IV   La barca   
 

 

 

 

 

Cade così inesorabilmente il buio.
Con tonfo di silenzio, come quello che hanno solo le luci quando subentrano alla notte su in montagna

o qui lungo il fiume o quando la sera e la morte delle ombre arriva come adesso.
E il buio toglie anche con stupore di immagine e visione celata le parole quasi al narratore.
Perché li vede adesso lì, stretti al primo freddo.
Scavati nella sabbia.
Statue immote di sale.
Può immaginare le mani che cercano nel sonno il caldo e la pace sotto un maglione.
Stringono, per la certezza che cerca un bambino quando dorme a pugni chiusi,

quando dorme e il corpo è solo microscopici scatti elettrici, sotto il maglione un seno.
Dormono così.
Abbracciati di schiena. Le braccia sue a dare a lei sicurezza di cintura. A lui la certezza di un corpo e non un sogno in riva al fiume.
Caldo di schiena su caldo di ventre.
Il respiro della pancia a cullare quello che fa dondolare in movimento lento schiena spalle e incavo di reni.
Sesso di uomo, solletico di pelle in ombra lì tra cosce.
A carezzare un taglio che sorride, ombra di labbra ancora un poco gonfie,

ombra di peli e voglie secche, mescolate e lasciate scivolare lente a farsi carezza sulla coscia.
Immagino che sia stato anche strano.
Forse difficile persino a concepirsi nelle leggi di natura.
 

L'isola però sta scivolando.
Lenta di moto silenzioso, lungo il fiume.
Barca nella notte, a scorrere i passaggi di boschi, case, luci di auto sulla strada in costa.
L'isola staccata dalla corrente o dalla forza di un pensiero.
Succede in certe notti.
Se il sonno ha speciali poteri. Succede solo però se nessuno vede o guarda.
Nessuno infatti ha mai raccontato di queste strane barche con ciuffo di nocciolo al centro, piccola foresta, cresta di testa, di un'isola piccola di sabbia e sassi.
Per questo il sonno loro è ancora più fondo.
L'isola addormenta, il sesso è caldo e sciolto, e lo scivolare con piccolissimi scarti nella corrente forte

e maestra fa da slitta al sonno.
I pugni chiusi, sui, suoi seni.
Le reni e il culo spinti contro il ventre, lei a cercare porto.
Motocicletta umana, in curva nella notte, motore a quattro tempi, regolare e senza affanno, del respiro.
Correrà l'isola verso il fiume e verso il mare.
In una sola notte.
Nascosta ad ogni sguardo. A loro stessi.
 

La strada d'acqua è lunga.
Non chiedetemi ora di tempi e modi.
In una notte ad arrivare il mare.
Regole sovvertite di fisica dinamica logica e natura.
Arriveranno all'alba.
Viaggio su una barca libera da ancore e ormeggi. Motore anarchico e forte che hanno solo certe notti.
Su alcuni fiumi.
Su isole nelle corrente.
Il delta e la laguna e dopo campanili e paesi che si rimettono come ogni giorno in moto, là sulla riva.
Faranno colazione lì, all'alba.
Senza stupirsi.
Avanzo di panino con frittata e voglia forte di caffé nero.
Nell'aria sapore salmastro di incontro tra il fiume e il mare. Seduti lì, piedi nell'acqua,

a infarinarsi il culo, lavando gli occhi e il viso con le mani a conca.

Del poi, del dopo di quel viaggio si trova traccia, ipotesi, suggestione in alcuni manoscritti a Saragoza.
In alcuni diari di viaggiatori di ritorno da luoghi lontani.
Racconti divergenti sul dove il quando e l'occasione.
Li ho nel cassetto di una vecchia scrivania in legno, stanza a cassetti abituata a custodire carta e parole.
Letto per le parole nuove se ti appoggi e su ci scrivi.
Schegge di memoria e di racconti.
Ve ne narrerò dopo.
Adesso ho un caffé nero e il mare ancora caldo al sole del settembre che corre che mi aspetta.


Dedicato: alle parole nella notte e alla barca scura all'ombra di boschi scivolati nella notte,in riva, che a volte le trasporta.

 

 

(a suivre)