Il gioco della lingua e del respiro (III)

 

    

                                                                              ( scritto a quattro mani con LaDispettosa )

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sarà perché i tuoi anni stanno due volte quasi dentro i miei che ti voglio così violentemente avvolgere contro questo muro?
Che è come se avessi due vite per circondarti, stringerti, farti prigioniera.
Prenderti d'assedio fino a che cedi come stai cedendo ora?
Prenderti come se potessi farmi due, rovesciata in giù, rivoltata su un letto, prenderti davanti e dietro simultaneamente, sempre e solo io, sotto e sopra di te. Tu in mezzo a riempirti della mia vita liquida che mi svuoti e spremi, rubi fin dal mezzo della schiena da dove sento partire l'onda, finché lavandoti col mio latte caldo finalmente svuotandomi mi travaso in te e ti riempio.
Le mie mani ora sono al tuo volto.
Mi stringi il cazzo, quasi mi fai male ora, attraverso il tessuto dei pantaloni.
Hai la gonna alta sotto la spinta delle mie reni e il mio sfregarmi per dar sfogo al mio calore.
Mi piace quella stretta, ci muoio quasi dentro, e mi da quasi uno schiaffo al viso quella mano improvvisa che mi serra. Sento le unghie, non tagliano e non feriscono ma dicono - Sai, se volessi potrei, non sono io la prigioniera, ora -
Sarà per questo che tu ora devi guardarmi.
Le mie mani sulle tue guance quasi stringono, facendolo obbligo gli occhi a risalire, sollevo e reclino indietro il tuo collo, scosto la mia bocca dalla tua, nascondendoci la lingua carica di te e del tuo bere.
Guardami.
Affonda a leggermi dentro. Gli occhi sono nudi, non possono nascondere né trattenere nulla.
Scavali e troverai te, riflessa nell'iride e conficcata nelle mie reni e nella mia voglia.
La tua mano ha stretto più forte al chiudersi dell'anello degli occhi adesso.
Hai le labbra umide e gonfie.
Un velo di saliva all'angolo della bocca, i denti lucidi di acqua sembrano aspettare solo la mia pelle da stringere e tenere per avere pace.
Sembra un sesso dopo l'orgasmo, la tua bocca. Arrossata intorno alle labbra dallo sfregamento della pelle, nessuna rasatura al mio risveglio può impedire di fartela rovente. Socchiusa e bagnata, come se ci volesse tempo per potersi richiudere da sola, dopo il nostro bacio, in un sorriso tra i tuoi tanti.
Guardando quelle labbra sento voglia. Di altre.
Scendo con le mani senza toccarti, scosto il bacino per lasciare strada finalmente.
Poso le mani sui tuoi fianchi nudi, sopra l'elastico teso delle tue mutande. La tua pelle.
Sotto le dita che la cercano e la esplorano, piccolo continente all'ombra per dieci esploratori circospetti. Sfioro, cerco e controllo che non vi siano trappole nascoste, quasi.
Poi poso con decisione, pianto la bandiera come poi ti pianterò altra bandiera, mia, nel ventre.
Le dita scendono. Vivono quasi da sole mentre affondo nei tuoi occhi.
Scivolano sulle anche. Esplorano, scoprono, carezzano senza sosta cercando ogni tua curva, avvallamento, rialzo, ogni tremito sotto pelle che tradisca il fiume tuo che hai dentro.
Sono bacchette di rabdomante a cercare quella liquidità di voglie che corre sottopelle come corrente.
Se aspetti che le abbassi, che cali dopo aver circondato l'elastico, le tue mutandine, sbagli.
Solo le mani scendono.
L'elastico in vita resta lì, intonso.
Sul culmine delle cosce sono scivolate, intorno al tuo sesso.
Colmano la presa di carne.
Vorrei baciarti ancora.
Ma le mie mani han troppa voglia e troppi diritti. Una si posa sotto, tra le cosce. Sfiora il tessuto, cercando l'umida traccia della lumaca che ti cola tra le cosce. A disegnare un taglio invisibile, gonfio e scoperto sotto, umido soltanto nel cotone che lo assorbe, aderendogli perfettamente.
Assaporo col polso. Sfrego. Premo e allargo.
