Fu quella notte.
No, era giorno pieno, lo ricordo ora.
Sulla luna era notte. Ma sulla luna è sempre notte, o forse sempre giorno, bisognerebbe chiederlo a chi ci è stato.
Sulla Terra erano le 15.32 ora italiana.
Ma forse sbagliavano fuso orario, io credo, ricordo, fosse qualche ora prima.
Scese piano.
Avvicinandosi come una piuma sorretta dal respiro.
L'uomo, nella discesa guardò. Fino a che la vista si perse arrivando al suolo.
Cercò il punto esatto dove atterrare. Lo scelse appena lo vide.
Lì, lì su quella piccola e impavida collina. Sembrava chiamarlo.
Si posò piano, come fa un esploratore trattenendo la fretta e l'ansia di scoprire, a stento. Poi scese. Lentamente.
Era atterrato, per la prima volta, sulla Luna.
La baciò.
La leccò, ne strinse tra le labbra la piccola collina vogliosa su cui si era posato un istante prima. La tenne tra i denti.
La succhiò come avrebbe fatto un bambino ma lui era un uomo e lei lo sentì. E tremò sperando lui la mordesse ancora. Lo fece.
Ne rigò coi denti piano il declivio, fino in punta, poi scese con le labbra e si riarrampicò mordendone le pareti.
Posò la lingua piatta ancora sul capezzolo, vi planò più volte, ogni volta al crescere della confidenza e del gemito di lei un po' più forte, fino ad avere la lingua asciutta e secca e sentire che lei ne godeva.
Colò la sua saliva.
Le vide il seno sollevarsi verso la sua bocca. Le mani di lei nei suoi capelli si fecero un attimo tiranti come se l'uomo sulla luna non dovesse, potesse, mai andarsene, non ne avesse diritto alcuno.
Lei lo sapeva, lo voleva. Lui lo sapeva, lo voleva. La morse.
Poi alzò il capo. Le baciò le labbra.
Lei gli baciò le labbra, poi la bocca di lui, lentamente scese. Scese.
Scese. Scese.
 

 

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