XVI bis Il prima e il durante.
Ipotesi fotografica
Qual è il motivo?
Quale la ragione di un viaggio?
A volte la domanda resta sottintesa.
Oppure arriva a porsi da sola o resta in ombra, silenziosa, e trova la risposta
allo stesso modo in cui è nata, nella mente di chi si interroga, e cerca un
perché al dove.
Il narratore, travolto dalla narrazione, incuriosito, ingolosito quasi dal
fluire delle carte, dei piccoli eventi, della sfida alla ragione si rende conto
una mattina, riordinando carte immagini e pensieri di aver sottinteso per
mancanza di documenti ufficiali forse, sin dall'inizio, una spiegazione.
Dicevo.
Il narratore, travolto dalla narrazione, incuriosito, ingolosito quasi dal
fluire delle carte, dei piccoli eventi, della sfida alla ragione si rende conto
una mattina, riordinando carte immagini e pensieri di aver sottinteso per
mancanza di documenti ufficiali forse, sin dall'inizio una spiegazione.
Si incontrano nella città grigia e scappano al fiume.
Inizia così in fondo.
Ma vengono da dove?
E qui comincia la difficoltà vera.
La quasi impossibilità di una univoca rielaborazione delle carte e delle storie
personali.
Perché nelle carte, nei documenti e anche nelle foto non c'è spiegazione in
fondo.
Si trovano delle foto precedenti, alcune disponibili a chi narra, viste quasi
per caso, probabilmente uscite da album o da buste tenute in tasca.
Vecchie copie di documenti personali, ma in quelle foto sembrano addirittura
persone differenti.
Tanto da dubitare a momenti che siano proprio loro.
Perché, sia nelle immagini, che nel loro sentirli, nella ricostruzione che ne
viene fuori li si percepisce differenti. Come si confà probabilmente alla
particolare situazione.
E la domanda, da dove vengono, e, poi, dove vanno, non trova così una logica e
conseguente e rassicurantemente razionale spiegazione.
Riordinando quello che, anche, sinora, da Saragoza è arrivato. e anche gli
ultimi tre involti in carta da pacchi, mettendo in fila, sul tavolo di legno
vecchio, foto e spezzoni di vita fermati sulla pellicola o nelle parole scritte
sulle carte, si hanno solo poche indicazioni.
Delle loro età, approssimative.
Di vite nate assai sfalsate. Nella dimensione convenzionale degli anni e dei
tempi su cui si misurano le vite.
E allora sorge una domanda. Sulla ragione per cui poi, in modo naturale, di
questo in fondo non si senta o trovi traccia, a parte in alcuni racconti, fatti
all'imbrunire in alcune giornate.
Come se anche il tempo prima e quello dopo in qualche modo si fossero azzerati o
fatti paralleli al pari di quello a loro corrente.
Se avessero avuto come un travaso per vasi comunicanti, uno scivolare a riempire
i vuoti precedenti.
Colmare e travasare e livellare, spostarsi da una vita all'altra attraverso
canali sotterranei, sabbia di clessidra che scorre alternativamente tra
un'ampolla e l'altra, fino a mischiarsi finemente.
Guardandoli lì a Bisanzio, dormire su quel letto e quelle lenzuola di cotone e
di giornali vecchi, quasi non si percepisce lo stacco. L'interruzione delle vite
e dei corpi.
Non c'è ovviamente alcuna foto di quella loro notte.
Ma dalla ricostruzione, dalle memorie appuntate, dall'atmosfera che si ricompone
accostando il mosaico delle carte, lo si sente.
Si vede chiaramente, con la chiarezza che solo le percezioni veramente in fondo
hanno.
Riguardando, poi, le immagini, che si suppongono precedenti a quella loro prima
giornata sul fiume, viene spontaneo a chi guarda anche lo stupore. Stupore per
quel senso di inarrestato movimento.
