Nel buio della stanza il
fiammifero giallo.
Lampo di zolfo sfrigghiola , sussulta all’aria impercettibile di fessura,
ondeggia, canta e danza.
Si fa fiamma allo stoppino nuovo.
Lingua di corda.
Scivola sulla corda la fiamma.
Fiammifero ritorto nero, chiuso in curva avvolto sull’odore di zolfo e legno.
Ecco la candela è accesa.
La fiamma scivola lenta crepita la corda incerata sottile.
Candela nera.
La prima cera si scioglie.
Odore di chiesa nel buio della stanza.
Solo l’alone traballante della luce al muover dei passi.
Ondeggia oscilla, sembra cercare di spegnersi in quel movimento.
Ma brucia di cera corda e ossigeno fermo.
Ti penso, adesso, a quella luce che illumina il mio viso e mi fa alone ad
avanzare nella stanza.
Blackout che chiude gli occhi alla vista ma apre e spalanca il sogno e il
pensiero.
Nuda.
In una camera di albergo.
Le lenzuola sfatte, odore dei chiuso nella stanza.
Tappeti intorno al letto.
Sdraiata.
Sento il respiro.
Immagino, i pensieri mi danzano dentro al ritmo della fiamma.
Il tuo corpo, sei posata sulla schiena.
I piedi nudi appena divaricati, caduti nella posa dell’attesa.
Le caviglie strette, sottili e su, a salire come strisce di carne ambrata le
gambe, le cosce, i muscoli scolpiti,decisi della coscia.
La fiamma ondeggia, sembra decisa a spegnersi ma poi ha un guizzo e si riprende.
Il guizzo del muscolo della tua coscia, appena sai che io mi avvicino.
Segnale della voglia tua,
dell’attesa, nei nostri incontri, impercettibile scatto ogni volta, a dirmi
“Vieni, avvicinati, ti aspetto…”
Ti penso in quella luce.
Il sesso disegnato dalle labbra di carne.
Nudo allo sguardo.
Glabro a offrirsi agli occhi.
Il tuo regalo.
Sesso che sembra piega taglio e che si cela nella sua profondità, chiuso allo
sguardo e pronto ad aprirsi alle mie dita,
impudica ferita che reclama le mie
percosse.
Mi chiedi “Tagliala ancora, lì la mia carne, riapri la ferita, medicala,
chiudici dentro con il cazzo le mie voglie…”
Il ventre sale e scende, lo immagino seguire il ritmo del respiro e dell’attesa.
Farsi mantice di voglie.
Battere il tempo dei pensieri e accelerare ingordo al pensiero che io mi stia
avvicinando.
Sale e scende il tuo ventre, respiri profondo, diaframma che tradisce desideri e
voglie.
Voglia di percorre quel ventre nudo con le dita.
Scivolare e sentire il suo respiro basso scosso.
Ti immagino col seno che asseconda il fiato.
I capezzoli tesi dalla forza e dallo strappo del pensiero.
Scuri come la candela, serrati di sangue e voglie.
Offerti, eretti come piccole steli corte di carne. Rabbrividiscono nella mia
mente, loro, ora, come se li sfiorassi.
La luce danza in vetta alla candela.
Oscilla drappeggiando di luca ai lati il passo.
Scivolano gocce sullo stelo.
A lambirmi la mano.
Ti penso.
Immagino il collo.
Là dove la pelle sa di ombra e caffè tostato dopo la tua estate.
Dove se ti bacio si rannicchia a lato, come a voler stringere l’ombra del bacio.
Penso alla lingua lì, umida e calda, a lavare la tensione che lo serra.
A prendere possesso poi del lobo e dell’orecchio.
Giocandone curioso le volute, l’ansa, lo sprofondo. La piega d’anta verso la
nuca.
Il morso dei denti appena posati e delle labbra, a serrarlo quasi o, il tocco,
dentro, al centro della stretta, della lingua.
