Fu alle tre che lei cominciò a cucinare,
in fin dei conti era la vigilia di Natale.
Sopra la gonna corta mise il grembiule quasi più corto ancora e si sentì
guardare. Sapeva di essere bella, le gambe nude ancora abbronzate, la
gonna cortissima e i lacci dietro, le piccole asole del piccolo
grembiule blu oltremare. Sotto lo sguardo si sentì bagnare, ma si
bagnava subito e non si stupì nemmeno, se ne godette in silenzio ad
occhi la sensazione.
Fu alle tre che lui si voltò, allacciando i polsini blu della camicia. E
la vide, in cucina, a preparare la cena di Natale. Niente pesce, lei non
lo amava, e rompeva solo crostacei e poco altro questa sua avversione.
Era bellissima, gonna corta e grembiule, quello blu oltremare, che
avevano comprato trovandosi alla Rinascente nell’intervallo di lavoro il
giorno prima, con tutti quei lacci dietro che erano un piacere da
slacciare.
Era sicuro che lei sentisse lo sguardo. E che avrebbe vinto la scommessa
con se stesso se tra le cosce l’avesse toccata, anche un attimo solo,
sfiorandola per controllare, dopo che lei aveva allacciato l’ultima
asola del piccolo grembiule.
Alle sei era l’ora che di solito uscivano dal lavoro, lei dal
laboratorio, lui dal suo giornale.
Si incontravano in un bar, sempre lo stesso, per salutare finalmente la
giornata dura che volgeva a sera, bevevano qualcosa e giocavano sotto il
tavolino con i piedi, le gambe e le mani come ragazzini. E inventavano
giochi nuovi per stuzzicarsi o farsi stuzzicare.
Lui era uscito con le mutandine di lei nella tasca del giaccone.
Quando lei l’aveva fatto chinare sotto il tavolino, a raccogliere
qualcosa, solo per farsela vedere, allargando le gambe solo un poco,
piano piano, dopo essersele tolte, prima di infilargliele furtiva nella
tasca, solo tre sere prima. E lei era rincasata godendo di un inverno
che non mandava gelo ma ancora calore sul suo sesso nudo mentre
camminava sul selciato.
Lui se lo ricordò alle sei, quella sera di vigilia, che mica erano
andati quel giorno a lavorare. E si scoprì eccitato, come lo era stato
chino sotto il tavolino.
Lei se lo ricordò alle sei mentre tagliava le baguettes del pane, e
appoggiò il pube all’angolo del bancone di cucina, sfregandolo un
pochino.
Prima di sorridere e continuare ad affettare il pane.
Alle otto tutto era pronto, la sera prima erano andati insieme al cinema
a quell'ora, pensò lei, mentre metteva tavola per la cena familiare.
Che, con tutti i parenti tutti, poi ci si ritrova solo il giorno dopo,
non la vigilia, e ci si scambiano i regali. E i bambini ogni anno
scalpitano, perché si cambi la tradizione.
Anticipando alla sera prima il rito.
Sorrise, posando i tovaglioli, ricordando che del film invece ricordava
poco.
Ma di quasi tutti i film visti con lui, era così. Appena scendeva il
buio in sala si iniziavano a baciare. Ogni volta, come fanno i
ragazzini.
Ma i ragazzini non si toccano in quel modo e non devono mordersi le
labbra quando stanno per godere. Seduti nella sala quasi deserta, in
alto, d’angolo, lontani dall’uscita.
L’orologio del soggiorno segnò le sei e anche lui pensò al cinema, e a
come dopo poco anche il bracciolo piantato nelle costole, abbracciandosi
affiancati, magicamente ogni volta scompariva.
E lui, perdendosi in lei, la lingua, le parole sussurrate per non farsi
riprendere dagli altri spettatori – insomma la volete finire lì dietro
di parlare, statevene a casa a guardare la televisione – le fughe
imprevedibili e bastarde delle mani, il fruscio che urlava dei tessuti,
dimenticava anche il titolo del film scelto.
E perché avessero deciso di voler vedere proprio quello, che quello
della sera prima poi era un mattone.
L’aveva scelto lei, pensò. E sorrise allacciando la cravatta col suo
nodo migliore.
Poi cominciò la cena. Erano le nove. Lei sedette, il figlio disse che
non avrebbe mangiato le verdure cotte che non è giusto offrire sacrifici
alla crescita nemmeno la vigilia di Natale, e loro tre, il figlio con un
baffo di pennarello sulla guancia, lei con la gonna corta e senza più il
grembiule.
Lui in jeans e maglione, e cominciarono a cenare.
Carne, niente pesce, il famiglia si erano ormai abituati a mangiarlo, il
pesce, solo i due maschi, complici tra loro, solo fuori.
Poi cominciò la cena e lui uscì per trovarsi col fratello e la cognata e
i loro bambini. Odiava mettersi la cravatta per le feste ma sua cognata
era un tipo assai formale.
Cena tradizionale, un po’ eccessiva, e pesce, tanto pesce, che alla
vigilia da loro, al paese così si usa, ma che a lui, da un po’ piaceva
poco. Al massimo gamberi e calamari.
A mezzanotte, al momento degli auguri, lei pensò a lui. E sorrise. Che
un poco si sarebbe bagnata pensandogli se lo aspettava, si conosceva, ma
oltre al taglio tra le cosce si sentì umidi gli occhi e si disse che era
colpa del fumo delle candele dell’Ikea.
Fu agli auguri di mezzanotte che lui baciò i bambini, la cognata, poi
abbracciò il fratello e lo strinse forte e mentre lo stringeva e gli
diceva buon Natale e celandosi coi suoi pensieri in quell’abbraccio,
guardò dalla finestra. A una ventina di isolati di distanza fece lo
stesso lei.
Alcuni dicono di aver visto due luci passare sopra la panetteria
Belfiore, a mezzanotte e dieci. Poi scomparire nel buio, come se fossero
andate a nascondersi dietro il palazzo alto, quello nuovo, orribile,
quello di dieci piani.
Il Natale degli amanti ha appuntamenti strani, sopra i tetti a metà
strada.
Qualcuno dice che le stelle cadenti volino per San Lorenzo, ma io
giurerei di averne viste due volare a dicembre, che fa ancora caldo
quest’anno e le finestre sono aperte a mezzanotte, e non si è decisa ad
arrivare ancora la neve.
Giuro di averle viste.
Sì.
Ne sono sicuro.
Forse.
Quasi.
(dedicata agli Amanti, qualsiasi e
chiunque sia il loro amore)
...e a chi, a mezzanotte, libera mongolfiere di pensiero |