XV appendice   

All'uscita dell'ultima galleria

                                  

 

      

 

                    


Non è un altro pezzo o spezzone di ricostruzione della nostra storia.
Questo.
E’ solo una canzone mutilata qui, per necessità specifica di questo strumento espressivo di musiche, peraltro anche nel disco assai rarefatte, e di suono delle parole.
Musiche e parole, ovvio, non del narratore.
Ma ha un senso suo. Oltre ad un piacere che chi narra sente di dover dividere come si divide il pane, un piatto in due, un bicchiere di vino rosso o l’acqua che si beve.

Il piacere di aver trovato altri e altre parole che concludano ancora, siano breve ripresa di quello che è stato scritto solo da poco.
Dedicando alla donna della cabina sulla nave, a chi ascolta storie che sembrano magari lontane come strane fiabe.
Hanno orchi, anche queste storie.
Sono gli orchi di sempre.
L’ignoranza e la miseria del cuore.
L’avidità e il non rispetto della vita e del suo incantevole valore.
Sono gli orchi che ci vestivano di poesia da bambini.
Incontrandoli poi nella vita ne scopriamo lo scheletro, la maschera nascosta sotto le maschere indossate magari per tranquillizzare e compiacere, e il terribile loro cattivo odore.

Ma se le fiabe sono trasposizione di sogni, di paura e di desiderio di avvenire libero da angosce e nubi scure, ben venga allora anche questa canzone.
La canto a bassa voce per non svegliare chi magari dorme ancora.

E’ solo un’appendice all’ultimo capitolo di Fiume.
Musica e parole di un cantautore,
Alessio Lega, che ringrazio di cuore.

La dedica è chi c’era, c’e’ e ci sarà, con me, a rivedere il mare, dopo l’ultima galleria.




Dall’ultima galleria

E poi dall'ultima galleria
sembra mai più poter riaprirsi il sole
e quando luccica dal fondale
sopra la rugginosa ferrovia

dalle budella della grande vedova
diritto in faccia ad un muro alto
Porta Principe in un sussulto
ti vomita addosso a Genova...

Io quando tornerò a Genova per prima cosa col caffè di rito
nel piazzale della stazione, dal baracchino il passo addormentato
lo muoverò per riconquistare la dignità di me stesso al mondo
ed il dovere di camminare a testa alta guardando il fondo

guardare in fondo, guardare il mare, guardare il punto fermo sull'abisso
vedere tutto tornare, urlare, fronte spezzata da un chiodo fisso
fronte spaccata, fronte diviso, fonte che annega al pozzo San Patrizio
il mare rosso del nostro sangue plebeo che soffoca nel precipizio

Quando ritorneremo a Genova ritorneremo sopra la criniera
bianca dell'onda che si frange al frangiflutti che mangia la sera
e sfiora il senso del presente, della memoria che si schianta
quando Genova ritornerà quella del giugno del sessanta

Quando ritorneremo a Genova, quando Genova sarà tornata
quando torno, torno al nostro inverno la resistenza sarà dichiarata
quando in tutto quest'inferno ritroveremo i nostri sentimenti
verremo in braccio alla natura, verremo sopra i quattro elementi...

Chi siamo noi? Ora siamo il mare, il mare nero che si scatena
che si rovescia sopra al porto, sopra al porco che lo avvelena
il mare più salato che ci avete fatto lacrimare
date un bacio ai vostri candelotti, giusto prima di affogare

Chi siamo noi? Ora siamo il vento che non potete più fare ostaggio
aria libera dai mulini, dalla catena di montaggio
il vento che ti spazzerà via, cancellerà l'orma dei tuoi passi
che schianterà muri e sbarre scatenandosi per Marassi

Chi siamo noi? Ora siamo il fuoco che non avete mai domato
quello che brucia in fondo agli occhi di questo triste supermercato
quello che cortocircuita i fili dell'allarme e del divieto
mentre noi spargeremo sale sulle rovine di Bolzaneto

Chi siamo noi? Ora siamo la notte, la luna persa dei disperati
dice il poeta "Quando cade un uomo si rialzano i mercati"
e per quest'uomo di eterna notte, per questa luce che se ne muore
aspettiamo che il sole sciolga il blocco nero che portiamo in cuore...

Quando ritornerò a Genova dal baracchino del caffè di rito
l'antico samovar della tristezza, che sta bollendomi dentro al fiato
questo dolore che mi ha tradito l'enorme sagoma del lutto
il mio tormento che ho malcelato e queste lacrime che tengo stretto
e in una Genova liberata, senza chiusura, senza sgomento
senza sott'occhio la via di fuga, senza furore, senza spavento
avrà senso cadere in ginocchio, alzare e prendersi le mani
piangere in piazza Alimonda... pardon in Piazza Carlo Giuliani...



(a suivre)