VIII Ritrovamento casuale.

 

 

 

       Seconda "Ipotesi Giuliana"

                                  

 

                     

 

 

                    

La sorte a volte ha ironia ben strana.
Assorto nel racconto parigino, il narratore, in fondo alla cartella in cui serba i documenti, alcuni in originale, sottratti di nascosto per ossessione e desiderio, approfittando di una disattenzione del monaco custode, altri in copia fotostatica, alcune eliografie sfuocate di mappe e stradari antichi, ingiallite e ancora odorose di ammoniaca, rapito dal racconto della porpora di sangue e di bandiere, scorge quasi casualmente dei fogli che prima mai aveva neppure notato.
Che riportano, ironia del caso ancora indietro all'ipotesi giuliana.
Danno conferma questi fogli alla foto gialla di fissaggio e luce che l' ha scolorita dove più batteva il sole.
La foto di Grignano.
Per cui, un passo indietro, flashback narrativo, via da Parigi e dalla rivoluzione, e siamo su una spiaggia italiana.
Un molo lungo costa, una lastra non di sabbia ma una tavola di cemento incollato a scogli e sassi a sprofondare in mare.
Mare fuori stagione quasi.
Col calore dell'acqua accumulato, brivido d'onda al vento carsico sfumato,
attutito dalla corsa e lento ad ansimare, a tratti e senza più rumore.
Poche persone al sole. Quelle tra l'altro che vediamo in primo piano, fronte a loro nella foto.
Loro sono lì, sfondo involontario casuale e inaspettato di sposi con lo sfondo del castello,
nido di Massimiliano, alcova e bomboniera troppo bianca e rosa.
La traccia letta parla dell'attesa della sera.
L'isola ancorata non si precisa dove.
Parla di un vaporetto come di un treno a vapore.
Con la piccola balconata a poppa, la ringhiera, la panca verde scolorita e sbrecciata dal sale.
Il vaporetto dalla piazza che una volta era porto antico, quello, e il viaggio attraverso uno stretto mare.

Loro seduti a poppa, fuori dal vagone che scivola sul mare.
Assopiti appena al rollare delle rotaie dell'onda che, traversa e molle, sembra farli scarrocciare.
Sonnolenza di viaggio e poi una giornata al mare.
La sera dunque, a termine di tutto, la spiaggia che ha perso ogni visitatore.
Ma questo presto, prima del tramonto, è un lunedì, domani anche l'ultimo bagnante a fine estate corre a lavorare.
E poi fa quasi freddo, quasi, nell'arrivo della sera.
Il vento sembra aumentare.
Di spinta e soffio e frequenza del respiro.
Nessuno adesso.
Sulla spiaggia, la strada, in mare.
Deserto di una spiaggia all'imbrunire.
Alle spalle alta la strada che corre come una galleria di teatro, sollevata, balconata in costa al mare.
"…Fa freddo, abbiamo perso il piccolo battello.
Moriremo qui stanotte, ci troveranno stretti come le statue di Ercolano, di ghiaccio e non di polvere però vestiti…"
Lei ride stringendosi a lui, piccolo brivido reale sulla schiena ad accartocciare,
ride rotolando nella risata le parole.
Lo scritto non racconta come lui sapesse della grotta.
Gliel'avrebbe suggerita, tra l'altro, potendolo fare, volentieri il narratore.
Che quella grotta ha violato in tempo per conoscerne il calore.
"..hai freddo anche così stretta vero? Dovevamo svegliarci, prendere il battello.. ma era troppo bello vero dormire ?"
"Davvero l'aria è fredda. Fammi scaldare…"

Calda del sonno sotto il sole si rannicchia tra le gambe e posa su di lui il capo,
all'incrocio di collo e spalla, lì nella conca del viaggiatore.
" Spogliati"


Mentre lo dice, lui sfila maglia e pantaloni..
E lei lo guarda con piccolo stupore.
"E' il vento e non il freddo a farci stare male, l'acqua è calda e io so dove portarti a riposare.."
Lui nudo su quel molo di cemento le sfila quel maglione, abbassa al fianco e al suolo il jeans slavato,
sfila la mutandina e, dopo un bacio un po' bastardo a farle raggrinzire pelle e sudore,
bacio chiuso di labbra al collo, perfido e traditore, piega con cura tutto e si allontana poco.
Nasconde quei vestiti in una cassa lasciata lì da un probabile pescatore.
La cassa sottosopra e dentro, in pila regolare, catasta piccola di ben poche cose, abiti misti nascosti anch'essi a riposare.
Nudi sul molo.
Lei ha freddo davvero.
Lui corre, la spinge in acqua e la raggiunge al volo.
Solleva schizzi e onda di rumore.
Nessuno sente e lui riemerge, tagliando l'acqua nel suo risalire.
"Senti è calda, è calda ancora, più calda che fuori... seguimi, vicina.
Non voglio perdere nel nero della notte d'acqua adesso, …"

