Il gioco della lingua e del
respiro (II)
( scritto a quattro mani con
LaDispettosa )
Le mani
scendono sui fianchi della donna, con la lentezza della lingua che posa a
fenderle le labbra. Hai le labbra chiuse, accostate come quelle di un sesso
buttato lì per capriccio di natura, semi socchiuso, lucido di saliva,
ancora, dal bacio precedente.
Davanti alla lingua offri una piccola fica.
Incastonata di traverso, con due occhi messi lì, sopra l’ingresso dei
lavori, perché tu possa cogliere l’avvicinarsi del mio viso, parallelo al
tocco che ti scende in vita. Perché tu veda sfuocarsi il volto quando si fa
così vicino da permettere alla lingua di posarsi finalmente appena appena
sul taglio, come se fosse una chiave e cercasse il punto per forzarne
l’apertura.
Le mani ora sono scivolate basse, sulle anche, dove sei sensibile, ed i
vestiti a poco servono come difesa, come pelle d’uova.
“Non puoi più liberarti, non puoi scappare…”
Ti afferro i polsi. Che hai accostati, bassi, volti in avanti con le vene
cariche esposte, quasi in segno di resa. Polsi indifesi, inermi, caldi. Il
tuo collo di vene e polsi perché io ti morda la vita.
E mentre li ammanetto tra le dita, la bocca con la lingua sfiora.
Sale a leccarti il viso, corre lungo la guancia, avvolge la palpebra, si
insinua. Lava i tuoi occhi che hai chiusi.
“Sai di sale…” ti dico a bocca spalancata, facendomi tutto lingua.
Scende di nuovo. Piatta.
Hai la bocca socchiusa leggermente dopo che la scia ti ha percorso ancora il
viso.
Esplora la cedevolezza delle labbra, le scosta, le piega, le solleva. Le
lava.
Disegna e percorre, senza spalancarla, la bocca che cederebbe subito ma è
per questo che rinvio e la mia lingua si nega. Ti apriresti, allargheresti
le labbra come se fossero le tue cosce sulla sponda del tuo letto ora, alla
più impercettibile forzatura.
Sei brava. Non le apri. Non agevoli in alcun modo. Non sottrai il piacere di
violarle.
La lingua corre all’angolo dove le labbra si incernierano e lì si posa.
Gioca a scostarle in punta di lama fino a sentirle tremare sotto la carezza
vischiosa.
Potrei morderti se lo volessi. Ora.
Poi la lingua sembra farsi gonfia, tumida, acquisire corpo e vita nuova.
Sembra prendere corpo, gonfiarsi e irrigidirsi, tendersi come un sesso tra
le dita.
Corpo e nervo. E nuova vita. Orgogliosa si carica di baldanza.
Le mani ai polsi tradiscono l’eccitazione, che percepisci in me da questo
mio stringerti più forte la corsa del sangue nelle vene. Ti soffoco i polsi.
La lingua apre.
Violenta. Viola.
Stupra la tua gola senza più il minimo accenno di dolcezza, quasi fosse
risucchiata a colmarti da forze autonome lì dentro e lì dentro avesse una
vita nuova.
Come se fosse rapita a gonfiarsi saturando quella gola.
Ha un buon sapore fresco di donna la tua gola.
Mi succhi la lingua.
Lei gioca, si ritrae e riaffonda, tocca i denti, si insinua tra l’arcata ed
il labbro, sfrega.
Sembra spremere il sapore. Mangiarlo. Leccare il piatto come un gatto sotto
il tavolo della cucina.
Celata dalla tovaglia rossa di labbra che ora la nasconde tutta.
Cerca la radice della tua ora, ne doma la resistenza, la costringe al suolo,
la sovrasta.
Gioca a soffocarla quasi, a conquistarne palmo dopo palmo, mucosa dopo
mucosa la vita.
Le mani ai polsi ora sono dure nella voglia, il ventre schiaccia il ventre e
si unisce nel tremore.
Tremano stretti, il cazzo spinto come se ti fosse dentro e non tenuto fuori,
imprigionato, piatto a sbucare dall’elastico dei boxer che lo cintura.
Prigioniero dell’elastico come lo è delle sue dita.
Lo schiaccerei fino a spremerlo, come tu con la mia lingua in bocca fai
dell’intruso ora.
Ti sto spingendo contro il muro, o forse sei che arretri da sola fino a
posarci il culo.
Le mie ginocchia spingono le tue, le cosce scivolano tra le tue cosce,
sembri sospesa sotto la spinta del mio bacino, sospinta indietro se forzassi
ancora ti farei precipitare al suolo.