E stupore anche immaginando loro, le fasi di quella reciproca scoperta, di quel
travaso quasi retroattivo, di quello scambio che affianca appaia e livella,
sommando per condivisione due vite.
Fino a creare questa immagine, che si ritrova dopo, costante, nelle loro foto, a
noi arrivate coi documenti legati ai loro comuni eventi di quel viaggio.
L'immagine che suffraga anche il senso del loro moto nel tempo.
Che fa di quelle foto un po' ingiallite, spesso mal conservate anche, o non
necessariamente perfette nella qualità di ripresa e stampa, quasi immagini non
databili e fa sembrare persino somiglianti nei tratti e le fattezze i due, non
permette quasi di immaginare che esistesse un prima differente.
Nelle immagini chi guarda, e a volte per la minutezza delle figure e l'ampiezza
dello sfondo ci si deve avvalere di una lente, inevitabilmente cerca un viso e
di definirne le fattezze.
Di dire lui è alto o basso. E lei com'è?
E qui l'altro mistero, se di mistero poi si vuol parlare.
L'arcano di chi in una foto sembra grande e poi in una successiva sembra
differente.
L'immagine scattata nella nave, nella cabina dell'Aurora.
Confrontata come in una vivisezione comparativa con le foto del ritorno a
Trieste.
Per strano effetto di prospettiva, errore magari delle luci e scherzo del
fotografo che ai due scatti non era lo stesso, in una lui sembra assai più
grande, e nell'altra tra i due si capovolge quel rapporto di grandezze.
Il narratore sofferma maggiormente l'attenzione allora. Stupito.
Si accorge che in nessuna delle due foto, a breve distanza di tempo se ci si
rapporta alla misurazione normale del tempo usata correntemente, è riscontrabile
alcun trucco. Artefatto o scherzo di un fotografo dispettoso o incapace e
dilettante.
Arrivare a definire un perché, probabilmente, è impossibile logicamente.
L'unica ipotesi è la somma del loro non convenzionale misurare e vivere il tempo
e nel tempo, la norma unica e del tutto eccezionale, non riducibile
razionalmente, che ne scandisce il viaggio, e l'effetto un po' sconvolgente di
quel travaso anche dei tempi precedenti.
La sabbia delle vite che sposta il peso dall'uno all'altro.
E fa crescere ogni volta una delle due ampolle di vetro soffiato e trasparente.
A farla sembrare più piena e più grande, quasi a generare l'altra con il suo
travasare, goccia a goccia, due ampolle che si baciano come due bocche, il
contenuto.
La spiegazione probabilmente a cui arriva il narratore non è così logica nella
logica corrente.
Richiede per essere vista in chi legge lo sforzo di ore e giorni passati a
studiare quelle carte.
Richiede di aver vissuto forse anche personalmente piccoli frammenti di tempi,
di essersi fatto domande sulla relatività della loro percezione e durata nelle
misure convenzionali della vita, nella quantità di contenuto su piani infiniti
che un istante sa contenere a volte, di aver magari provato a sentire il
passaggio di quelle sabbie nell'incontro delle ampolle.
La capacità di sentirsi forse come quelle sabbie anche.
Granelli arrotondati, fatti perfetti.
Capaci di correre e scivolare su se stessi. Di transitare senza sforzo.
Di essere al tempo stesso unici e uguali, avere moto senza moto e senza nemmeno
percezione di spostamento e di tempo.
Nelle lettere dell'uomo appare poi che lei fosse assai bella.
Ma questo non stupisce il narratore. Né credo chi legge.
Nelle foto appaiono sempre in controluce, in qualche modo.
Ne escono così alonati, si intravede solo un profilo disegnato dalla luce.
A non permettere di capire quasi se la luce li raggiunga alle spalle o nasca
insieme alla loro figura ripresa e disegnata.
Nelle lettere di altri, che fanno corredo e integrazione ai documenti e
permettono al ricercatore prima di ordinare i documenti e al narratore di
narrarli in una qualche conseguenza, si legge di loro quello che videro altri.