Oscilla la candela e la mano si fa cera dura.
Avanzo nella stanza. Blackout nella notte.
Spaccato solo qui dalla fiammella piccola e incerta.
Ti disegno nella mente.
Il viso.
La bocca che hai socchiusa.
Come quando sei stupita di qualcosa o sei soprappensiero o in attesa.
Allora hai quel taglio di labbra appena discoste che adoro ritrovare ogni volta
sul tuo volto.
Labbra che parlano in silenzio dell’attesa.
Ti immagino bendata come nei nostri ultimi giochi.
A non vedere nemmeno la luce della candela.
A cercarmi nei suoni che io ti nego, scivolando nella stanza con passo di volo.
A cercarmi con le narici, aperte, quasi dilatate, assetata di un qualsiasi odore
che tradisca presenza, appropinquarsi e poi l’arrivo.
Sensi tesi a cercare segno o traccia.
La pelle ad attendere un contatto.
Inatteso e atteso, ogni lembo all’erta.
Sentinella di voglia.
Cavo scoperto.
Immagino un tremito improvviso, dura un lampo correrti la pelle.
Il fiato farsi scatto.
Le gambe tendersi sul letto.
La luce oscilla, la candela ha una corona calda e molle a raggiera, brucia con
decisone, illumina meglio.
Non oscilla e affievolisce più, nel farlo, la sua luce.
Io firmo.
Cola sciolta di lava nera calda la cera.
Il mio nome.
Sul tuo seno.
Solo respiri e aria calda e fiamma scossa a illuminare il corpo su cui scivola
la cera.
Umida di buio e respiro bagnato adesso, intorno, la stanza.
La striscia nera colata lungo il fianco, nel tuo scansarti al suo posarsi sulla
pelle, d’istinto, a ritrarre anche l’aria
e stringere in dentro il petto,
scivolata lumaca calda sul fianco, macchia di gocce tonde e gonfie il lenzuolo.
Appena, lì, a fianco.
La traccia solidifica, si rifà tratto, non allargarsi molle di acqua,
all’istante, e rossa la pelle.
Scivola la traccia dal seno al ventre.
Con lettere nere a scrivere un nome.
Lettere sciolte, sconvolte per l’inarcarsi di scatto della schiena, sotto il
bacio umido e caldo che cola, striscia e scivola lento.
Hai il fiato stretto a morirti nella gola.
Soffio a spegnere la fiamma spettinando quasi la corona di cera calda attorno,
alito che ripiomba tutto nel buio più profondo.
Sei bella.
L’occhio trova la luce microscopica spersa nell’aria della stanza, pulviscolo di
luce, lui si adegua,
ora vede quasi al buio e correndo
carezza con lo sguardo.
Occhio di gatto a spaccare il buio. A strappare con ansia pulsante immagini
dall’ombra. Pupilla larga.
Segue nel buio l’ombra.
Salta la cera quasi dura, sotto il tocco dell’unghia.
Lavo di saliva fresca la prima lettera che si è fatta rossa di pelle sul seno.
Bacio la lettera scarlatta ora. Riscrivo di lingua e di saliva, a lenire il
bruciore che rimbomba d’eco, la tua pelle.
Lettere nere.
Porterai via con te, al buio della sera, tornando a casa, uscendo dalla stanza,
la firma del mio bacio. Ormai asciutto.
E il mio nome, ancora caldo, sulla pelle, sarà la musica lontana su cui
prenderai sonno questa notte.
A Margine
Piccola nota. Solo l’aggiunta di un pensiero.
Questo è il pensiero di un gioco.
D’amore, con una donna.
Il bisogno di sapere che, uscendo anche un istante solo dalla tua vita, porti
con sé, su di sé,
qualcosa che sancisca un
reciproco possesso.
Di corpo, desiderio anima e pensieri.
Come la firma su un contratto d’amore, scritto sulla pelle.
Anche queste sono le mie Lettere Nere in fondo.
La tua pelle.