omaggio che si
vestirebbe da offesa se fosse espresso mai disgiunto
dall’eccitazione e dal desiderio, quelle con cui ti chiamo quando mi
sconvolgi e sei per me soltanto la mia fica calda, il mio guanto di
pelle rivoltata, il calco del mio cazzo in cui cerco la vita.
Se tu avessi rallentato ti avrei chiesto di andare oltre, di
accelerare, di farla finita, di venirmi in faccia, con le parole più
crude di chi regge ancora solo per poco l’attesa.
Non hai rallentato ma hai pompato me di voglia senza sosta,
incantato a leggerti le dita. Cosa scrivevi lì sulle tue labbra ?
Quando le intingevi a rinnovarne inchiostro caldo.
Cosa disegnavi sul tuo seno umido di cerchi e righe. Di soste e
punti di sospensione quando assaporavi coi capezzoli la minuta,
fragile e poi irruente scrittura…
Mi sono perso nel guizzo delle tue cosce quando sei venuta. Le hai
contratte poi rilasciate lunghe, quasi violentemente tendendone i
muscoli, sul lenzuolo. Tese sulle tue dita strette al centro del
compasso accostato, mentre inarcavi la schiena.
Ora io sono in ginocchio.
Di fianco al letto, le cosce superano di poco l’orlo del lenzuolo e
l’inizio della sua discesa a lato del materasso. Ti sono
vicinissimo, tu sei sdraiata.
So che non dormi.
Sotto le palpebre assapori. Prima il rumore della lampo.
Poi il piccolo ansimare con cui faccio saltare, quasi goffo perché
l’asola è stretta e lui non ne vuol sapere di sfuggirle, il bottone
di metallo in cintura.
Il fruscio impercettibile della camicia tirata fuori e lasciata
cadere come un tendaggio.
Con la sinistra serro il cazzo. Sono vicinissimo al tuo cuscino e
all’altezza giusta perché se tu volessi, in un attimo solo potresti
farne in gola un sol boccone.
E’ caldo in mano e dopo un istante trova piena vita. Scopro la testa
perché il taglio in punta, sopra il triangolo di carne rosa, possa
respirare.
Vorrei dirti di aprire gli occhi.
Di guardarlo lì in punta, così da vicino, quel taglio di uomo che
sembra una piccolissima fica.
E’ schiuso come ti schiudi tu. Come ti sei schiusa prima.
Solo, lui non suda la voglia.
Devo bagnarmi io la mano di saliva per renderlo lucido come le tue
labbra e, verniciandolo, dargli una tregua all’arsura.
Bagno di saliva il palmo e lì lo racchiudo. Stendo la saliva
nascondendolo nel cappuccio delle dita.
Aprili quegli occhi, guardami negli occhi mentre mi faccio replica
di te. Vorrei chiedertelo ad alta voce.
Ma questo silenzio mi fa gola, mi accresce la percezione di ogni mio
gesto qui davanti a te, per cui taccio.
Non lo faccio, non te lo chiedo, ma come se tu avessi letto
attraverso gli occhi socchiusi il linguaggio dei muti delle mie
labbra mentre lo pensavo, sei tu che li apri da sola.
Mi guardi in viso, sembri aprirmi gli occhi, vediamo chi li abbassa
prima…
Comincio a far correre in modo inequivocabile la mano serrata
all’asta.
Senza distogliere lo sguardo dal tuo.
So che vuoi leggermi negli occhi quel che sento e che vuoi che io mi
senta osservato fino al midollo della schiena.
Rarefacendomi il fiato ad ogni discesa e risalita.
La moquette mi morde le ginocchia, me ne rendo conto solo ora che
per aumentare il piacere della corsa della mia mano le ho allargate
senza sollevarle dal suolo. I pantaloni sono tesi tra le gambe fin
dove la lampo lo consente.
Il cazzo sfiora quasi il cuscino con la punta quando lo dimeno ora.
Con una mano scendo sotto l’asta. A spremermi lì dove nascondo il
mio sperma, e carico per la fuga verso di te i miei umori.
Tu nuda, sul letto che accoglie la tua impronta sul lenzuolo
stropicciato, mi guardi.
Scendi con lo sguardo quasi a controllare la mano che mi stringe il
sacco corrugato e stretto. E l’altra.
Che sale e scende. Accelera e io mi sento quasi giungere alla fine.
Poi rallenta.
Carica la molla come un orologio. Un giro e poi più stretta un altro
giro.
Ad ogni giro, ad ogni corsa lungo il cazzo, la molla si stringe. Si
carica di pressione. La sento quasi vibrare sotto, molla invisibile
tra culo e coglioni.
Tu mi guardi in viso e sorridi.
Sembri quasi dirmi “Aspetta. Ti voglio dare io il via. Il permesso
di porre fine al mio spettacolo da letto”
Sono affannato e teso nelle reni. Respiro di diaframma, respiro
corto come corto è l’intervallo adesso tra il raggiungere la cima e
battere scendendo contro l’altra mano che mi serra i coglioni.
Sussurrerei ti amo con la voce che non riuscirebbe a farsi suono ma
solo ritmo del respiro.
Dimmi che posso. Che posso ora.
Che posso dare gli ultimi violenti colpi, essere pari con il tuo
piacere, poi fermarmi al salirmi dell’onda e poi ancora. Due, tre,
quattro volte a farla correre calda, risalire a getto, aprire
l’occhio in punta.
Onde successive, un orgasmo a trattini come un SOS, sempre più corti
a morire sull’orlo del lenzuolo.
Non parli. Ti prendi lo spettacolo che ti sto rendendo io.
Hai una mano tra le tue cosce adesso, come prima l’avevo io sul
cavallo dei miei pantaloni.
Accavalli e incroci le gambe sdraiata sul lato.
La mano è nascosta fino al polso. Passi la lingua tra le labbra.
Lentamente, fissandomi quasi per sfida.
Lo sai che se mi guardi così io mi dissolvo. Che non ho più alcun
freno.
Che hai girato l’avviamento, schiacciato a chiodo, rotto ogni freno.
Una volta. Poi dopo un impercettibile istante. Due. Tre.
Bagno due volte il lenzuolo dopo aver toccato te sul seno col primo
getto.
Carezzi il fianco, poi sali al seno dove ti ho bagnata, con la mano
che hai liberato dal morso delle tue cosce.
Stendi il tuo piacere mescolandolo al mio sulla tua pelle.
Poi, senza lasciare i miei occhi, mi carezzi il viso.
Posi la mano piatta, umida, sulle mie labbra.
La bacio e la carezzo con la lingua, leggo la tua linea della vita.
Seguo la mano col mio bacio mentre la ritrai, senza scostare le
labbra. Come se guidasse lei il sollevarsi delle ginocchia rosse di
moquette sfregata e la mia risalita.
Sono sul letto ora. Vestito, coi pantaloni ancora aperti in vita. Di
fianco a te.
Riprendo il ritmo normale della vita e del respiro.
Tu ti rannicchi sulla mia spalla, affondi la testa trasformandola in
guscio e cuscino. Ti rannicchi sul fianco, alzi le ginocchia, sembri
un’ecografia felice, persa nel ventre di tua madre, e ti lasci
stringere dal braccio che ti accoglie fino ad aderire col seno al
mio costato.
Io ti proteggerò.
Io sono l’acqua dove navighi e ti vedi rispecchiata. Sono il porto
dove ora puoi dormire.
Lo sai in quell’abbraccio che ti tiene e in cui ti lasci dormire. Se
già non lo sapevi. Prima. |
|