Nuotano lenti, assaporando dopo il primo brusco contatto quel tepore.
L'acqua termosifone, brodo a bollire dall'inizio dell'estate, tisana per la pelle, sale di pentola a vapore,
la notte lì, mentre quel mare, respira, e cede il suo calore.
Nuotano affiancati, una sosta ora e respirare, il corpo nudo e la carezza d'acqua,
il riflesso delle luci della strada a perpendicolo sul mare, poche auto a dardeggiare,
la luna bassa a monte che si rifiuta a quest'ora nel suo cammino di stare lì
e troppo impudicamente specchiare.
Il taglio nella roccia è ben celato.
Appena appena sollevato sul taglio del mare.
Simile più a una rientranza dello scoglio orizzontale, lo scoglio puoi immaginarlo,
erroneamente sotto rientrare, continuo a farsi ansa e ancorarsi al fondo senza alcuna interruzione.
Visibile soltanto, nella realtà di taglio e non di anfratto,
se sai guardare bene e magari sapendolo lì cercare, alle prime ore,
col sole che taglia di lato e schiude lì, dove la roccia si fa bocca, all'acqua un differente colore.
Lui sa dov'e' quel taglio, l'entrata della grotta.
Metà sommerso il taglio, per far la grotta respirare.
"Ora trattieni il fiato bene, dammi la mano e seguimi. E' solo un gioco di prestigio... lasciati portare"
E lì, sotto quel mare, pochi centimetri soltanto a pelo d'acqua la porta aperta, larga fessura piatta, li vede scivolare.
La stanza dentro è totalmente emersa.


Lavata e pettinata dall'onda che lecca il sasso, quando si arrabbia e urla persino il mare.
L'onda che insinua la lingua, penetra la roccia, la scioglie nel leccare e deposita lì in fondo,
giorno dopo giorno, da sempre, con moto ininterrotto a lavare e poi stirare,
lenzuola di sabbia fine su un materasso di tessuto uguale.
In fondo, là, alla costa destra, quel lenzuolo.
Sollevato sull'acqua, ci scivola dentro con debole pendenza
e si appoggia alla spalliera di roccia di quel letto.
Riemergono all'interno e il buio non è nemmeno poi totale.
L'occhio si abitua in fretta.
La luminescenza del mare nella notte poi, lì, rimbalza alle pareti e sembra trovare un amplificatore naturale.
Si scorgono le mensole scolpite ai lati dal mare.
La sabbia su cui ora siedono che taglia l'acqua discendendo e poi scompare.
Due rami dilavati e lisci come sculture portati la dalla marea insinuante o dalla mareggiata di qualche altra estate.
Loro ,seduti lì, in silenzio, nudi a respirare.
Sarà la piccola corsa nell'acqua, l'apnea di quella porta a filo di mare,
il freddo che lì al chiuso, aria che il vento non può mai spettinare, nemmeno più esiste sulla pelle,
ma stanno bene, hanno quasi caldo ora, in quella stanza nascosta sotto il mare.
La stanza è grande, scavata nello scoglio di dolomia carsica,
precipitato dalla terra alla sua alba solo per farsi scavare e dilavare.
Ventre di roccia cava, camera con vista mare.
Il narratore dice che lì lei è ancor più bella.
Con i capelli lisciati dalla nuotata, leccati d'acqua, lunghi solo di mare a scivolare.
Capelli d'acqua neri nella notte.
Scivolo di gocce in fila fino al seno con percorso di fiume salato, irregolare.
Lui lì a guardare. Con l'occhio ormai aperto di pupilla, scuro,
ombroso di pelle e occhi , alla penombra, all'oscurità lattiginosa del riflesso portato dal mare.
Lei lo spinge a riposare.
Lui scivola di spalle sulla sabbia asciutta e senza calore.
La schiena sulla sabbia di lenzuolo.
La sabbia sotto a cedere al suo corpo, allargarsi, farsi ospitale.
E lei sale.
Sale guidandolo in sé. Con la mano, porta la sua voglia,
il cazzo stretto in quella mano, pugno serrato a farsi padrone,
lo porta a sé, sotto il suo corpo aperto a toccare, spingere, aprire e colmare.
La mano sotto, lei, adesso.
Lei seduta su di lui, sgabello, seggiola, a cavalcioni su quel davanzale,
seduta su di lui e sul suo stesso palmo posato al ventre suo, piatto, sotto, lei lì a cavallo, a dondolare.
Sfila la mano, la posa alle ginocchia, dell'uomo tese sulla sabbia.
Le mani lì a farsi ancora e schienale, il dorso indietro, la spinta delle reni a farlo sprofondare e imprigionare.
Mossa dei fianchi suoi , lei oscilla e raddrizza e dopo scarta, ora laterale.
E poi si fa cavallo a dondolo.
Poi scivolo di reni, a sollevarsi per poi ricadere.
Calzare. Lui ha male alle ginocchia ma non ha nemmeno percezione di dolore.
Sente spingere lì, sulla piega delle gambe, mentre lei sale, si solleva alta di reni, si sfila quasi.
Le gambe inchiodate a terra sotto il peso, la pressione del corpo di lei tutta nelle mani
e poi a scaricare ogni peso così alto sollevato in quella presa.
A incollare e affondare cosce ginocchia e gambe di lui al suolo.
Trattiene il fiato lui allora e irrigidisce gambe muscoli e ginocchia, resiste alla spinta al peso caricato e aspetta.
Che lei si faccia crollo e lo nasconda. Lo affondi.
Lo sprofondi nel taglio della carne, lo lecchi con le labbra umide e bagnate mentre cade
e incolli nuovamente il pube alle sue ossa.
Nessun riverbero o bagliore adesso.
Al piccolo rumore di risacca hanno chiuso gli occhi.
Guardano lo stesso.
Ad occhi chiusi lui le viene dentro.
Lei asseconda con la danza dei suoi fianchi, e sfuma lentamente i movimenti.
Prende sonno lì, così.
E lui è lì, per lei, al buio e al latte che li illumina ben poco, cuscino e letto del suo sonno.
Fuori, dopo alcune ore, è ora anche per l'alba.
Scivolano dalla grotta e dal sonno.
Spazzolino e shampoo li trovano in quel mare, appena svegli, quel mattino.
 

