Il gioco della lingua e del
respiro
( scritto a quattro mani con LaDispettosa )
Si studiano, solleticano, carezzano con la
sensibilità acuita di un contatto nuovo. Quale delle due interromperà lo
studio e questa danza e si farà violenta ed orgogliosa? Spostando,
comprimendo, facendosi strada fino a volersi quasi staccare dalla gola.
Le mani stringono il resto, per paura di
farlo scappare. Stringono la vita, sollevano glutei. Viaggiano su seni
seguendone le curve. Tengono il viso, che fa da contorno alle labbra di
miele, alla lingua incendiata. Le mani navigano su tutto ciò che del
bacio è cornice.
E mentre le palpebre abbassate sono ouverture di vestiti sul pavimento,
il respiro torna su, torna dal profondo.
Se chiudi gli occhi puoi quasi ascoltarlo quel respiro. Un suono
violento, rabbioso. Come l’onda che si scontra con la riva. E poi si
ritira.
Le lingue si scindono, i respiri si ritraggono. Concedi all’aria un po’
della tua attenzione ed annusa. Riesci a sentirlo?
Chiudi la bocca. Assaporala. Passa la lingua tra i denti. Passala sul
palato. Cerca la gola. Lo senti? Questo è il sapore. Il sapore caldo del
tuo respiro. Come sperma che rimane sulle dita. E che vengono, poi,
portate alle bocca.
Lo faccio sempre, dopo l’amplesso. Cerco di conservare, stivare,
immagazzinare. Cerco di tenerlo dentro di me perché inizi a farne parte.
Il respiro è solo il primo accenno.
Il
respiro non è solo aria. È vigore. È la passione che esce fuori, come vapore
acqueo di una pentola sul fuoco. Il respiro è la linfa vitale. È come un
battito che scandisce ogni movimento.
Le lingue che si toccano, si assaggiano timorose di una vicinanza troppo
aderente. Iniziano a conoscersi in un ballo arroventato. Basta poco, e quel
contatto di cognizione diventa in pochi attimi un mangiarsi a vicenda. Come
voler gustare dell’altro ogni più piccolo segno di dolcezza.
Si uniscono fino a diventare esse stesse corpi in cerca di contatto, in
cerca di liquidi dolci che arrivano dal fondo.
Il
gioco della lingua e del respiro.
Annodati.
Un bacio comincia ad almeno dieci centimetri di distanza. Con quel
formicolio al naso, l’aria si satura di elettricità e sembra far friggere in
modo impercettibile quasi la pelle. Assaporando lentamente la marcia di
avvicinamento del respiro.
Che si fa trattenuto, prima di affondare l’apnea vorace.
Esiste un attimo in cui l’aria tra le bocche sembra sospesa.
Poi inghiottita, compressa, fatta prigioniera. Le labbra si sono trovate.
Si adagiano, cercano il miglior cuscino, sprimacciano l’un l’altra aderendo
in progressione.
Se una bocca si apre l’altra la segue docile in questa prima danza. Poi
inevitabile il respiro. Il primo.
Prima ancora che la lingua si muova e cominci a rubare saliva, l’uomo le sta
rubando il respiro.
Sale da dentro le viscere caldo.
Umido di bocca che si bagna come un’anteprima della fica. Profonda aria
scavata via come a unire già lì due corpi in uno.
La donna cede il caldo della sua gola ma subito si rimpossessa di ciò che
aveva ceduto. Riprende due fiati mescolati, e cominciano a mangiare un’aria
sola, due bocche a cedersi un solo boccone, a farlo girare, penetrare,
riempire e colmare. In transito fino a diventare un fiato solo.
Spinto dal respiro e dalla lingua.
Si incontrano a mezz’aria. Di punta.