Una donna

 

 

 

 

 

Cos’è che muove il sasso ?
E l’acqua ?
E il pensiero ?
La molla che tende il desiderio ?
La tensione della voglia ?
L’attesa ?
L’adesione di due corpi fino ad annullarsi e moltiplicarsi, sommarsi ed elevarsi a potenza sotto la spinta delle reni ?
Il sospendere il respiro per rubarsi il respiro ?
Il cedere e rubare, sottrarre e invadere, colmare ?

La donna nella stanza, seduta sulla scala si poneva tante domande.
Dal lavandino cadeva lenta una goccia d’acqua nel piatto sotto il rubinetto. Tac. E poi, dopo una pausa ancora.
Tac.
La stanza aveva odore di essenze, un fondo di profumo di pane lievitato, retrogusto del latte versato sul fornello dimenticato prima acceso. Odore di legna arsa in sottofondo come una scia, dopo il passaggio in cielo del volo per Berlino o per Zurigo. O per qualsiasi altra destinazione potesse offrire un sogno.
Un volo per fuggire.
Per ritrovare se stessa in lui. Ritrovato eppure nuovo come un regalo nel mattino, quando non occorre proprio nemmeno un motivo per farsi, proprio quel giorno lì, un regalo.

Cosa muove un pensiero ?
Cosa muove una fuga della mente verso una spiaggia, a cercare ancora le proprie impronte ?
E un tremito del ventre sotto il tocco di una mano ?
E il brivido alle reni al posarsi a lato, aperte e calde della punta delle dita, cinque lingue asciutte, cinque per lato, morbide e dure, e calde a chiudere un contatto, e fare arco di corrente nella schiena ?
E quella sensazione di impazzire, struggersi e la voglia di offrire avanti il ventre, il pube all’aria prospiciente come se fosse, anche in sua assenza, l’aria, lì, la sua bocca ?
E cosa muove dentro, a colare sulle cosce, calda, quella voglia fattasi acqua, latte di donna, colla di desiderio, bava di belva, odore acre e forte di calore, vino passito apparecchiato lì per la sua bocca ?

Lei siede con le gambe puntate a terra, alta sul gradino, le ginocchia scostate poco a lato, alte e puntate, un po’ divaricate, a tendere il jeans chiaro appena liso.
Le gambe in quella posizione sembrano farsi braccioli di poltrona.
E lei sembra farsi seduta di poltrona, schienale che avvolge, cuscino di trono, in attesa di lui.
Che lui arrivi e si sieda lì, tra le sue cosce, le sue gambe, e renda omaggio d’uomo, e onore alla donna lì seduta, e al suo piccolo trono.
Fino a sentirlo arrivare, lì seduta, nemmeno l’ha sentito entrare nella stanza, eppure lei veramente lo sente, sa che c’è, in quel momento, ad accovacciarsi lì, stretto tra quelle gambe.
La schiena a posarsi sul suo petto, la testa indietro a cercare l’incavo della clavicola e della spalla.
Lei a cingerlo, abbracciarlo, tenerlo, facendosi con le braccia cintura d’auto, allacciando le mani, ricongiunte, le dita intrecciate, alternate come una cerniera. Lui è davanti, seduto nell’abbraccio che lo accoglie.

Cosa muove un pensiero ?
Cosa muove un calore sulla pelle?
E una sensazione fisica fatta di nulla ?
E l’acqua densa, viscosa, che ora la scioglie sotto i jeans, che le grida tra le cosce e che la bagna ? Cosa muove lei, fino a sentirlo ?

La donna sul gradino abbraccia lui come se lui ci fosse.
Cinge con le braccia le sue stesse ginocchia.
Poi vuole stringerlo e serrarlo, trattenerlo finalmente perché lui mai più parta.
E allora aumenta la stretta delle braccia.
A serrare le ginocchia, sempre più strette tra le braccia, fino a stringere a fondo, come un cappio il laccio delle braccia.
Fino a trovarsi con le ginocchia, strette, bloccate, legate, le cosce calde sotto il tessuto e premute tra di loro. Le ginocchia a comprimerla, chiuderla, colmarla nel suo abbraccio. Ad aderire al seno.

- Ti tengo -

Sembra dire col suo sguardo.
La goccia, una delle tante cade sul pelo dell’acqua nel piatto, si mischia alle altre già raccolte e scivola, correndo a superare il bordo.
La donna sulla scala aspetta lui. Che torna.



 

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