Arrivano a riva prima che l'uomo col vestito bianco e la camicia azzurra apra il baracchino.
Lui mette in pressione la macchina da bar, inforna per i primi turisti, arriveranno poco dopo col battello, dolci, brioches con albicocca e cioccolato nel forno ventilato, mette in parata regolare sedie e tavolinetti,
e aspetta cercando nel giornale odoroso di fresco e carta la notizia più sensazionale.
Loro, nascosti alla vista da un capanno per riporre sdraio e ombrelloni,
ricoprono i corpi e sono, ancora un 'altra volta, dopo quella strana toeletta, meravigliosamente nuovi.
Arriverà i traghetto del mattino, poco dopo, e tornerà a Trieste praticamente vuoto.
Sul balconcino a poppa loro saranno seduti, sul legno verde a piedi nudi.
In fondo lo sfondo di una foto.
Dietro, spettinato, il mare. Seguito di scie aperte dal motore.
Trecce di mare a sfumare.
Il manoscritto di Grignano si chiude senza foto.


Narrando ciò che il narratore a sua volta ha letto, ricostruito e riassemblato ha avuto però la sensazione di vedere.
La barca a motore. La scia. La spiaggia di cemento e scoglio.
Il saluto dal capanno del caffè, a sventolare mano e braccio, ai due seduti sulla panca verde in movimento, del ristoratore.

Questa è la ricostruzione di un pezzo di storia che poteva andar perduto
se l'attenzione non fosse casualmente ricaduta su quattro fogli quattro,
piegati su se stessi quattro volte, caduti nella borsa uscendo dal pacco.
Il dubbio che rimane è se davvero non fosse originariamente anche una fotografia.
Che ci sia stata e sia andata persa.
Probabilmente in mare.
E' bello anche se irreale immaginare che l'acqua allora l'abbia portata là.
Prima di leccarla troppo e farla sciogliere e scomparire.
Che la foto per capriccio di flutti, incongruenza di destino, dispetto alle correnti,
sgarbo di marea molle di Adriatico alto, non dico sia arrivata al taglio
e si sia inabissata, abbia nuotato al buio della grotta….
Solo che abbia fatto, anche lei, lì, i riti mattutini che aprono la giornata.
E come loro si sia lavata e rinnovata.
Prima di scomparire.
Scivolo nudo nelle onde.
Se poi la sorte, però, avesse, per ironia, esagerato…?
. Qui deve ritornare in ogni caso un po' di serietà nel ricercatore. Non ci sono prove.
 

Documento alcuno.
Nemmeno in fondo certezza della veridicità dell' "Ipotesi di Grignano".
O "Seconda Ipotesi Giuliana" secondo altri autori.
Sarà necessario senza dubbio un altro viaggio del ricercatore in treno a Saragoza per recuperare altre prove.
Con sosta alla locanda di Moreno.
Un poco di fortuna come quella che accompagna qui i due protagonisti e attori.
E la complicità di un monaco, complice e ruffiano.

Piccola Nota.

La grotta esiste davvero, celata abbastanza bene e non richiede grande apnea se si vuol far l'amore.
Il battello da tempo sarà stato rinnovato ma voglio pensare sempre nel medesimo colore.

(a suivre)