Foto, donna e uomo in interno giorno.
Nuda su quel divano.
Con lo sguardo che corre lungo la parete, sfiora e accarezza.
Quadri, giochi di luce dalla finestra, la polvere sospesa volteggiare nella
luce.
Con la gamba che scende a lato, morbida, il piede posato al suolo come una
foglia, e l’altra che riposa sul tessuto.
I capelli spettinati, mossi e scossi.
Pettinati prima dalla dita, serrati anche nel pugno stretto poco prima, sotto le
spinte delle reni, incuneate, strozzate dalle ginocchia, alte, sollevate. Il
capo rivoltato indietro, la bocca squarciata in attesa della lingua di lui e
delle labbra.
Morbida adesso, sul tessuto.
Il seno a salire e scendere, rallentato, correndo sul respiro.
Che è calmo adesso, non più soffocato e suonato dal tamburo.
Non è più rantolo, sospiro mozzo, apnea dell’attesa e grido del ventre.
Solo mantice da fornace, ritmo continuo, che sale e scende, poi risale, si
svuota silenzioso e ritma di respiro il vuoto del pensiero.
Il seno sale.
Poi scende, col gonfiarsi e il cedere, morbido, del diaframma che nuota
nell’acqua tiepida adesso. Sei bella in quel respiro.
I capezzoli ancora bruni e serrati, forse fa anche freddo, o sono rimasti così
per nostalgia delle labbra, della lingua e dei denti. Rabbrividiti, al contatto
della pelle e dell’altro petto, dei chiodi di lui a sfiorarli, del bacio dei
capezzoli con il loro specchio, lo sfregare elettrico delle loro punte dure
nell’abbraccio.
Il corpo e il suo respiro. La musica della stanza.
Il taglio schiuso ancora. Umido del sapore di entrambi, lucido come se fosse
stato leccato da un rossetto.
Sotto il gonfiore dei peli e del pube, la maniglia con cui lui ti ha trascinata
al vostro letto.
Presa per la collottola, afferrata lì, sopra la porta. Serrata prigioniera in
quella mano che ti ha condotto alla tua resa.
Ti ha trascinata e spinta, guidata e piegata fino a farti sdraiare lì. Dove sei
ora.
Ti ha sollevata quasi, imbrigliata, spinta. Trascinata.
A cedere, seguire le sue voglie, sotto la guida del pugno che serrava il corto
pelo.
Che reclamava il possesso. Che si è schiuso per trasformare la presa in
conchiglia e poi in intruso.
Le curve delle labbra, lucenti e umide, schiuse come il sorriso di una nuova
bocca.
Baciate e penetrate dalle labbra, dalla lingua e dalle dita.
Poi aperte e forzate, senza forza.
Arrese.
A chiuderlo dentro, lavarlo, strozzarlo ad ogni spinta, succhiarlo, cercare di
fermarlo e trattenerlo, lasciarlo correre via e sollevarsi sul ponte delle anche
per riaverlo.
Lui accovacciato a fianco del divano.
Seduto a terra.
La tua mano sui capelli adesso.
Lenta, a carezzargli la testa.
A infilarsi come si fa con le dita in un ciuffo d’erba. Le dita a perdersi
schiudendo e spettinando il ciuffo. Come sdraiati sopra un prato all’ombra.
Lui colma a mezzo i due bicchieri.
Assaporando quelle dita nei capelli, e pregustando il calore morbido, tondo,
amaro al fondo quasi, che avranno nella bocca.
Li riempie e mezzo senza fretta.
Rossi di sangue.
Il silenzio della stanza accoglie il profumo del vino che li tinge. Odore di
frutta matura e di legno vecchio. Riflesso rosso come il rosso delle labbra.
Tu stringi i capelli d’erba tra le dita adesso, tiri la testa di lui un po’ a
rovesciarsi indietro, come lui fece con la tua mentre ti scavava dentro.
Lo fai alzare lì davanti, nudo.
Il calice nella mano destra.
Aprirai le labbra ancora, il tuo sorriso si farà sete davanti ai suoi occhi.
Berrai, fino a saziarti, dalla sua bocca.
In uno scatto di una foto era racchiuso tutto.
Il prima e il dopo.
La corsa delle reni, la loro salita tra le anche.
Lo scivolare eterno su quelle dune, passo dopo passo a risalire e tentare la
conquista di quel monte.
Il passo a imprimersi nella sabbia, prenderne possesso, marcare con l’impronta,
calcarsi e calzarsi, e poi scivolare indietro, sotto il cedere molle e
arrendevole della sabbia.
E poi a ripuntarsi e risalire, passo dopo passo, scivolo e risalita
ininterrotta.
Nello scatto della foto sono nascosti anche i rumori, i fiati, il sospiro che
trema e singhiozza, si nasconde in fondo alla gola e poi sgorga.
Libero e spinto dalla voglia.
L’incastrarsi del ritmo del respiro, il farsi controcanto dei fiati e dei
polmoni.
Il farsi vuoto quando l’altro si fa pieno e poi riempirsi quando lui si svuota,
sempre più stretti nel ritmo della danza.
Fino a sincopare un battito solo, incatenato, stretto, modulato come un’eco.
Nello scatto della foto, singolo fotogramma guardando bene trovi tutto.
Il prima e il dopo.
Quel senso di rovesciamento che li coglie entrambi dopo. Di pelle rovesciata, di
aver fatto diventare fuori il dentro.
Di abbandono morbido quando non distingui più dove finisce il tuo braccio e
comincia il suo corpo.
L’adesione perfetta della pelle che pulsa calda a cercare il suo naturale calore
e ritmo.
Che sembra pelle delle dita, sensibile e tattile su tutto il corpo.
Nello scatto della foto, l’unica di quei due corpi adagiati in quello strano
abbraccio, lei fatta pelle sul divano e lui rannicchiato ai suoi piedi a fianco,
annusa pure.
L’odore di quel vino.
Ti sembrerà di essere anche a tu a dividerlo, a nari aperte e occhi chiusi, nel
chiuso dell’abbraccio a grotta delle loro bocche.