La ragazza e’ scesa al mare in motorino.
Lunghe gambe brune di sole, a cavallo delle ruote, serrata in un pantaloncino stretto come una pelle sulla pelle. Puoi vedere il rilievo delle mutandine del bikini, sotto il cotone bianco teso sulle sue anche. Delinearne la curva ai fianchi, alta e sgambata del piccolo triangolo celato sotto.
Il triangolo e’ strettissimo li, sotto la schiena.
L’orlo che spunta, occhieggia una sottile banda, quasi un filo oltre la fine dei pantaloncino in alto, dove esce ribelle e si staglia blu scuro. Lei ancora flessa a cavallo, piedi a terra spunta oltre l’orlo della cintura l’inizio dello spacco dei glutei e della curva del suo culo.
E’ scesa con una sacca blu da marinaio gonfia, ma nemmeno troppo.
Camminando tra le persone stese a terra, chi in pieno sole, chi alla ricerca di ombra sotto piccoli ombrelloni, alcune storti nel palo a furia di cercare fossa in spiagge di sabbia non cosi sottile e docile ad essere penetrata dalla punta. Lei avanza di traverso a meta’ spiaggia, in cerca.
Ora lei stende il telo. Blu, scuro, cotone carico di notte. Lucertole, ramarri forse impuntati a rilievo, tutto intorno alla bordura. Piu’ scuri solo per il cotone piu’ alto che da loro stacco sullo sfondo. Tende, chinandosi a tendere il telo, il tessuto dei pantaloncini fino a farne temere la rottura, l’esplosione felice, flessa a saturarne di culo ogni fibra.
China, la maglietta si abbassa e rivela la forma dei seni che si allungano in quella posizione ma solo un pochino, verso il basso, come quando a letto si offrono cosi alle mani che li cercano per tenerla sotto. Sono forti, abbastanza piccoli e felici da non temere gravita’ persino in quella posizione.
Colmano all’occhio solo la curva della maglietta blu scura che si fa cornice. Drappo che si pare e li contorna.
Il solco che li divide e’ fondo e scuro in questa posizione, alveo di fiume scavato per fare felici mani, lingue e salive. E’ impossibile ai tre ragazzi seduti lì di fronte, quando lei si china, non perdercisi dentro almeno un istante con lo sguardo, alla ricerca di ombre nascoste e anse segrete da scoprire.
L’attaccatura e’ alta, ampia. Forte.
La ragazza alza le braccia, calcando i piedi al centro del telo, affossandolo un po’, arricciandolo intorno ad essi muovendosi lì sopra, a proteggere i piedi nudi dal calore vivo della sabbia. Afferra ai lati la maglietta blu e la fa correre lungo la schiena.
La sfila.
I seni sono solo leggermente meno abbronzati del resto del corpo, ora sono alti e nudi, quasi di bronzo anch’essi, segno evidente che a volte li espone liberi al sole. A volte li cela.
Passa dal collo il laccio del pezzo alto del costume, calza le piccole coppe blu scure, quasi carezzandosi i seni nel vestirli col tessuto.
Come volesse far trovare l’esatto posto ad ogni centimetro di pelle, nel contrasto dei colori, quasi ci fosse un calco non prescritto ma preciso, per i capezzoli e le curve, da rispettare, volta dopo volta.
Poi, i polsi dietro la schiena, le scapole inarcate nello slancio, e il seno esplode gonfio in quella posizione. Lei sembra quasi legata o ammanettata. Per un istante.
Il tempo di chiudere un fermaglio, e tutto e’ finito.
Appoggia meglio la sacca a fermare il telo. I sandali indiani di cuoio scuro all’altro capo.
Lecca la pelle di crema solare.
Le spalle, dopo aver fatto piccola coppa con le dita. Il collo, e l’apice dei seni.
Distribuisce e tende la crema finche’ ne rimane solo il ricordo lucido sotto il sole, sulla pelle. Anche scivolando leggermente sotto il tessuto, torno torno ai seni.
Poi torce a destra e a sinistra, cerca di raggiungere la schiena, si fa quasi vite, la vita, magra, tesa.
Segnata da fianchi ben decisi.