Prima di torcerlo e girarlo.
A volgere le dita verso l'alto, scostare col medio e l'indice della destra l'elastico del giro coscia.
Le dita a uncino hanno preso possesso del sottile lembo di tessuto che ti copre la fica, l'han fatto stretto, serrandolo come uno straccio.
Ora lo scostano tendendolo a lato, lo tirano leggermente verso il basso.
Sollevi un po' il bacino in questo stesso istante.
Ho due vite e due mani. Intorno e su di te.
E a ricordartelo ecco l'altra che prende possesso della tua fica, del tuo sesso.
Si posa con la punta di tre dita, centrali sul tuo taglio.
La voglia di baciarti è quasi incontenibile ma resisto.
Poso le dita, un po' a fatica perché il lavoro della mano destra è limitato dal poco spazio tra le tue cosce, lì sotto.
Quasi debbo lottare con le cosce adesso.
"Allargati. Apri le gambe..". Le parole sanno di possesso e di una forza che ai tuoi occhi tu non puoi vedere adesso. Se leggi dentro i miei sai che io sono quello che si è irrimediabilmente perso.
Che non è un ordine anche se ne indossa i vestiti, è una preghiera, una necessità, un irrinunciabile mio bisogno.
Che non sono le mie dita a carezzarti la fica ma la tua fica a governarle e addomesticarle adesso.
Tu, assecondi, forzi le reni per allargare i fianchi. Accogli.
Ho fame irrefrenabile della tua bocca adesso. Sarà per questo e perché tu lo senti che scosti il capo, le tue labbra si chiudono lasciando intravedere solo la punta di una lingua che le lecca, e mi concedi solo le tue cosce aperte e non la bocca.
Con tre dita a premere sulle tue labbra, sulla fica nuda, scostata la piccola tenda di tessuto, io ti sono sotto. A raccoglierti.
Spremere il frutto, schiacciandone il taglio, a raccogliere sulle dita il succo.
Schiacciano leggermente e la pressione non è continua, solo insistita e crescente.
Cedi come un gelato al sole. Indice ed anulare premono, si allargano leggermente, quasi un segno di vittoria a muoverti la fica, facendo strada al medio che ora è posato, penetrato in mezzo, di piatto.
Stretto tra le labbra. Sei il mio guanto. Il dito si avvolge del sudore della voglia e ne fa manto lucido se potessi vederlo adesso.
Vorrei baciarti, liberarti il seno, leccarlo, morderlo, stringere i tuoi capezzoli coi denti. Fino a rubarti un urlo. Vorrei.
Vorrei soltanto.
Ma le tue gambe mi dicono di aspettare, che tu vuoi quello ma che reclami altro.
Scivolo senza fatica lungo il taglio fino a scomparirci dentro. Dall'alto.
Ho immaginato la tua resa. Guardandomi le mani e pensando a loro che ti toccavano e scomparivano sul corpo prima e dopo dentro.
Sin dal primo momento.
Questo cedere di fica sotto le mie dita. Questo fartele mangiare dentro.
Questo tuo piangere di latte di fico viscoso in estate, lì sotto.
Ho il fiato corto. Stretto. Rarefatto.
Le gambe tese a comprimere il mio corpo contro il tuo imprigionandomi le mani lì, tra le tue gambe.
Guardo la tua fica con le dita, loro la vedono come se io la stessi guardando. La corrono e percorrono, il dito si sta piegando dentro per conoscerti anche lì, allargandoti a suo piacimento, percorrendo le pareti a suo capriccio. Piccolo uncino che ti prende all'amo tra le cosce.
Io ti conosco, sembra dire, sono nato per vivere qui dentro.
Sei mia.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vorrei leccare quel dito adesso, per avere un antipasto. Una piccola anteprima del tuo gusto.
Ma lui è troppo felice di rubarti il fiato, di far uscire un gemito dal fondo della tua gola, di far tremare sotto di me le tue gambe.
Dell'ansimare violento sotto la camicetta del tuo petto.
E' troppo felice. Io non gli farei mai questo torto.
Per questo forse ora ti bacio nuovamente, tirandoti a me con il mio amo piantato in quella gola morbida, lì sotto.
Sei mia. E io mi perdo senza via di fuga o desiderio di rifugio in questo.
 