L'immagine e il dettaglio loro arriva così a chi legge come filtrato, riflesso
nell'emozione e nel ricordo di altri sguardi.
La considerazione è che probabilmente fossero davvero belli.
Le lettere di Corto a Morgana, che sono arrivate solo a frammenti ne sono una
decisa testimonianza.
Il diario di Lev sull' Aurora, scritto in quei giorni e poi pubblicato in un
romanzo di uno scrittore sudamericano anni dopo, un po' romanzato ma attendibile
assolutamente, almeno in quelle parti, anche.
A chi narra resta il rimpianto, che il narratore sente quando manca un aiuto
maggiore a dare corpo e immagine e presenza al suo raccontare e disegnare
persone, momenti situazioni e personaggi tutti, di non avere foto loro e nemmeno
disegni di buona parte di quei loro momenti.
Di non avere un primo piano di quei volti lì a dormire su quel letto, lei
aggrappata alle sue spalle come se lui dovesse portarla sulle spalle a scalare,
nel sonno e nella notte, il mondo.
Del loro risveglio in una mattina sul Bosforo.
Con le prime voci salmodianti dai minareti.
Con il cantare di quel gallo d'oriente.
La foto no.
Ma l'immagine di lei che lo serra e si fa sciarpa con le braccia al collo.
Inarca la schiena, in un abbozzo di risveglio, spingendolo col ventre sulla
schiena.
A svegliare le vertebre, lei inarcandosi mollemente, come se fossero percorse da
un torrente.
Che poi lo stringe.
L'uomo, se ci fossero fotografie, lì si girerebbe.
A sentire nella bocca di lei il sapore della notte.
Si inarcherebbe e sarebbero per un istante due molle caricate nelle schiene.
Contrapposte a bilanciere.
Si vedrebbe un sorriso appannato dalle palpebre ancora pesanti. E la ripresa di
quel bacio.
La pressione del suo sesso sul suo ventre. A puntare e chiedere un buongiorno, a
solleticare e spingere come un'alba a oriente.
Lei farsi conca. Lavatoio con le anche.
Lo scivolo di lui sopra e dentro.
E il movimento lento, addormentato e ritmato d'onda. L'amore scivolato sul
respiro del sonno.
A sancire il ritorno del sangue e della vita nel corpo.
Lui si farà coperta, nelle prime luci del mattino. E prenderanno ancora sonno.
Lui mosso dal respiro di lei sotto.
Se ci fossero fotografie, li vedremmo, forse mezz'ora dopo, al piccolo lavandino
coi rubinetti di ottone consumato da troppi sfregamenti, a ricercarne e
rinnovarne la lucidità calda del metallo, cercare di domare con le dita larghe,
a pettine, giocando, la ribellione delle teste e dei capelli.
Se le fotografie avessero anche un sonoro, una memoria in più a farsi testimone,
sapremmo anche che assai probabilmente stanno ridendo.
Nota a margine
Lo studio delle carte del terzo pacchetto arrivato l'altro giorno parla ancora
del loro soggiorno turco.
Della loro vita lì per un tempo, e come poteva essere altrimenti, non ben
determinato. Chi sta elaborando i documenti e riordinando e ricostruendo si è
fatto un'idea abbastanza precisa dei loro passi lì.
In quei giorni.
Dei colori. Dei sapori e dei profumi di quei mercati in cui li ha visti e letti
camminare.
Saranno necessarie due telefonate a Saragoza e l'arrivo di due fax da Istanbul
con la fotocopia di alcuni documenti.
Poi la ricostruzione sarà presumibilmente quasi perfetta. E troverà qui il suo
svolgimento.
Per ora li lasciamo lì in quella stanza dalla porta azzurra, sapendo che lì
stavano bene e che anche quella risata insieme nel mattino era il loro tempo.
(a suivre)