V   I due delta. Il mare 
 

 

 

 

 

Sì.
Il fiume ha corso nella notte.
Ha corso lento, senza scosse.
Una notte così non ha misura. Non ha certezza di ore. Oltretutto.
Dura esattamente quanto basta.
A due corpi per dormire in una motocicletta di braccia e gambe dopo.
Ad un'isola solcare tutta la corrente.
Credo chiudendo gli occhi che si possa quasi percepirne il frusciare.

Anche il piccolo tonfo a cerchio degradante di un sasso caduto

ad un piccolo impercettibile scarto nell'ansa.
Resterà il sasso, sotto l'acqua a farsi impronta di quella notte

in cui le isole imparavano a nuotare.
E i due, sdraiati stretti per il freddo, a volare.

Il sasso affondato è molte miglia a nord-ovest adesso.
Peccato che non possa vedere questo delta, questa laguna di canneti

e barche strette e lunghe attraccate ai pali.
L'uomo e la donna, nudi sulla terra che slitta lenta,

sceglie da sola per correnti invisibili quale canale,

devia a sinistra poi sembra fermarsi a pensare e, no,

adesso va dritta tra due file uccelli posati a dormire a filo di riva.

Lì, dove poi c'e' la curva che svoltando a destra fa cadere lei, ridendo, a terra.
E la risata sveglia gli uccelli.
Prendono il volo indispettiti in un fragoroso battito di ali.
O forse applaudivano solamente lui, goffo nel tentativo si rialzarla?
 

L'isola ha i tempi del loro corpo.
Anche della loro fame.
Così almeno era scritto su quei fogli su quello scaffale in Spagna.
Non so se altri abbiamo letto prima d'ora il seguito di questa storia.
Ho rubato quei fogli.
Senza farmi vedere dal custode del Museo delle Parole.
I fogli narrano di una sosta inaspettata dell'isola ad un certo punto.

A fianco di una casa vecchia, tetto di coppi cotti dalle stagioni.
Una finestra aperta e un piccolo furto di poco valore.
Due pantaloni blu da lavoro, tuta da operaio di altri tempi.
"Dio come sei ridicola con le bretelle...

Ti coprono i capezzoli, fanno venire voglie.
Anche a te mi pare ora che con le mie parole ci fai attenzione...

Sfregano e sono diventati duri sotto l'elastico in tensione…"
Una tovaglia a scacchi rossi e bianchi, che magari servirà anche dopo a qualcosa.
Pane un po' vecchio, lasciato lì da ieri, i padroni di casa sono fuori

e il pane nuovo arriverà, ma troppo tardi... solo con loro. Buono anche il formaggio.
E rosso come sangue di toro, sacrificio pagano nell'arena, il vino.
L'uomo salta per riprendere l'isola che si stacca in quell'istante a ritrovare la corrente.
Lei gli afferra un polso per evitare un bagno a tutto.
Perché ridono così tanto?
In quel silenzio d'alba contadina, lì, nel delta la risata sembra un tuono.
E il gracidar di rane comincia a farsi melodia di fondo.
 

Delta di fiume.
"Sul delta ti leggerei a voce alta, come ti piace che io faccia, di quell'altro Delta"

Lui le dice…E il vino rosso viene bevuto a canna, le sgocciola sul seno.
Lui lecca la riga che scivola sbandando sulle curve del collo.
Poi a carezzare in curva il seno, un poco ne resta sull'elastico della bretella.
Poi giù, sotto il petto e sul ventre.
Striscia di lumaca rossa.
Striscia di lingua a punta. E ora piatta a raccogliere la goccia.
Lei scivola sul dorso.
Chiude gli occhi nel sole che adesso si è fatto alto e deciso,

