Erano per strada. Pioveva.
Camminavano stretti e vicini. La mano nella mano, si scoprirono ad
intrecciare dita.
Se ne accorsero per caso, quando i dieci nodi ormai si erano già
intrecciati da soli.
Risero.
- Poi appena in camera vedi -
E risero di nuovo e le dita di lui e di lei si strinsero serrandosi,
quasi a volersi strozzare tra di loro. Il palmo contro il palmo ne
risero felici.
Arrivarono all’albergo così, si sciolsero solo per prendere le chiavi, e
registrarsi. Poi i gradini volarono a due per due, per mano ancora, li
salirono veloci. Erano pari, i gradini, lo ricordo ancora.
E il piano era solo il primo, per fortuna loro.
Dentro la stanza non so se chiusero prima la mandata della chiave ancora
vestiti o se uno dei due cominciò a spogliarsi appena la porta fu solo
accostata. La moquette rasa e pulita, come un vello bordeaux sotto i
loro piedi nudi, accolse in fretta i loro vestiti. Alternati a strati,
come quel gioco che si fa da bambini con le mani, la “torre”.
La mia, sopra la tua, poi l’altra mia. L’altra tua e poi sfilo la mia e
poi tu la tua e poi sempre più veloci. Più veloci più veloci.
Fino a che le mani diventano rosse a furia di essere colpite al crescere
della velocità del gioco.
- Piegali bene, sai che odio il disordine – furono le uniche parole nel
silenzio della stanza, quando entrambi si ritrovarono nudi. E i loro
vestiti, ubbidienti, andarono a impilarsi regolari, in ordine, piegati
con cura, sulla poltroncina davanti al televisore.
- Spegni le luci -
Buio. Che solo dopo un attimo diventa penombra, ma con gli scuri chiusi
sembra notte anche al mattino.
- E ora vieni qui -
Passi silenziosi sul velluto rosso sotto i piedi.
Un po’ di baci, le mani che corrono sul petto, si esplorano i brividi a
vicenda, ma anche questo è un gioco. E a loro piace.
Poi, la promessa.
Fatta stringendosi le dita in quell’intreccio poco prima.
- Vieni qui – dice sedendo sul divano.
- Appoggiati alle mie ginocchia, sì, così, alza quel culo, offrimelo
come sai che devi -
Il ventre alle ginocchia, un arco la schiena e a terra mani e piedi.
E la mano che sale lungo il retro della coscia, piano. Le unghie in
punta a disegnare un brivido di attesa.
- Sai che ti devo punire vero? Sì che lo sai – e ride, sforzando di
mantenere seria la voce.
Si perde il contatto delle unghie, si solleva la mano, nel buio tutto si
ferma e si fa attesa.
Il primo colpo è secco, a mano aperta. Si arrossa lenta la pelle ma nel
buio ancora quel color di fragola che matura non si vede.
- Ti dona sai la mia firma sul sedere…- secondo colpo, si sente di più
il bruciore, perché cade esattamente sul primo. Si sente il rumore del
colpo, secco, come un quaderno sbattuto di piatto su una scrivania, poi
il fermarsi per un attimo del respiro.
- Mi sembra che ti piaccia, facciamo esercizio di generosità allora – il
terzo colpo brucia ora. La pelle arrossa e prima di calare il quarto
colpo, persino nella penombra a cui si stanno abituando gli occhi, il
segno della mano sulla natica lo si può vedere.
Il quarto colpo frena, atterra piano. Tornano le unghie, sul calore dei
colpi si sentono di più ora. E il respiro sotto le unghie segue il moto,
esattamente, in modo speculare. Dal culo alla schiena e poi a scendere
di nuovo. Fino a fermarsi lì, dove la mano aperta non potrebbe
insinuarsi per colpire.
Scivolano le dita a infossarsi. Sicure.
- E così, così, ti piace? – si muovono fino a rubare contrazioni di
piacere.
Si aprono come un fiore. Si annodano da sole. Poi sbocciano ancora.
Si sfilano.
L’attesa a volte la si può sentire. Ferma nell’aria, come il fotogramma
di una pellicola spezzata. Poi, quasi arrivato da chissà dove, il colpo
più forte di tutti, a strappare un grido e la mano che non risale e le
dita che rientrano di nuovo nella tana. A fiorire come fiorisce e
acceleral’affanno nella gola.
Continua così la danza, per quanto tempo, non è materia di un racconto
né è dato sapere.
Né chi fosse adagiato sulle ginocchia di loro due.
Né di chi dei due fosse la mano.
Come per strada, si erano mescolate. Intrecciate, fino a non
distinguerle tra loro.
In fondo, erano una cosa sola.
Dopo di che si alzarono, attraversarono la stanza, affondando i passi e
le dita nude dei piedi nel manto rosso al suolo, e nel letto ripresero a
giocare. Mescolando braccia e gambe, ora.
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