XV   La città. Il mare. La casa nuova dei pesci

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A volte capita che il narratore narri di cose a lui conosciute.
Dicono che il narratore, allora, giochi in casa.
Resta però la domanda, se il narratore, quando magari ha commozione nel narrare, giochi o meno. Non è difficile immaginare allora una simile situazione, là nella cabina.
La narrazione riprende quindi dal racconto dell’uomo nella stanza d’acciaio e ruggine di mare, alla compagna di viaggio e di quel pezzo di vita, che probabilmente dorme.
Ma questo in parte è suffragato da alcune pagine di un diario, scritto su un quaderno, e in parte sforzo di ricostruzione di chi scrive.

Lei probabilmente dorme ora.
Il momento del passaggio dalla veglia al sonno, sotto l’onda delle parole, probabilmente, è coinciso con quel piccolo scatto delle braccia e delle gambe.
Simile al sonno del gatto che probabilmente ha sogni come gli umani, e nel sonno ha quelle impercettibili contrazioni e scatti, quasi energia elettrica che scarichi a capriccio amperaggio nei muscoli distesi e nel respiro lento del sonno.
A volte il gatto apre anche gli occhi, quasi, in quei momenti e emette suoni che sono anche e perfino differenti dal suo miagolio variato durante la veglia.
L’uomo sente quel piccolo scatto nell’abbraccio mentre le narra.
Sente subito dopo la morbidezza del corpo e ne intuisce il sonno.
Come un ultimo sussulto della veglia.
Continuerà a parlare, così, come se volesse lasciarle un messaggio a fianco del letto o sul cuscino.
Lei a volte, due sembrerebbe, ma che importa se poi fossero due tre o altro numero, dirà anche cose, nel sonno.
Come se rispondesse o stesse per dire.

La giornata di dicembre in quell’inverno di Milano.
E la città divisa nei cortei.
Un anno dopo la strage, la città che dava le risposte, sue, di stomaco e di ventre, anche diverse alla verità dello Stato.
Le cariche, le prime.
Inaspettate.
Gli anarchici, i demoni di annata, i demoni dannati della storia di chi vive alimentando le paure del complotto, spaccati nel corteo e spinti come un piccolo fiume da un’onda in divisa che avanzava.
Gli anarchici erano scomodi e poco fascinosi, così pieni di dubbi, con la certezza del dubbio, già allora.
I primi e i più decisi a rifiutare colpe e verità non vere.
Alla Statale l’assemblea degli studenti, l'associazione partigiani e gli anarchici in piazza per Burgos e i processi del franchismo. Anarchici anche, in corteo, per rivendicare l’estraneità alla strage e chiedere giustizia per Pinelli.
La Spagna in quei giorni, col plauso dei governi circostanti e il loro tacito assenso, condono dei potenti, condannava a morte l’Eta.
Le cariche improvvise. A spingere in un imbuto, gli anarchici in fuga disordinata, la corsa del corteo, scomposto come un torrente in pendenza sulla roccia, scavato nella valle stretta delle vie, verso l’aula magna e la protezione del palazzo del vecchio ospedale di Milano.
Chi cerca rifugio in un portone aperto.
Chi cade e si rialza e si nasconde dietro le auto parcheggiate.
Un ragazzo correndo trascina dietro una ragazza che non ha lo stesso passo, come se fosse uno straccio appeso alla mano.
Gioca a bandiera.
La città che comincia il buio.
E il fumo.
Colpi di arma, nuvole acri.
Candelotti ad altezza d’uomo.
“Ma sparano davvero!”
L'ansia e la paura di correre senza un rifugio.
L'angolo del caseggiato che sembra un riparo e poi lo sguardo marziano senza occhi di un uomo nascosto sotto una visiera. E degli altri intorno.
Come si fa a parare un bastone che scende, veloce, se nemmeno vedi negli occhi, dietro il plexiglass che trasforma il viso in mostro, la direzione e la traiettoria trasformati in maschera di viso sotto il casco?
E poi perché io, perché sono in ginocchio ora..
Il portone a cui correvi come se fosse un'isola dopo il naufragio è chiuso. Bussi alla porta e nessuno vuole sentire. Dentro.
La saracinesca il bar te l'ha chiusa direttamente in faccia, resti stupito e senti il colpo nelle reni o sulla testa mentre stai per chiedere di aprire. Per favore aprite…

