“ Va bene “
“Sì, ma sai già degli amici che erano ancor incerti chi ha dato conferma ? Angelo, Mara, Rebecca ? “
“Franco ? “
“Persino Sonia ? Dai, Andrea, è impossibile. Finchè non la vedo seduta al tavolo sai che non ci credo.. .”
“Sì, Andrea. La chiamo e la convinco a venire, aveva detto sì, poi no, poi sì ancora. E adesso è ancora no”
“E’ timida e non conosce nessuno di voi”
“Le monta a giorni alterni la sua timidezza, ripensa, dopo aver detto sì, che non conosce nessuno di voi e credo abbia paura di finire col sentirsi troppo osservata e quasi sotto esame “
“Giuro, Andrea, che la convinco, ora le scrivo anche una lettera che magari funziona meglio delle mille telefonate inutili che le ho fatto”

“In fin dei conti ho ancora quasi sei ore per convincerla e vedrai che ce la faccio” e accenna qualcosa che è più di un sorriso nel dirlo.
L’uomo saluta, e riaggancia. E ringrazia il cielo di non essere stato lui a prendersi l’incarico, nemmeno questa volta di organizzare la loro cena mensile.
E che ad Andrea in fin dei conti quel ruolo di organizzatore della loro piccola comitiva piaccia.
Una fatica mettere d’accordo tutti, poi ogni volta qualcuno che aveva dato magari conferma tra i primi manca. E magari viene compensato nella sua assenza da qualche new entry nella loro piccola cerchia di amici.
Come dovrebbe essere per lei.
Anche se chiamarla new entry sembra strano e solo pensandolo si scopre che sta ridendo divertito.
L’ospite non confermata ma che doveva esserci. Che lui vuole che ci sia.
Che lui conosce da poco più di un mese. E ora che la cena cade così prossima lui ha invitato, e insistito, per averla con sé anche in quella serata. Lei, che loro non conoscono, con cui lui, piano piano, senza fretta, ha cominciato, all’inizio quasi timidamente, poi sempre con più decisi reciproci affondi, a dipanare sesso e giochi.
In quella danza di scoperta che, ogni volta, nella donna lo affascina forse più di qualsiasi altra cosa.
Il tempo di pensarci e suona il telefono, questa volta è lei che chiama, per un attimo lui aveva pensato fosse ancora Andrea.
Che ogni volta dopo aver chiuso le sue telefonate si ricorda di avere dimenticato di dirti nella chiacchierata appena finita il perché aveva chiamato. O di non aver detto la cosa o posta la domanda che era all’origine della chiamata.
E richiama, spesso dimenticandosene subito nuovamente una seconda volta.
“Sei tu”
Sorride. Che fosse lei a chiamarlo lo aveva colto quasi di sorpresa.
Piacevole sorpresa che subito riversa nel tono allegro e un po’ sornione della voce.
“No, non parlarmene adesso, sai che ci tengo davvero a che tu stasera venga, non ripetermi che non puoi. E non te la senti.”
“No. Mi hai già detto le tue ragioni. E sai che non mi hai convinto. La tua maledetta timidezza non è una scusa buona…”
“Facciamo un gioco, dai” e la voce ha un guizzo e un sorriso.
“Io ti scrivo e se tu accetti nelle parole scritte quello che mi stai negando adesso a voce e mi hai già negato più volte nei giorni scorsi, non devi rispondermi”
“E io saprò e gusterò di più il regalo e il tuo consenso, amore”
“E giocheremo insieme, come piace a entrambi”
“Se non rispondi o non rispondi in tempo, io alle otto e mezza esatte sarò in auto sotto casa tua, a prenderti”
Poche parole che si incrociano, ancora, lui ora ascolta lei a cui nella raffica di frasi prima aveva tolto ogni spazio per impedirle di trovare forza per recriminare e per dargli una qualsiasi risposta, e subito è chiusa la comunicazione.
Stoppa abilmente ogni tentativo di replica alla proposta rinnovata e chiude con un bacio e l’invito ad aprire mezz’ora dopo la posta.
Accende il computer e scrive.