Seduta alza una gamba dopo l’altra. Sale di crema dal dorso del piede alla caviglia. Circonda e tornisce polpaccio dopo polpaccio, coscia dopo coscia.
Disegna lucido tra le gambe e sopra il pube il confine del tessuto e della pelle.
Carezza in alto tra le cosce, fino al punto dove finisce il piccolo tessuto che copre a malapena un sesso chiuso e caldo.
I ragazzi, avranno pochi anni meno di lei probabilmente, non la mollano un istante, quasi sfacciati.
Non si premurano nemmeno piu’ ora di far finta di guardare altrove. Lei finge solamente di non notarli e toglie un residuo inesistente di crema con la punta di due dita proprio li sotto.
Quasi cercandolo con minuzia. E con lenta minuzia lo rimuove, quasi sfiorandosi sotto il tessuto le labbra col dorso della mano flessa.
Lei non li guarda e continua quel poco che le resta della cerimonia della crema. Ora sul ventre e su fin sotto seni, all’ombra.
Lei, che si lecca di crema, impudica ma quasi infantile a volte, con la minuziosa calma e la determinazione della lingua del migliore amante.
Io arrivo che lei e’ già a farsi cuocere la schiena.
Le gambe un po’ allargate. Il piccolo costume tirato e attorcigliato su se stesso al punto di scomparire tra i glutei lucenti.  Il reggiseno morbidamente slacciato sul telo blu notte, i laccetti sui ramarri, l’ombra del seno compresso che si allarga e prende volume, e curve, tra corpo e spiaggia.
Lei si solleva e i seni hanno sulla pelle segni piccolissimi lasciati a calco dal cotone del telo.
Si sono fatti negativo di velluto all’occhio con cui li carezzo.
Si alza in ginocchio mentre mi chino.
“Non arrivavi piu’. Credevo non fossi riuscito a liberarti oggi”, con una piccola smorfia a meta’ tra il prendermi il giro e il sollievo di un sorriso per il mio nuovo arrivo.
Arrivando avevo trovato posto alla moto proprio a fianco del suo motorino. Baia dei Saraceni, presso il Malpasso, due nomi che da soli valgono un romanzo di avventura, gia’ solo a prenderne la strada per arrivarci.
Spostando sotto i piedi il telo e sconvolgendone la simmetria quasi perfetta al suolo, mi chino e la bacio. Un bacio che incontra crema solare e sudore mio nello strofinio dei volti. Le lingue che sono calde come la sabbia quando corri alle docce senza sandali o infradito.
O almeno a me cosi pare al primo istante, al tocco delle lingue e quasi obbliga a muoversi e cambiare senza sosta posizione alla propria intorno, sopra, sotto contro l’altra.
Poi stendo un telo di colore uguale. Sfilo la polo e aspetto che lei cominci a dipingermi la pelle di crema e di carezze. Che giochi e indugi spalmandola con le sue malizie di ragazza come ama fare.
E come io amo che faccia.
Che scivoli sotto i boxer del costume azzurro, impudica, mentre mi increma, e io cerco di evitarlo, o almeno faccio finta di schernirmi ed evitarlo, cercando ogni volta di celare il mio imbarazzo tra persone sconosciute coricate intorno dappertutto.
Che giochi con le sue incursioni rapide e fugaci, di dita sottili e nervose, veloci e precise che sanno afferrare e stringere assai in fretta, fino a vedere i miei pantaloncini tendersi e gonfiarsi. Mentre le tira fuori le unghie, quasi inavvertitamente, stendendomi la crema sulla schiena. Dita che mi gonfiano quasi piu’ quando liberano e si ritirano, di attesa e sangue, lì sotto.
Che io debba poi sdraiarmi, a nascondere il frutto del suo gioco, lei ridendo mentre io lo faccio, a pancia in sotto sul telo, inevitabilmente, se lei ha vinto. O che la prenda per mano e la strattoni, trascinandola a continuare in acqua, poco al largo, il suo gioco che mi piace.
Saranno al massimo le undici. Di una mattina di mezza estate.
Restero’ in spiaggia, a sciogliermi e a cuocere lentamente.
Fino al rientro a casa, in collina, all’ombra della pergola bianca in giardino. Nel primo pomeriggio.





 

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