Mo' Better Blues
-Io ti farò morire.-
Lui ha il fiato tronco. Sulla sedia lì di fronte.
- Ti cuocerò di voglia, rovesciandoti e rivoltandoti le reni a fuoco lento.
Ti porterò in alto, a volarmi nella testa e ti farò ritornare sui tuoi passi
mille e mille volte. -
L'uomo sente la tensione in tutto il corpo. Si muove e si aggiusta, come se
fosse scomodo adesso, lì seduto.
- La mia bocca saprà quando fermarsi.
Io sentirò il momento e lo farò salire, lento. Salirti nelle reni, nel cervello,
come monta un'onda.
Poi ti negherò l'arrivo ancora, mille volte.-
Lui sente la sedia su cui è seduto e l'ascolta farsi scomoda quasi, avrebbe
solo voglia di alzarsi e raggiungerla sul letto.
-Lo stringerò per portarlo poi a scomparirmi in gola, per soffocarlo lì,
posato sulla lingua.
A finire di indurirsi. Poi allargherò le labbra. -
Ora la sedia è quasi una tortura. La sedia dista solo poco più di un metro
da lei seduta lì sul letto.
L'uomo aspetta, quell'attesa lei gliel'aveva promessa, e frena a fatica la
voglia.
La donna sul letto sfila lentissima il maglione a collo alto.
Prima a salire da dove cadeva morbido, sui fianchi.
A coprire la maglia sul ventre, infilata nella gonna.
Ora ha le braccia alte sul capo. La testa scompare nell'angora morbida, per un
istante mentre lei parla e poi scivola e riemerge, spettinata, attraverso il
collo.
I capelli trascinati e spettinati in quello scorrere nel tunnel morbido nero e
caldo della lana.
Il seno sollevato nell'inarcarsi del corpo nel movimento a liberare il capo.
La maglia, sottile come pelle di pesca, tesa sulla pelle, aderente, a marcare il
seno, la traccia del reggiseno e delle coppe.
Il costato, e le punte dure, lì sotto i due strati di tessuto, maglia sottile e
reggiseno, a tenderlo e disegnarne i bozzi. I capezzoli di chiodo, induriti
senza nemmeno essere toccati, già mentre lei parla.
Lei li ha sentiti stringersi e indurirsi, vivere al crescere delle sue parole,
spingere e reagire, come carezzati dalla voce e dallo scorrere del maglione, col
pelo raso di cotone della maglia.
- Ti serrerò solo la punta.
Se spingerai arretrerò la bocca. Il ritmo e la pausa sono miei, tu sarai solo il
mio strumento -
La maglia scivola sulle spalle.
Risale sul ventre. L'ombelico a taglio, nella seduta a bordo del letto. Risale.
Scorre oltre la testa.
Il reggiseno bianco. Disegnato sulla pelle ambrata.
La gonna allargata, intorno a lei seduta, con le gambe a posare a terra, ai
piedi del letto. Un po' allargate nel gesto della sfida.
L'uomo guarda le ginocchia nude, senza calze. Larghe e rialzate, il letto è
basso.
La gonna plissettata, corta, che veste come un drappo quasi la curva e il pieno
della coscia. Che ricade tonda aperta sul letto, mezza ruota, e poi sale e
scende sulle cosce, tesa a fare ombra tra le gambe, dove lo sguardo di lui si
perde.
Vorrebbe toccarsi, ma sa che se lo fa, lei interromperà il suo gioco.
Gliel'aveva detto al telefono quando hanno deciso di incontrarsi.
E lui non osa.
Non può.
Non deve.
Non vuole rinunciare all'agonia che lei gli programma.
- Sentirai le labbra serrare la vena e soffocare la testa.
Posarsi e serrare calde, umide della saliva che ami mangiare quando mi baci,
dalla bocca.
Sentirai la corona dei denti farsi anello duro, posarsi piano, dura, e sfregare
leggermente fino a strapparti il fiato -
Lei ha le braccia alla
schiena adesso.
Le spalle tese e aperte nel gesto di tirare indietro le sue ali. Lui immagina le
scapole avvicinate e il solco a mezza schiena. Quello che ama percorrere a
salire sulla schiena, con la lingua.
Dietro la schiena lei afferra i lembi e spinge il piccolo gancio.
Scivola sulla schiena il doppio laccio, le coppe si fan morbide davanti.
Liberano i seni che nascondono ancora.
Poi scivola del tutto. Lei è nuda, sopra, fino all'orlo di cotone della gonna.
Il reggiseno cade a terra, e si posa sulla punta della scarpa.
Drappeggia, bianco, il cuoio nero.
- Ti serrerò sotto, con la mano, le terrò strette, dure e serrate, chinerò il
capo e ti affonderò, serrandoti così, a scivolarmi in gola, sulla lingua.
Per poi fermarmi. Quando sarai in fondo e le labbra non potranno più avere
corsa.
Tenendoti sospeso nel caldo umido e legante della mia saliva -
L'uomo la guarda. Aspetta.
Sembra legato a quella sedia, e teso, quasi a schizzarne via, dalla voglia.
