Buio caldo.
L’estate si era inaugurata torrida.
Quasi Milano fosse gelosa del caldo indiano, delle vie di Delhi percorse da lei l’estate prima, si ritrovò a pensare, senza alcun motivo, nel tentativo di controllare l’agitazione che aveva dentro, mentre si recava al loro primo appuntamento.
Nella piccola stanza un caldo umido, avvolgente, all’inizio fastidioso, in cui ora fluttuava quasi.
Quasi fosse liquido amniotico.
Il telo sulla poltrona assorbiva il sudore che le era colava dalla nuca trasformandolo in brividi.
Non filtrava un solo raggio di luce dal corridoio. Il buio era così denso che sembrava ottenuto per sottrazione di un qualsiasi raggio. Eppure le luci erano accese.
Tutte.
Ne era certa.
Anche quella fortissima proprio su di lei.
Ne sentiva il calore sulla pelle nuda.
Martina, legata alla poltrona, gambe e braccia, non le vedeva. Quelle luci.
La fascia nera aderiva al volto, ne disegnava naso, zigomi, voltava alla nuca. Tornava davanti, poi ancora indietro. Aveva chiuso le palpebre mentre la bendavano. Sommando nero a nero.
Ora ascoltava l’aria, cercava l’odore di lui nella stanza, suoni, segnali della sua presenza. Sapeva che doveva esserci.
L’odore della stanza era sottile, penetrante. Cominciava a disturbarla.

Era cominciato quattro ore prima. Tutto.
Per mesi si erano inseguiti, una danza.
Uno strano corteggiamento, tra facebook e quel sito bdsm che frequentavano entrambi, lui da sempre, lei da pochissimo. Tra tutti lui le aveva catturato attenzione, desideri e tempo. Il perché lei se lo era chiesto mille volte.
Andava online solo per lui, adesso.
Era così sicura, lineare, la voce di lui nelle parole mute sullo schermo. Calma, non accettava dubbi, né era fatta per generarne. Solo l’attesa umida di certezze.
Ogni fantasia, immagine, pausa, silenzio di lui, le danzavano dentro. Vibravano sincroni, oscillava appesa alle sue labbra pur non avendone sentito mai la voce.
Lo seguiva, ne condivideva l’eccitazione nel crescere del ritmo del loro scrivere, più ancora che nelle parole stesse, e lei, ogni volta, dopo averlo cercato online freneticamente, mollava ogni ormeggio.
Poi, la decisione dell’incontro.
Lei che non era mai nemmeno andata ad una cena del gruppo, istintivamente glielo chiese, all'uomo che nemmeno conosceva. Di cui non conosceva neanche la voce.
Non se ne accorse, all'inizio, di aver espresso lei quella richiesta. Eppure quel “vederlo” sapeva benissimo quali porte avrebbe aperto.
Non aveva alcun dubbio che, dopo un primo smarrimento, l’avrebbe seguito, docile, umida come era nel chiederglielo, ovunque lui avesse scelto di condurla.
Si era stupita solo in seguito di aver osato, senza il minimo pudore, nel mezzo delle frasi incrociate sullo schermo, chiederglielo.
- Avresti. Avrebbe voglia di vedermi…?

Legata, bendata, nuda ripercorse tutto.
Un brivido lungo la schiena, sul lenzuolo posato tra lei e la poltrona di pelle sintetica.
Serrò una mano al bracciolo di metallo.
Dalla sua gola un gemito.
Qualcosa di freddo, gelido, le risaliva dal pube, una linea di brividi fino ai seni, facendola tremare convulsamente.
Poi un dolore lancinante, come il morso di un cane ai suoi capezzoli, a correrle dentro. Denti di acciaio.
Sentì una mano accertarsi dell’umore che le affiorava tra le cosce.
Due dita. Tre, piegate, un gancio da macellaio, quella carne, quei nervi, quei nodi di ossa dentro. Un uncino le sollevò il pube dal sedile, tendendo le corde che la ancoravano alla sedia.
Decollò su quelle dita. La prima volta che si alzò, in volo, per lui.
Libera.
Senza freni e senza limiti.
Quando la lasciò riatterrare, abbassando il polso e sfilandone le dita fradice, lei aveva il respiro affannato, la gola ancora spalancata.
Non aveva mai raggiunto un orgasmo così rapidamente.
La poltroncina faceva male alla schiena.
Eppure la conosceva bene, doveva aspettarselo.
Avrebbe riso, ad averne fiato sufficiente.
Trovarsi con l’uomo a cui aveva dato appuntamento vicino a casa, su un marciapiede conosciuto ci stava, la città non è così grande, non è Delhi, pensò sorridendone.
Ma quella poltrona lei la conosceva anche se mai avrebbe pensato al suo dentista, così timido e gentile, come a Master Athon.
Respirò.
L’odore di disinfettante ricominciò a disturbarla, lui la accarezzò. Sganciò dai capezzoli le mollette di acciaio ferma-kleenex usate altre volte per proteggerle gli abiti.
I becchi dentellati le strapparono un urlo.
Ricominciò a volare. E a goderne.
Istantaneamente.
 
 

 

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