Mordi la lingua che ti viola. Serri i denti e li sfreghi. Senza tagliare né
ferire mi imprigioni.
Succhiandomi quasi con la gola.
Le mani ai polsi sotto il ribaltamento di possesso hanno un ulteriore
tensione poi si rilasciano ed ammorbidiscono, allentano quasi in segno di
resa. Cedono come la carne della lingua e lasciano che la presa si faccia
scivolo di mano. Fino a tenerti così. Mischiando alle tue le mie dita.
Allenti la presa dei denti, carezzi con la lingua dove i denti hanno
lasciato invisibili segni.
Cerchi il pulsare.
Se non avessero chiuso gli occhi vedrebbero il rossore della pelle. Labbra
che si sono gonfiate di cazzo e di fica.
La lingua si ritrae dal fondo della gola, libera dalla stretta e carezza la
gemella che la cura.
Deglutisco la saliva che mi ha riempito, con la lingua così spinta non
potevo deglutire fino ad un secondo prima, facendone coppa la gola.
Bevo il succo che mi è colato direttamente lì e che si è mescolato al mio.
Il pomo d’Adamo sale e scende dissetandomi della tua saliva.
Mi hai messo le mani sul culo ora. Lo stringi e lo attiri te. Ti fai
schiacciare tra due muri, appiattire, comprimere, imprigionare come si
stringe un sasso tra le dita..
Le mie cosce forzano la tua gonna sollevandola tra le cosce. Fin quasi a
scoprirti l’inguine.
Ti spingo e ti sollevo fino a non farti sentire più nei piedi il contatto
delle scarpe al suolo. Ti sembrano nudi i piedi, sotto la pressione che ti
incalza.
Dondoli i fianchi, spingi. E ti ritrai.
Ventre contro ventre, con un ritmo tutto tuo. Come una musica tua.
Come se volessi masturbarmi coi vestiti ancora addosso, ventre e ventre come
cani, ora. Spremermi fino a vedermi macchiare i pantaloni di voglia calda.
Sfrego contro di te che con le mani al culo ed il ventre mi accogli, mi
stringi e mi guidi.
Aderisco col petto a comprimerti i seni sotto la camicetta. Salta un
bottone, poi due nello sfregamento da calore animale.
L’odore del tuo collo è fortissimo ora. Hai sudato sulla pelle la crescita
della tensione, odori di umido muschio e di mucosa.
Non hai più quel leggero soffio di talco ed asciugamani tenuti al buio di
lavanda di un cassetto, di quando ci siamo incontrati, un’ora fa, ora sai
solo di colla e di farina calda. E di ormoni.
Le labbra si staccano un istante, quasi resistendo tra di loro al piccolo
lasciarsi.
“Potrei venirti addosso se ti sfreghi ancora” mi sfugge dalle labbra appena
si scollano dalle tue.
Hanno resistito quasi a staccarsi, come se avessero voluto restare aderenti
e la voglia e la secchezza dopo lo sfregarsi le avesse rese appiccicose,
rinviando all’ultimo secondo il loro separarsi.
Sembrano tendersi, mentre sussurro a fil di voce, affannato, per non
lasciarsi nemmeno un attimo solo. Sensibili come ferite, gonfie e morbide.
Calde.
Si cercano di nuovo, picchiettano contatti come se si beccassero due uccelli
rubandosi cibo dentro un nido, poi aderiscono e si mescolano ancora.
Mi
capita spesso, soprattutto al primo incontro.
Mi avvicino. Tendo un po’ il collo verso di te, con le mani mi appoggio al
tuo braccio per non perdere l’equilibrio e, in punta di piedi, ti sfioro la
guancia con le labbra. Ma è solo una scusa. Solo per assaggiare il tuo
profumo. Che mi entra dentro e mi inebria come l’odore forte del mosto che
ribolle nel barile.
E la mia anima si scalda.
Tu in punta di lingua.
Sono io adesso che ho tenuto le labbra appena appena schiuse.
Per te.
Aspettandoti. A penetrarmi, scivolandomi sinuosa il tuo serpente di lingua
di donna in gola.
Fica di uomo, per te, la mia bocca. Ora.
E’ il primo accenno. Come un respiro,
appunto. Il primo contatto è quello di mangiare il tuo odore, e di farlo mio
per qualche istante.