Lei ha uno sguardo strano, lucido e nero, buio di pozzo e di lampo, due
fiammiferi accesi all'improvviso nella notte delle sue pupille.
Gialli.
Hanno preso colore e lampo alle sue parole, come il fuoco sotto la carezza e la
spinta del vento.
L'aria è sospesa nella stanza, densa, colore del latte. E' un film ripreso in
controluce.
La luce di taglio dalla finestra a lato, stanza senza ombre.
Un film sospeso a metà di un fotogramma, come se la pellicola si fosse bloccata
e l'immagine restasse ferma a mezz'aria, sospesa nel pensiero e nella voglia.
- Ti porterò a volere la mia bocca come se fosse la tua morte. Ad aspettare
l'ultimo scivolo di labbra e lingua.
Quando ti libererò finalmente.
L'ultima discesa della mano a scatenarti.
Saprò quando fermarmi. Solo un istante prima. Un istante.
Per poi ricominciare, da una nuova primavera, a farti desiderare, ancora più
della volta precedente, l'arrivo dell'estate a squarciarti il ventre -
La donna ora è in piedi. Avanza lenta alla sedia.
Lo guarda. Si inginocchia.
Solo il gonfiarsi accelerato del seno tradisce la sua voglia e l'ansia di domare
e guidare l'uomo lì davanti. In ginocchio con la gonna a scenderle sull cosce
lungo i fianchi.
Parla ancora, mentre gli carezza il petto e infila le mano sotto la camicia.
I capezzoli di lui, duri come i suoi, sotto il palmo delle sue mani infilate a
tendere i bottoni che chiudono ancora la camicia, e poi carezzati dai suoi
polpastrelli.
Parla.
- Sai che sarà una tortura di cui non vedrai la fine. La desiderai finchè io
non deciderò che sia il momento.
Posso portarti a desiderarmi mille volte, corrermi in gola credendo di arrivare,
e poi fermarmi.
Non mi forzerai a finire, perché altrimenti smetto.
Aspetterai che la mia bocca ti permetta di lavarla. Che sia lei ad aver sete e
non tu a desiderarlo -
Lei ha slacciato, senza smettere di parlare la cintura.
I jeans di lui, con la cintura che gli ricade sulle ginocchia, la fibbia grande
di metallo scivola sul ginocchio e scende a lato.
Ora slaccia i bottoni dei jeans, senza fretta, uno dopo l'altro. Pollice e
indice a forzare l'asola, una dopo l'altra, con la pressione della mano a
tendergli di più, sotto, con quel contatto irrisolto, il sesso.
Fa scorrere il tessuto blu chiaro fino a terra, l'uomo si alza solo leggermente,
la aiuta a farlo, mentre le mani della donna scorrono col tessuto che
accompagnano, sotto di lui, sopra la sedia. A malapena, lui, sollevato sulla
sedia. Col peso del corpo a posarsi nei polpacci.
I jeans al suolo, sotto, attorno alle caviglie.
Lui, teso oltre l'elastico delle mutande, serrato dall'elastico contro il suo
stesso ventre.
Ad attendere la mano e poi la bocca.
- Ti farò morire e nascere, ancora e ancora, soffrire nell'attesa, dolcemente
e poi violentemente, desiderarmi come l'aria e l'acqua e il pane perché io sono
la tua donna.
Poi ti darò fiato e sazietà, nella mia bocca.
Paziente e cattiva, per farti esplodere in me, annientato, a saziare finalmente
anche la mia attesa.
Ora devi solo stare fermo. E accettare il capriccio della mia lingua e della mia
bocca -
L'uomo chiude gli occhi mentre la lingua si fa antipasto alla stretta successiva
della bocca.
Si inarca sulla sedia, le mani puntate a lato.
Solleva reni e pube verso la gola in cui vuole schiantarsi.
Proteso a mezz'aria ad attenderla a placarlo.
Lei tace ora.
Solo il petto le si gonfia, al ritmo del respiro fatto stretto.
Assapora il suo potere e il suo controllo.
L'uomo sulla sedia, si arrende.
E lei, chinando il capo, lentamente, ora lo porta.
Lo porta dentro, tra le labbra, e comincia coi capelli la sua danza.
La
dedica è all'agonia più bella, alla Donna che fa del suo potere, in quel gioco
delizioso, un blues, e porta ad avvolgersi mille e mille volte, spirale di note,
le note della sua bocca.
E' il blues più lento e struggente, quello che lega le note come anelli di
catena, che impenna e poi si riavvolge.
Che spacca il respiro nell'attesa della stretta del do, del guizzo della lingua,
del caldo morbido dell'appoggio sulla saliva che la scalda e che la fa morbida
al tatto.
Il giro che si arrotonda a spirale, che riprende ma sempre un po' più alto, giro
dopo giro, come la voglia di scoppiare che ti sale nelle reni e nel cervello.
Mo' Better Blues, le note a fil di fiato, quando sei appena fuori e lo senti
caldo preannunciare il nuovo esser fatto prigioniero. Lenta tortura del piacere.
E allora, la musica sembra sospendersi ancora una volta.
Per poi strappare, ancora, nota dopo nota.
A suo capriccio e piacimento.