Mi piacciono i posti stretti. Quei posti dove forzatamente si deve star vicini. Pelle contro pelle. Odore contro odore.
Mi piace star così. Presa dal tuo corpo contro la parete ruvida. Legata dalle tue dita mi arrendo e cedo alle loro spinte. Mi faccio prendere come se non avessi possibilità di movimento alcuno.
Ma la realtà è che voglio che sia così. Voglio sentirti con le dita che, sapienti, non la smettono di penetrarmi.
Vorrei giocare ancora. Sottrarmi. Negarmi. Vorrei vedere sul tuo volto stampata l’espressione di chi non può tornare indietro. L’espressione del desiderio che diventa tormento. La bocca leggermente aperta. La lingua umida. Gli occhi socchiusi che diventano falci. Spiragli che usi per guardarmi. Vorrei vederti tremare quando la mano si apre e lascia il tuo cazzo inerme senza stretta. Farti boccheggiare mentre afferro la tua mano e la tiro fuori da me, umida degli umori primitivi. Farti ansimare nella ricerca di una carezza che non arriva. Vorrei vederti cedere. Vederti sparire nella piccolezza dell’uomo che non riesce ad arretrare.
Invece non riesco.
 

 

 

 

 

 

 

 

Il gioco non ha più significato quando sono io la prima a non riuscire più a giocare. A prenderti in giro. Cercare di tormentarti, quando in realtà sono io la prima a non riuscire a staccarti gli occhi di dosso.
Ed allora con il cazzo serrato in una mano e nell’altra il tuo polso, ti spingo ancora, verso di me.
La testa volge all’indietro, gli occhi chiusi.
Assaggiami ora. Tira fuori le dita, qualcos’altro ne prenderà presto il posto. Ti regalo l’inizio del mio godere che non si è fatto completo. Sono capricciosa. Non voglio cederti tutto. È che mi piace l’attesa, il tenere in sospeso. Mi piace vederti soffrire, il tuo cercare, il tuo ansimare e volere di più. Ma non cedo. Gioco ancora.
La metà dei tuoi anni. Ti dispiace? Sono una bambina. Una bambina che ha voglia di giochi che fanno male. Che son pericolosi.
E allora portami a giocare, che lo sai fare bene.
Avvicini le dita alla bocca e, ingordamente, passi la lingua tra di esse. Come un pennello dipingi con la saliva nella fessura tra l’indice ed il medio, come fosse fessura di fica da colorare. Vedo le labbra schiudersi, la lingua che ne segue il contorno. I tuoi occhi socchiusi ed un gemito flebile segnale della bontà del mio sapore.
Mi volto. La schiena diventa nuda quando le mie dita stringono i lembi di stoffa e tirano la maglia verso l’alto.
Pelle schietta ed ingenua che si offre alle tue mani. Stringi la vita con le dita umide del mio diletto, affondandole nella carne sciolta sotto le tue carezze.
Non posso più giocare.
Il respiro che ha dato inizio al bacio diventa fiato bramoso di godimento.
“Inginocchiati” riesco solo a dire. Ma questo si, è un ordine. Non potresti rifiutare. Ti voglio sotto di me, in ogni senso. Decidere io del mio e del tuo piacere.
Con la mano sulla tua testa ti spingo verso il basso e, voltandomi, ti offro la schiena nuda. Piego in avanti il busto presentandoti la fica già umida della tua saliva.
Corteggiala per un po’. Leccala. Sfiorala. Passaci su le labbra fino a farla diventare rossa. Fino a farla diventare stanca. Poi insinuati. Con la lingua, solo la punta, solletica il piacere. Gioca con lei, falla impazzire. Tormentala, straziala, torturala. Poi entra in lei dolcemente, e scopala con la lingua finché, forzatamente, non ne berrai ancora il succo.
Più dolce stavolta, più profondo.
Ti piace sentirmi gridare? Potrei farlo se il godimento è tale da farmi perdere la testa.
Ma l’ho già persa, con te, in realtà. L’ho persa nei tuoi occhi che vorrei sentirmi addosso come una seconda pelle.
Le mani si aggrappano alla parete sulla quale mi costringi. Le labbra serrate tra i denti.
Il succo dolce ti cola sul mento, ti violenta la bocca. Mi piaci così. Sembri un bambino che si è sporcato col gelato. Ed allora ti pulisco. Viso contro viso ti bacio ancora, assaporo il gusto che ti ho appena donato, che mi hai appena donato.
Ti mangerei se potessi, per inglobarti a me.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

continua

 

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