Le carezzò il volto col palmo di una mano.
Indugiò sulla fronte, scivolò lungo la guancia, lentamente, poi rubò con la punta delle dita dell’altra un rantolo e un sospiro che alle labbra le salì dal fondo dalla gola.
- Sei bella, sai? Molto bella così ora
Lei aveva gli occhi chiusi e la bocca socchiusa, quasi aperta dal respiro. Un urlo muto e cieco era la sua canzone.
Lasciò ferma la mano sulle labbra, sentì il ritmo del respiro, il calore umido del fiato della ragazza lambirgli, ritmico, come una risacca, le dita.
Cambiare ritmo, accelerare, poi fermarsi un attimo.
Poi esplodere come un soffio di vapore venuto lì a salire da lontano.
- Hai il respiro di un vulcano
- E la tua gola ha l’eco del brontolio del ventre del vulcano ora
Posò la mano sulle labbra come a tapparne il rantolo e mosse piano le dita dell’altra mano.
Scese allora alla gola, posò lì, a cavallo la sua mano, sentì il deglutire sotto il palmo della saliva e del respiro.
Strinse un attimo, non fece male, solo una leggerissima pressione, ma la consapevolezza di tutto potere che lei gli donava in quel momento gli fece percepire così calda e forte la sua mano da emozionargli il cuore. Lei non si oppose, anche quando le dita strinsero un attimo, per dirle che volendo, lui, ma non voleva.
- Mi piace il tuo respiro. E’ umido, ora che il mio viso è così vicino al tuo, il tuo respiro ha un corpo e tocca la mia pelle anche ora – le disse quasi sottovoce.
Poi continuò a scendere con la mano, liberò il collo di lei dal calco delle sue dita, e scivolò alla clavicola. Ne seguì le anse in punta di dita, godette del sentirla tendersi e del vederla inarcare, sollevò la mano e attese, quando fu proprio sopra il seno, che il capezzolo di lei, accompagnato dalla salita del busto, si posasse proprio al centro delle pieghe del suo palmo semichiuso. Mosse le dita dell’altra mano e il seno si sollevò portato dal suo busto fino a perdersi tra le sue dita.
- Ricordi le prime parole a quella cena? Quando spostai la sedia per averti vicina? Le mie e le tue parole si cercavano curiose. Ora non hai segreti
- Non per me.
E mosse, forte, l’altra mano.
Lei ebbe un gemito e si inarcò, come se non avesse ossa e peso e vincolo alcuno a trattenerla, sollevandosi sulle reni.
- Ricordi i primi scambi di sorrisi? Io era questo che volevo
E spinse più forte tra le cosce e con le dita dell’altra mano strinse il seno, la coppa di carne si adattò docile alle dita, come a un cilicio.
- Così ti piace, vero? Le mie mani leggono, e leggono le dita, come leggono gli occhi le pagine, e le righe. O si inseguono leggendo le parole con le dita
Si alzò, guardò la pelle del seno di lei coi segni chiari della stretta delle sue dita.
Attese un attimo, gli occhi si presero il tempo di posare un loro bacio, poi spinse più forte con l’altra mano.
La guardò, la farfalla adesso era appesa solo alle sue dita.
Fu allora.
Che dentro il suo ventre, dell’altra mano allargò, distese, liberò, aprì le dita.
Che permise loro, piano, schiudendosi di farsi fiore per liberare un rantolo dal ventre di lei fino alla gola.
- Mia – fu l’unica parola che disse. A voce bassa, come un respiro.
La ripeté, una cantilena, una ninnananna al socchiudersi e riaprirsi, come un fiore a notte carico di sole e all'alba colmo di rugiada, nel ventre di lei di tutte le sue dita. Mia. Mia.
Mia.
E fece diventare le sue dita chiodo e fiore, e ancora chiodo e poi farfalla e allora, sì, fu allora.
Che accolse sul suo polso il contrarsi del ventre della donna, senza più muoversi dentro di lei.
Che sentì, emozionandosene, tutto il calore che crea il piacere, dentro una donna, quando gode.
Poi riaccostò le dita, il fiore si chiuse, la farfalla chiuse le ali, e piano, lentamente, iniziò la loro ritirata. E a sfilarle dalla fica.
Lucide, coperte dei suoi umori, come un velo sulla pelle, alla luce cruda della lampadina sopra il tavolo della cucina.
Portò la mano al volto di lei, le fece riconoscere il sapore e l’odore del suo piacere. Giocò con le labbra, il naso, gli occhi e il viso e lei socchiuse le labbra e offrì la lingua, come si fa in chiesa, e il suo sacramento fu quello di leccare lentamente quelle dita. Poi slacciò la benda che le copriva gli occhi.
E attese, guardandola, che lei li aprisse. Ma lei li tenne chiusi ancora.
Slacciò allora i quattro nastri di passamaneria bordeaux che la ancoravano, come inchiodata da uno spillo, alle gambe del tavolo grande della cucina. Lei mosse e ridiede vita alle braccia e alla gambe, come se si svegliasse o nascesse solo allora.
Quando lei aprì gli occhi, gli occhi di lei si trovarono nei suoi.
E si sorrisero.
Sorrisero come fu quella volta, subito, senza bisogno ancora di dire una prima parola.
Come fu quando si trovarono, al muoversi dei volti, a guardarsi, al primo saluto.
- Mi piace come scrivi – lui le aveva detto.
E lui aveva sorriso dicendolo, e lei aveva sorriso, allora.
Si mise a sedere sul bordo del tavolo, fece dondolare e ondeggiare le gambe nude, poi ne scese, e si avvicinò all’uomo appoggiato alla spalliera della sedia.
Sotto la luce cruda della lampada appesa sul tavolo grande della cucina, si sorrisero nuovamente.
Anche ora.
 

 

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