Il gioco della lingua e del respiro (V)

 

    

                                                                        ( scritto a quattro mani con LaDispettosa )

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non saprei più come fermarmi.
Come azionare un qualsiasi disperato freno.
Come porre un argine alla sete delle mie mani che ti stringono i seni come briglie. Il desiderio sale lungo nella schiena.
Dalle gambe che si tendono e mi spingono a te fino a dolermi.
Mi sale su, dentro, come un cavo. Trova una strada per mordermi già tra coglioni e culo, farsi fremente lì sotto, tendermi e serrarmi carico di vischio denso e appiccicoso e caldo, renderli duri, tesi, aggrinziti come sassi.
Poi lo sento nettamente nella schiena.
Come se anello dopo anello io fossi cavo di tensione e non midollo e ossa.
Nelle spalle che trovano una forza di ali per guidare braccia e mani a volare su di te, scendere in picchiata e afferrare, stringere, torcere, cercare di strappare. Poi volare calme a trasformare ogni forza in carica lentissima carezza.
Dovresti essere tu a perderti in me.
A stare larga, piccola e minuta, nella mia vita troppo lunga e troppo larga. Eppure io mi perdo e scompaio nei tuoi occhi.
Ci annego, riemergo, mi rituffo cercando il limite dell'apnea prima che i polmoni scoppino e la risalita sia impossibile ancora questa volta. Hai occhi liquidi di donna sul viso di ragazza.
Sembrano essere di latte come la tua voglia.
Sei fonda e calda come il sesso che accoglie e crea eppure sai di pesca, di primizia rubata al primo caldo di un'estate lenta. Non abbiamo mai raccontato tanto.
Di te e di me sappiamo solo quello che sale dalla pelle. Il sale che condensa ora sulla mia.
Io sto sudando.
Leccami.
Conosci della mia voglia ora anche l'affanno della pelle.
Mi hai portato in casa, oltre il giardino che comincia a vivere una nuova estate.
Hai piante giovani come te nel tuo giardino.
Cariche di un verde dolce e tenero, ogni foglia sembra chiedere di essere mangiata, anche sugli alberi e tra i cespugli. Ti mangerei. Ancora verde.
Ti mangerò come tu mangi con avidità il sapore che mi lecchi dal viso. Baciandomi e lavandomi il tuo sugo di donna grida alla tua lingua.
Ti succhierò ogni nettare. Spremendolo dal più profondo.
Per mano mi hai portato fino al letto.
In un altro momento avrei bevuto curioso ogni cosa lì torno torno. Rubato il titolo del libro che stai leggendo ed è posato lì.
Cercato di capire te nel ritmo e nella cromia di ogni tuo oggetto, dove è posato o appeso, il tuo museo è in quella stanza dove mi accogli adesso.
Mi accogli e mi guidi dentro la stanza come mi porti dentro te, tenendomi chiuso nella tua mano come un bambino a salirti dentro. Ci siamo spogliati frettolosamente.
Credo di sì, io nemmeno me ne sono accorto.
Ti ho trovata lì. Aperta come un libro che aspetta solo di essere percorso.
Che qualcuno ne rubi le magie nascoste, avidamente.
Ho nascosto la commozione che si mischiava nei miei gesti dietro un bacio. Avevo paura che tu la leggessi, era così devastante in me da tirar quasi fuori lacrime senza senso.
La mia fragilità saltava fuori tutta in quel momento.
Non credo di essere però riuscito ad ingannarti. Non del tutto.
Era vaniglia e cannella forse per questo.
Il bacio che mi ha accolto.
Hai sollevato il bacino offrendoti, la fica morbida mi sorrideva e sembrava gonfia come quella di una bimba. Io ho obbedito alla tua mano.
Mi sono lasciato accostare fino alla soglia.
Poi mi hai posato le mani al petto, giocandoci quasi a schernirti come ho fatto io col tuo dopo averti scollata da quel muro dove ti avevo costretta. Hai sfiorato i capezzoli ad occhi chiusi, mentre la mia punta si intingeva tra le labbra. Ferma così.
A tremare appena appena dentro, a reclamare dentro di me violentemente l'affondo delle reni e la sua scomparsa in te.