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        Che cosa chiederei.
Che cosa chiederei alla mia donna se venisse questa sera alla mia cena. L’ho immaginato e ci ho pensato a lungo.
Mi tornava in mente così tante volte e ogni volta prendeva definizione più precisa.
Ho immaginato uno scenario simile a quello di stasera, lei nuova, come si dice, in quell’ambiente e in quella situazione.
In mezzo a persone di cui sa nulla e di cui le sono nuovi anche i visi.
Un poco come te, la tua stessa situazione insomma.
Con le stesse piccole paure, ansie e curiosità che in te ho visto e conosciuto.
Le chiederei di mettersi e sentirsi a suo agio, tranquilla e sicura perché io non le farei del male e la proteggerei per prima cosa.
Le chiederei di lasciarsi andare e godersi man mano il senso di familiarità e le risate, gli scherzi di parole, le battute e tutto quello che per me rende gradevoli queste cene.
Io uscirei più volte a fumare anche per farle sentire che anche in mia assenza può sentirsi sicura. La vorrei serena.
Le avrei chiesto di mettersi una gonna, ma questo già lo sai e avrei scoperto che la indossa, non sarebbe stata necessaria alcuna parola, vedendola così, al mio arrivo. A nessuno dei due.
Per capire che aveva scelto di metterla e non era un caso.
Poi, le chiederei un regalo.
Perché vorrei sentirla tremare per me.
Cercare coraggio e fare ancora una scelta.
Le chiederei, ma credo glielo chiederei prima della cena, perché magari lì non potrei e non vorrei trovarmi nella situazione di non farlo. Le chiederei di andare in bagno.
Al ristorante.
Lei saprebbe che appena alzata verso il bagno, senza bisogno di alcuna successiva parola, io poi uscirei per una sigaretta ancora.
O così almeno direi a tutti.
L’aspetterei fuori.
Accoglierei nella mia mano un indumento piccolo e caldo della sua carne che farei scomparire nella tasca dei miei pantaloni.
Immagino lei, agitata, il suo combattimento dentro, il cuore in gola.
Immagino lei comandare alle gambe di portarla in bagno e poi da me lì fuori, immagino ogni suo passo, la difficoltà di farlo, il suo cuore mentre si muove quasi ubriaca delle sue emozioni.
Le gambe che le tremano per me e per quel gesto.
Il suo arrossire forse nel porgermi la mano e il piccolo indumento, quasi una verginità rinnovata. Donata.
E poi vorrei che muovendosi, sedendosi, in mezzo a tutti sentisse quella nudità che mi regala. Che sentirla la facesse vivere come in sospensione, il cuore in gola e al tempo stesso eccitata.
Che godesse pur nell’imbarazzo e nell’agitazione di questa sua e mia eccitazione.
Che si scoprisse in essa e ci si lasciasse andare, l’accogliesse in se come un’aurora.
Che sentisse per la prima volta il perché ci si offre e cosa offrirsi dia a chi lo riesce a fare.
Vorrei che lo sentisse dentro, battere, come le batterebbe in quel momento il cuore. Che le sembrerebbe voler uscire dal petto, che le sembrerebbe impossibile che gli altri non sentano forte come il rimbombo di un tamburo.
Vorrei.
Che lei volesse, in fondo. Dove hanno sede i desideri, i pensieri, le emozioni e le paure.
       

Alla cena quella sera erano, Andrea visibilmente orgoglioso della capacità di riunire gli amici, più di venti.
E come per incanto, dopo i primi minuti sembrò a tutti che mai si fossero lasciati dalla volta precedente, che i fili dei dialoghi, dei giochi tra amici, delle confidenze e delle piccole seduzioni incrociate non si fossero mai rotti.
Andrea fece un commento anche un po’ pesante su come i pantaloni fasciassero ben stretto il culo di Sonia e Mara, le uniche due arrivate alla cena in pantaloni. Attillati anche sul pube e sulle labbra sotto, disegnate dal tessuto in modo assai eloquente.
L’uomo ne rise, Andrea non si smentiva mai.
Mise una mano in tasca e strinse il tessuto che aveva nascosto rientrando in sala dopo una sigaretta.
Lei parlava col vicino di tavola.
Le era passato quasi del tutto il rossore sulle guance che aveva avuto al suo rientro in sala. E solo un velo un po’ più rosso, ma quasi impercettibile, le tornava sulle guancia quando lui, voltandosi, la guardava fissa. E le sorrideva parlandole con gli occhi.
O quando vedeva lui, in piedi nelle pause tra le portate, mentre parlava con qualcuno, con la mano affondata a gonfiargli ancor di più la tasca.
Mentre giocava, con la sua timidezza, ancora calda del suo corpo, con le dita.






 

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