Occhi di gatto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Incrociano lo sguardo quasi per caso.
All’uscita dal caffè in quella via, nella giornata che sa di cannella e vaniglia.
Odori freschi scappati dalla pasticceria, lì a lato.
A saturare, oltre che il naso, anche i pensieri.
Odori di torta, caldi e umidi ancora, e di mattino della festa.
In una giornata prima del lavoro.
Lei col marito.
A braccia incrociate, abbracciati, a fianco, in una posa quotidiana.
L’uomo che entra nel bar si scosta, lascia passare i due e sembra stupito da come sia naturale quell’abbraccio, come passino bene affiancati tra lo stipite e il cristallo molato della porta. E nel pensare questo, senza in realtà nemmeno rendersi conto del pensarlo, incrocia lo sguardo.
E aggancia gli occhi.
Il taglio un po’ particolare, un po’ felino. Occhi tagliati per incidere, tagliare, lasciare il segno impalpabile dopo lo sguardo.
Uno sguardo indimenticabile se lo vedi.
Che lascia il segno e firma.
L’uomo al fianco della donna, probabilmente il marito, non riesce nemmeno a notarlo. Al limite potrebbe dire di averne colto con lo sguardo il braccio, intrecciato a quello della donna, ma non potrebbe nemmeno ipotizzarne il viso. Il suo sguardo era agganciato, rubato, e ha seguito solo il lampo del felino.
Perché quegli occhi avevano davvero un loro lampo. Come quello del sole se sbatte forte su uno specchio. Solo un lampo assai più caldo e umido. Quasi sfuggito e nascosto tra le piante.
Conosce quello sguardo.
Ha negli occhi e nella testa, se ne rende conto all’istante, il ricordo di quegli occhi.
Dove?
Quasi va a sbattere contro un cameriere, perché adesso, avvicinandosi al bancone, ha girato la testa a seguire il movimento del corpo oltre la porta, il sollevarsi e ruotare sinuoso dell’anca, il gioco di luce dei riflessi del sole che, rimbalzato sul cristallo, vanno a saettare sui jeans stinti, sotto l’orlo del giaccone corto, e disegnano il movimento delle natiche nel passo.
Bel culo.
Bella luce.
Bell’onda ogni passo. Luce generosa che scolpisce e fa quasi vedere il guizzo del muscolo sotto il tessuto, teso a segnare e marcare, e la piega alta della coscia, il passo deciso, il guizzo quasi uno scatto.
Impossibile non seguire fin dove l’occhio lo permette la danza delle natiche azzurre.
Fino a torcere il collo per non perderne la vista, quasi.

- Un caffè e un bicchiere di acqua naturale, per favore –

E sorseggiando il caffè amaro in testa ha nuovamente gli occhi.
Quelli. Lui li conosce.
Ma dove.
Ma quando. Dove si sono nascosti.
Cerca di ritrovarli in un qualsiasi ricordo, gli sembra di arrivarci, quasi li sfiora e poi li perde di nuovo.
Dove?
E lei anche, l’ha guardato in quel modo, come se lo conoscesse. Un misto di ironia e malizia.
Oppure era solo un’ effetto della luce?
Se avessi guardato l’uomo, pensa bevendo il caffè amaro, probabilmente, forse, avrei inquadrato meglio la donna, mi avrebbe magari aiutato a ricordare. E se davvero quegli occhi non erano nuovi per lui li avrebbe associati probabilmente finalmente a un nome, un giorno, una situazione, un più preciso e definito ricordo.
Perché ora l’uomo ne è certo. Quegli occhi li conosce.
Li ha già visti e guardati.
E non li ha dimenticati.
Sì.
E quello sguardo.
Che davvero era in qualche modo anche ironico. E c’era intenzione, quasi insistenza ostentata e sfida, nel lasciarlo lì inchiodato nel suo, per una frazione interminabile di tempo.
E quel taglio alla bocca, larga, forte, bellissime le labbra, non può fare a meno di pensarlo, mentre rivive quell’incrocio, era davvero un abbozzo di saluto, a metà tra un sorriso e un invito e una sfida, quasi una smorfia a fil di labbra, i denti appena accennati, bianchi, un po’ beffarda.
E, come quando ci si sforza di ripescare un pensiero, e si rincorre con la mano un foglio caduto nell’acqua, e si cerca muovendola con le dita di avvicinarlo, più l’uomo si sforza, lì sospeso sul lago dei suoi ricordi, più la certezza di quel viso, del quando e del dove si allontana e dispettosa si nega.
Bevuto il suo caffè, e l’acqua, col pensiero di quegli occhi in testa e di quel sorriso, che, ora ne è certo, davvero, era un invito diretto a lui a fermarla, in preda ad uno strano turbamento, l’uomo si avvia verso l’ufficio, nella via prospiciente il bar del centro.
Cammina e ad ogni passo ha in mente il moto delle cosce e la tensione dei jeans, il culo ad oscillare prepotente ad ogni passo, alto sulle cosce, e quello sguardo, che ha il sapore di qualcosa che hai smarrito.
Apre l’ufficio. Quattro mandate, dopo aver spento l’allarme.
Appende il giaccone, posa i giornali, Corriere e Gazzetta, il Sole, sul tavolinetto.
Distrattamente siede alla sua scrivania con il pacco della posta ritirato dal custode.
Accende il computer. Apre la posta.

- Non hai memoria.
Possibile?
Eppure anche quel giorno ti ho sorriso in quello stesso modo incrociandoti anche allora all’uscita.
Ma non mi hai riconosciuta vero? Di avermi vista sì, ne sono certa, avevi anche tu lo stesso sguardo allora. La stessa voglia non detta.
Ma non ricordi dove, né chi ero.
Eppure so che sai il mio nome come io, vedi, ti scrivo, conosco il tuo.
Peccato.
Perché non sai leggere negli occhi.
Non capisci i messaggi.
Ho salutato lui, pochi minuti fa. E sono tornata a casa mia.
Nemmeno così lontano da dove sei tu adesso.
E ne rido.
Sapevo già all’uscita del bar quel che ti avrei scritto. Uomo sbadato.
Uomo sbadato…
Ho sentito i tuoi occhi scavare nei miei per ritrovarmi nella tua memoria.
E i tuoi occhi posati sul mio culo mentre uscivo. Ti piaceva vero il movimento?
Io li sentivo lì come s fossero le tue mani.
Accompagnare e stringere, ad ogni mio movimento.
Ora sforzati.
Sì.
Sforzati ancora.
Perché nel mio guardarti ho ripetuto un’offerta e una promessa.
Due volte, non tre. Sarebbe una di troppo. La terza non ti è concessa.
Ricordati. Non era molto tempo fa nemmeno.
Ritrovami.
Hai un’occasione.
Se mi ritrovi, io sono il premio.
Ciao, bell’uomo che non sa archiviare le lettere di offerta, se sono solo sguardi.-

L’uomo rimane un po’ perplesso.
Nemmeno l’indirizzo di mail non gli dice nulla.
E scrive.
Risponde e comincia, mail dopo mail, nei mesi successivi, ad impazzire.
Scherzi della memoria.
Che capitano nella vita.


 

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