Gli occhi si incrociano per pochi attimi e poi si sfuggono. Cadono a terra
e, mentre scivolano via verso il pavimento, ti studiano. Studiano le tue
forme, i tuoi colori. Studiano la posizione delle mani mentre con gli occhi
mangi i miei centimetri di pelle scoperta. Ed immagini ciò che è ancora
celato.
Pochi attimi e la mente inizia il suo viaggio. Sentire la tua pelle calda
sulla mia, il tuo peso che mi ingoia, le tue mani che mi annodano tra gli
umori.
Come se mi leggessi nella mente. Come se sfogliassi i miei pensieri.
Il mio appoggiare le spalle alla parete, lo scivolare lenta sulla schiena
spostandomi verso di te col bacino, lievemente. Riesci a leggere tra le
righe quello di cui avrei bisogno, nei miei gesti sottili, nelle mie movenze
impercettibili.
Per tutti. Non per te.
Ed inizi a scrivere con i polpastrelli sul mio collo. Ne segui la lunghezza
con la punta delle dita fino all’incavo della gola.
E già il mio respiro non è più morbido. Si fa pesante come corde bagnate
gettate sul cemento.
So già chi comanda. Non c’è bisogno di far così. Non vedi? Ho già le spalle
al muro. Un chiaro segno che non potrei dirti di no.
Ma vuoi sottolineare. Marcare il fatto che conduci tu il gioco. Una leggera
pressione. Le tua dita lasciano il segno sulla pelle ingenua della mia
scollatura.
La tua lingua che si insinua tra le labbra. Io che serro la mia.
Gioco di bambina che si fa pericoloso.
Se stringi forte mi piace di più. Mi fa correre un fremito lungo tutta la
schiena. Te lo chiedo con gli occhi. Te lo chiedo con la bocca che ora si
schiude. Ti cerca non appena le tue mani mi comprimono i polsi.
Non appena la morsa si fa più viva.
Il tuo peso mi schiaccia contro il muro. Mi alzi le braccia sopra la testa,
le unisci alla parete, chiuse tra le mani. Serrate come una prigioniera che
cede ad un contatto brutale.
Ti cerco ancora. Bramo saliva. Ma poi mi nego e mi sottraggo. Ti sfioro la
bocca con le labbra umide e poi mi allontano. La tua lingua si fa serpente
ed esce a cercarmi. Provi ad allungarti, bastano pochi centimetri, ma solo
quando deciderò mi farò prendere.
Con il bacino mi sfiori, e la mia bocca trova la tua. Arriva l’umido
contatto che attendevi.
Che attendevo.
Mi faccio esplorare senza fretta.
La tua lingua vuol ballare e la mia concede appena lievi carezze. Ed un
impalpabile sorriso si alza agli angoli della tua bocca. Rossa e sottile
come lama insanguinata.
Mi piace giocare. Essere trattata da bambina.
Ma non ho più pazienza nel corteggiarti ormai. Il sottile filo è stato
spezzato, squarciato, lacerato nel momento in cui i miei occhi ti hanno
osservato. Il capillare tessuto della decenza è stato sbranato nel momento
in cui il tuo profumo è stato mio.
Capisci che non posso aspettare. Lo capisci dalla lingua che continuo a
passare sulle labbra. Dai miei occhi che non si staccano dai tuoi.
Ti appoggi su di me. Spingi con il bacino verso il mio.
Ed è un leggero sibilo. Un lieve gemito misto a sospiro mi esce dalle
labbra. Un caldo contatto che diventa musica.
Spingi.
Spingi ancora mentre i polsi ora mi fanno male.
Con le braccia ancora tese verso il soffitto come a cercare un appiglio.
Il seno proteso in avanti è come un’offerta per la tua bocca.
Come a voler bucare i vestiti ormai umidi e accaldati. Come se fossero fatti
di carta velina ti sento attraverso. Li strapperei con i denti. Li
dilanierei con le dita, se potessi.
Questo mio gioco non ha più logica. Non ha più senso. È solo un capriccio a
cui voglio metter fine.
Liberami le mani.
Con le dita ti cerco attraverso la stoffa. Ho voglia di assaggiarti a
piccoli morsi e poi di ingoiarti nei miei umori. E ti sento vivo, mentre il
bacino è incollato al mio e continua a spingermi contro il muro. Come a
volermi scopare con ancora addosso i vestiti.
Affondo le unghie nella carne del tuo cazzo. Mi piace farti soffrire un po’.
Preludio per un gioco più dolce.
Fai finta di credere che siano solo parole?
Invece il desiderio è già diventato possesso.