Alla fine resta una città sconvolta.
Disordinata e come uscita da un film in bianco e nero.
Sporco di carte e stracci e oggetti persi nella corsa, sciarpe caschi bastoni qualche borsa e qualche zainetto, e cose buttate, come dopo un concerto o una serata allo stadio.
Nessuna musica però nell’aria e nemmeno cori.
Gli ultrà risposano oggi o sono altrove.
Solo il silenzio e un odore strano.
Un silenzio non umano, rotto dalle ultime sirene.
Ambulanze e polizia, vigili del fuoco e ambulanze. Ambulanze.
Dai clacson, prima uno quasi timido, poi un coro che ogni pochi secondi si rinnova sempre più convulso e più violento.
Clacson impazziti del traffico rimasto a lungo paralizzato.
La città è impietosa, fino a Porta Venezia, assai lontano da via Larga, piazza Fontana e via Festa del Perdono, la gente in colonna impreca.
Via Festa del Perdono. Senza Perdono né Festa.
La città suona le trombe e reclama.
Vorrebbe arrivare, tornare a casa.
“Ma che cazzo c’e’ stasera…se si spostassero un po’ avanti, è mezz’ora che non ci si muove quasi”
Riprendono anche i tram in via Larga, fermi da parecchie ore.
Vuoti all'inizio, quasi timorosi di trovare chissà cosa sul percorso.
Ad ogni fermata sale qualcuno, quasi timidamente.
Poi sono strapieni da persone in ritardo con la loro serata.
Alcune ad occhi piangenti per i gas. Molti sgomenti.
Masse di gente scesa molte fermate prima e rimasta ai bordi della guerra ad aspettare.
Commentano tutti forse.
Su cosa molti non lo sanno nemmeno.
Milano ha ultimi fumi e ultimi fuochi nell'appropinquarsi della sera e della notte.
Milano ha un’aria strana.
Quasi sospesa in quest'inizio dei suoi contrastati e contrastanti anni settanta.
Alla televisione, alla sera, tutti sapranno, davanti a una tovaglia che "La polizia è stata costretta ad intervenire per difendere l'ordine e la legalità democratica gravemente offese da minoranze estremiste".
Come dirà il Ministro con aria compunta. Inaugurando una stagione che non è quella rituale, anno dopo anno, il sette dicembre, patrono e santo, della Scala.
Un giornalista ferito e uno studente morto, un Capitano di PS condannato a nove mesi,con la concessione delle attenuanti generiche, la sospensione condizionale e la non menzione Un Capitano dei Carabinieri, anni dopo nominato capo dei Vigili della città.
"Ma oggi", lui la guarda mentre dorme, è bella e morbida, libera da pensieri e da ricordi, e la domanda se la fa, per uno strano pudore, solo dentro, nella mente, "chi ricorda?"

L’uomo ha lo sguardo un po’ perso mentre racconta.
Il racconto si mischia e si confonde anche con altre giornate, negli anni dopo e dopo e dopo, troppo uguali.
Ma chi non era lì in quei giorni, cosa capisce oggi?
Se nemmeno lui ricorda bene, e tutto sembra solo una storia letta.
E' come ricordare un sogno o un incubo mezz'ora dopo svegli. Ricordi tutto e non ricordi niente.
Se lo domanda mentre cerca, quasi, di mettere ordine ad un’onda di ricordi e di pensieri. L’onda ha un sapore strano alla bocca e agli occhi.
Il sapore dei giorni.
Lei dorme, nell'abbraccio, all'uomo fanno quasi male le braccia ma non vuole smettere di tenerla avvolta nelle braccia, senza più nemmeno i piccoli scatti.
L’uomo si sente anche un po’ stanco.
Quasi irato con se stesso, per quei ricordi che si affastellano, si mischiano, confondono.
Per storie a volte molto simili. Giornate con gli stessi odori.
Con la città paralizzata e nelle strade la paura.
Le vie del centro trasformate in arena.
Anni.
La gente chiusa nelle auto, intorno alle strade degli strani gladiatori.
A commentare, bestemmiare, dare giudizi, sempre senza aver risposte.
L’odore nell’aria della chimica e del sudore, la paura che puzza, il fumo della città che ha fuoco di fienile dopo un temporale e un fulmine improvviso.

“Ma dove…ora ci penso..”
Sussurra lei nel sonno.
A cosa risponde e cosa domanda ?
Lui si è addormentato lì.
Seduto con la testa appoggiata al muro in ferro grigio della cabina, sul letto di metallo. La sponda sotto il materasso un po' affondata nel fianco e nelle reni.
Lei dorme rannicchiata.
Nel sonno e nei sogni non ci sono quegli odori strani.
Il ritmo del sonno è quello della nave e il rumore quello dello scafo che batte contro il mare.
Ritmico di motore che pompa e di mare che corre sull'onda.
Le voci fuori sono cessate anch’esse.
Domani il giorno avrà il colore di sempre.
Il mare sarà corto, fino alla terra, prima dell’attracco.
Fuori sfilano le città della costa, invisibili nella nebbia di una notte umida d'autunno.
Fiume. Spalato. Dubrovnick.
Nel sonno non sentono nemmeno il rumore delle casse che cadono nel mare.
Scivolando fino a che le mani le lasciano tuffarsi senza più sostegno.
Una decina, una dopo l'altra, a lato, a punteggiare di cerchi concentrici successivi il mare, quasi un linguaggio morse di punto punto punto senza tratto, scivolando lungo il bordo della nave.
E lasciando, dietro, a perdersi nel turbine di mare e elica, dieci cerchi.
A svanire onda dopo onda.
Non percepiscono, nel sonno cullato dalla nave, nemmeno quel mancato approdo. Né il rumore della motovedetta serba, accostata, la raffica sparata contro la fiancata grigia dell'Aurora, e l’intimazione all’alt non accettata.
I marinai e il loro piccolo coraggio.
Il complotto delle voci e delle lingue rimbombato dalla scala di metallo.
Le casse in fondo al mare, a sciogliersi nel tempo sul fondale.
L’uomo che dorme, se lo sapesse, sarebbe contento.

