Maledetti calabroni.
Il loro ronzio era inquietante sotto la pergola di glicine al lago. Il rumore saliva e scendeva, mutava forza e intensità nella danza intorno ai grappoli di fiori. Giulio e le sue malsane idee.
Portarla proprio lì, lei che aveva di ogni insetto, persino della più innocua formica, una fobia da film dell’orrore. Vero panico, non banale paura.
Martina, avvolta nel ronzio, il fiato corto, mal celando l’agitazione, persino all’ombra della pergola sudava.
Nemmeno poteva alzarsi e andarsene, con loro c’erano il suo capo con moglie e cognato. Invitati da Angelo, ovviamente.
Ora sapeva che, dissimulandolo, stavano fissandola, e si erano senz’altro accorti del sudore sul bel volto diventato rosso.
“Giulio me la paghi” giurava dentro di sé, allo scendere della prima goccia sul viso. Si accorse di tremare. Il ronzio le invadeva la testa, a centro di mille elicotteri, e del tremito tagliato dell’aria dalle loro pale.
Cercò di darsi tono e di parlare ma si accorse che la sua voce probabilmente sarebbe vibrata stridula e incerta, per l’agitazione. E la represse in fondo alla gola, deglutendone il suono.
Si strinse su se stessa, accavallò le gambe sotto la gonna estiva e chiara, nervosa.
Quasi volesse farsi piccola, massiccia, compatta e sentirsi più sicura.
Maledetto ronzio, se ne sentiva avvolta.
Ancora poco e sarebbe esplosa, liberando l’agitazione che tentava maldestra di celare ancora. Una danza continua, con radi attimi di silenzio innaturale.
Pause come di attesa del nettare da suggere e succhiare.
Poi il ronzio, vibrazioni senza partitura, alti e bassi, cambi di frequenza di infinite ali.
Improvviso, arrivò, e lei si sentì morire.
L’orgasmo indotto dall’ovulo vibrante che le ronzava nel ventre la scosse e la fece sussultare. Angelo lo fermò col telecomando celato in tasca.
Due gocce le percorsero la fronte e ad occhi chiusi si scoprì, seduta, a oscillare e dondolare, sulle onde del suo ventre.
“Maledetto Giulio e il suo giochino”
Poi alzò gli occhi e osò guardarli.
 
 
 
 
 
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