dopo la bruma del delta nella notte.
La mano di lui sbottona i pantaloni blu da uomo, un poco stinti.
Apre la patta da uomo che serba sotto il delta della donna.
Lei sotto è nuda, le mutandine stese sull'erba ad asciugare.
Nuda sotto il tessuto liso ma ruvido di asciugatura al sole.
Lui gioca coi suoi peli.
Pettina e spettina la cresta rada e capricciosa.
Pennella quasi una riga in mezzo.
E scende sulla riga.
Fino a trovarla calda e dritta, a farsi bocca.
Lei succhia con la bocca, lì sotto i pantaloni, sbiaditi, le sue dita.
Alza le reni come ad avvicinarla alla carezza.
Lui gonfia quella bocca.
La fa lacrimare e aprire di stupore con le dita. Poi ci si tuffa.
Nuota.
Dita in apnea, che affondano immergendosi il galleggiante del cervello.
La guarda.
Gli occhi che sorridono anche se sono chiusi al sole di fine estate.

Occhi che chiude bendandoli da sola con le palpebre

per vedere solo con quelli del suo corpo.
Le reni sollevate e rimaste li alte senza traccia di sforzo.
Dita calamitate che la sollevano senza sforzo.
Che determinano l'onda delle anche.
Il seno sotto le bretelle, il destro scivolato fuori con orgoglio.
Tondo di donna, appena scivolato un poco a lato.
Un capezzolo serrato scuro.
Brivido di pelle anche se non c'e' vento a carezzarlo.
O è lo sguardo a farlo rabbrividire ancora un poco...

Chiodo di voglia. Manifesto di tempesta.
Lei scioglierà più tardi lì, sotto le dita, i suoi pensieri. Si farà vuoto.
Avrà solo l'onda della schiena a scivolare, in quattro scatti

e dopo ancora onda pulsante a spegnersi a riva, sulle dita.
I pensieri ad impennarsi fino a scomparire

nello sbattere di una porta spalancata all'improvviso

e poi a dondolare, sciolti sulle dita.
Sull'acqua in riva uccelli di palude.
Il cronista della storia ritrovata a Saragoza aveva passioni varie.
Ne parla narrandone specie e peculiarità di piume.

Ma era solo pudore credo il suo nel narrare.
Pudore di due corpi a rotolare.
E allora narra a questo punto di uccelli marini. E di lago e di palude.
Di uccelli di palude in attesa della pesca.
A dondolare.
All'onda scavata dall'isola che volle farsi barca.
 

L'isola ha scavato il delta, ha pettinato i canali come dita nei peli di quel pube.
Poi si è inoltrata nelle strada d'acqua. Fino alla foce.
L'uomo sfila le dita e le sorride.
Lei si gira sul fianco, verso di lui e fa una smorfia. Apre la bocca per parlare.
Prima delle parole, allora, lui ascolta l'odore del vino rosso sangue,

ammorbidito dalla bocca.
L'eco del vino e l'eco del canto delle canne in acqua.
Sfila le dita e la barca si sfila e e entra, lasciato il delta in mare.
Alle spalle una pianura, un fiume, un altro fiume ancor più vecchio e largo e un delta.
Di fronte a loro, che dormono di nuovo, Venezia, la Dalmazia.
Le terre dei Balcani, gli arcipelaghi che sanno di anice la notte, le terre della storia

e giù, celata alla vista da anse di continente

e di storie infinite di civiltà e di terra, Istanbul.

Che si sveglia.

Finisce qui il primo manoscritto. Vangelo apocrifo di un viaggio.
Sia vero o meno non credo sia un problema, in fondo.
Negli altri, successivi a questo e vergati da altre mani,

uno è addirittura un verbale di polizia di confine,

la storia ha sviluppi e svolte strane, persino contrastanti.
Basta sappiate che in uno diventano, tardivamente, patriarchi di una nuova gente.

Cosa improbabile credo, secoli dopo Cristo..
Ma che importa.
In fondo.
Saranno ancora storie di corpi al sole che giocano con la deriva. In ogni caso.
Ruzzano in amore. Bevono vino rubato.
Spaventano gabbiani se ridono troppo forte e senza un vero motivo.
A perpetuare i ritmi della piccola vita.
Ad ogni alba, che mi vedrà scriverne ancora.

 

 

(a suivre)