Nella cucina del personale, Lev Davidovic T. sta bevendo una tazza di caffè lungo.
Insieme a due compagni d’imbarco.
Hanno faticato e sudato anche se la notte è fresca con le casse. Le armi erano pesanti.
Pesano meno ora. In fondo al mare.
Le casse probabilmente rotte all'atterraggio sullo scoglio o sul fondale.
La ruggine, la curiosità dei pesci, l'attacco delle alghe, delle conchiglie e del tempo.
Un bel futuro, fino a non distinguere più nemmeno, probabilmente dopo pochi anni, né casse, sciolte in legni tornati a galla, né metallo fatto arredo per la casa degli animali là sotto.
Se l’uomo e la donna che si stanno svegliando, invece di guardare fuori dall’oblò sporco del sale della burrasca della notte, scendessero allora in quel locale vedrebbero tre uomini ridere felici, e solo un po' stanchi, davanti un caffè che sa poco di caffè e tanto di orzo e di acqua calda.
L’uomo del fiume avrebbe un sorriso per la coincidenza dei suoi ricordi con quel piccolo incidente accaduto alle armi trasportate di nascosto.
La donna, se avesse sentito i racconti e visto gli occhi di chi raccontava, avrebbe calcato con più forza il suo berretto.
E chiesto, in una lingua che i marinai conoscono poco, un caffè anche per loro.
L’avrebbero chiamata, per scherzo e con quel lampo strano agli occhi, ridendo nelle loro lingue, Capitano e avrebbero lavato due tazze di metallo smaltato bianco.
Le avrebbero riempite di caffè, in realtà d’orzo e acqua calda.
Avrebbero bevuto insieme in quel mattino, con storie diverse.
Da raccontare in lingue differenti.
Godendo di un caffè improbabile come se fosse quello giusto.
Raccontando senza intendere le parole esatte.
Di una città in inverno, di quella città lontana dal mare e dei suoi diversi e uguali inverni, di una nave che non aveva più un carico pesante e indigesto dentro il ventre, di un giorno senza nebbie e senza nubi all’orizzonte.
Quello che sognano tutti i marinai anche in terraferma.
Di una ragazza in una città in Ucraina, di una in Postdam e di un negozio di erbe e di spezie di oriente.
Di un viaggio guidato solo dal cuore e dalla corrente.
Avrebbero riso di parole, che non capivano alternativamente.
E poi avrebbero salutato Istanbul, Costantinopoli apparsa all'improvviso a oriente.
La città, in fondo.
Dove si spegne e sembra bassa e solo tratto all'orizzonte l'ultima onda.
Sul ponte, da terra con un binocolo o un cannocchiale, l’addetto alle manovre del porto avrebbe visto le figure di alcuni uomini e una donna.
Letto il nome della nave alla fiancata, controllato la lista degli approdi previsti per la giornata.
Poi guardato meglio quelle figure, da lontano uguali e simili a miniature di una stampa.
Lei col berretto calcato fino alle orecchie per sfidare il vento, l’aria ferma nel mattino e lei e la nave invece a farsi vento col loro movimento.
Avrebbe commentato, guardando meglio: “Ma un Capitano… donna?”
Non avrebbe visto i sorrisi a quella distanza.
Né gli occhi, e i loro volti.

 

 



Nota a margine


La storia di Milano ha qualche riferimento in più, oltre a quelli di cui si avvale il narratore nel riportare e ricostruire la storia dei due del Fiume.
Per chi volesse, sono riferimenti esterni alla storia in questione, alcuni link fra tanti, nemmeno scelti ma presi a caso, perché comunque la storia è quella e la memoria non la cambia:



http://www.chieracostui.com/costui/docs/search/scheda.asp?ID=107
http://fc.retecivica.milano.it/Novita'/ANPI/anpi-LD/0581E819-000F4A4A-0581E94B
http://www.lestintorecheamleto.net/di_nuovo.htm
http://www.paolastaccioli.it/
http://digilander.libero.it/rivoluzionecom/RC%20Storia/ap1.htm
http://www.pernondimenticare.net/menu_documenti.htm
http://www.piazzacarlogiuliani.org/carlo/pernoncarli/01.php



Sono solo alcuni link di tanti.
Con storie di quegli anni.

Di quegli anni miei e di questi.
Nostri.


(a suivre)