Le tue dita tremavano sfiorando. Avevi un bel respiro da equilibrista sospesa tra due grattacieli sopra il mondo.
Sono salito lentamente. Modellando il tuo respiro col mio che ho trattenuto mentre ti scavavo.
E sono qui. Adesso. Sentimi.
Stringimi di più ti prego, serrandomi le cosce ai fianchi.
Tienimi prigioniero tra le tua gambe.
Rendimi difficile ritirarmi e costringimi ad affondare nuovamente. Gioca a domarmi.
Io gioco a farti burro.
A mescolarti.
A far schiumare la tua panna lentamente, freno la voglia di correre che mi sento sulla pelle, ti mescolo, facendola affiorare, a farla crescere e mutare in panna.
Dondoli le reni ogni volta che io spingo.
Appesa ai miei fianchi come se fossero una sella messa al rovescio, sotto il ventre al tuo cavallo. Cavalcami da sotto, appesa, equilibrista la cui vita e il cui piacere dipendono soltanto dalla forza della presa che mi serra. Io spingo e mi sollevo nella spinta.
Tu mi segui e resti quasi appesa a me. Tenuta dalle gambe, le sento sui fianchi, sotto di me tu batti il troto se la mia andatura per un attimo ha ritmo costante, stringi e rilasci a non lasciare sfuggire libero il mio cazzo.
Sembra parlare di cose piccole e fragili ora il ritmo. Di cose azzurre chiare, quasi bianche. Trasparenti.
Poi accelera e grida le parole rosse, blu oltremare, quelle purpuree, fatte di brace e di zolfo, e che odorano di sesso e di possesso. Siamo aderenti pelle a pelle.
Dai miei piedi che si puntano a spingere in fondo al letto, al bacino sono libero. Poi trovo te che stringi e mordi i fianchi, sono racchiuso tra cosce e ginocchi, sento un piede ora posarsi su di me, sul culo, dopo il nodo con cui mi stringi.
Da lì in poi, salendo lungo la pelle, io sono te.
Aderente.
Pelle su pelle, il ritmo del respiro al diaframma che si alterna. Sollevi e scompari. Al ritmo del tuo bacino e del mio che ci si perde.
Ti seguo, modellandomi, e ti anticipo forzandoti e schiacciandoti, col respiro corto a volte.
Ti sto schiacciando i seni col mio petto. Sfrego il viso con il mio. Ti bacio e ti lecco.
Guance, labbra collo occhi.
Accolgo i tuoi morsi. Sfrego contro i tuoi denti la mia pelle.
Mi lascio lavare subito dopo i segni. Mi lucidi il volto di saliva.
Intingo la mia lingua nella tua gola, la inzuppo e ti disegno l'arco delle sopracciglia.
Dove sei stata quando eri via?
Dove sei stata fino ad ora. Adesso.
Prima di me come esistevi e dove stavo andando. Il dove e il quando. Trovano una parola sola.
Che mi esce dalla bocca soffocata.
"Adesso"
Io ti sono nato dentro. E dentro a te voglio morire risorgere e morire mille volte fino a non svegliarmi più. Oggi e domani.
Non cedermi.
Non gettarmi, non tornare via. Ora non ho altra musica che quella che respiri tu con affanno. Mi nutro della bocca, voglio mangiare con la tua.
E nutrirti con la mia di cibo e vino.
Tutto è cominciato per un gioco, forse per tutti e due un capriccio. Ora lo sappiamo però entrambi.
Che non esiste freno. Che non c'e' via di ritorno, nessuna via di fuga a lato.
Vivo con te in questo tempo.
Sospeso tra i nostri anni.
Ecco. Adesso.
Mi fermo. Poi riprendo. Due, tre volte.
Ogni volta senti con la mia contrazione e la mia spinta più violenta un piccolo calore dentro.
Farsi liquido e guidarti.
Mi svuoto, mi rivolto dalle reni, come un guanto. Mi sembra di esserti scomparso dentro, fino a nascondermi dal mondo.
La mia piccola donna sta piangendo.
Io lecco via la lacrima prima che da perla si faccia strada e scenda a perdersi piatta sulla pelle.
Le lacrime del mio sesso cominciano a scivolare tra le tue cosce, mentre mi tieni ancora prigioniero a dormirti dentro, scivolano lente e viscose, tiepide cedendo calore alla tua pelle.

Fino a bagnare del nostro gioco appena cominciato, il letto.




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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