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La doppia
punizione
capitolo primo
Plotino - La cessione
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Dormivo credo. Steso sul divano,
la giornata era stata lunga e carica di nuvole sino al rientro
dal lavoro.
E quando ho aperto gli occhi c'era Albertazzi sullo schermo,
vecchio, così credibile nella sua toga bianca da spiegarmi cosa
sognavo. E sono quasi sicuro che nel mio sonno lui avesse
parlato proprio di Plotino.
Nel sonno io attendevo il giovane Roganziano, in visita, e
mentre mi perdevo guardando via dell'Accademia e ricordando un
Roma onirica e solo mia, pensavo al dono che il giovane allievo
prima ancora di arrivare mi aveva chiesto, quasi non osando.
Lei.
Castrizio Firmo in arrivo dal Senato e Eustochio di Alessandria,
mi avevano chiesto cosa avrei fatto di fronte alla richiesta
così sfrontata, di cedere al giovanissimo discepolo del Maestro
greco trasferitosi a Roma, in arrivo da lontano, la donna che
amavo, la più giovane tra le giovani della vita mia di
impenitente cliente dei baccanali e delle feste pagane.
Quella di cui Gemina, e Amficlea, moglie di Aristone, figlio di
Giamblico erano state madrine, conducendola, ancor vergine a me,
ragazza.
Castrizio firmo e Eustochio di Alessandria mi avevano fermato
chiedendomi cosa avrei fatto e come avri potuto, e come avrei
sofferto e patito, ben conoscendo il legame fortissimo che mi
unisce a lei. Ben sapendo quando io tenga a quelle cosce
tornite, che all'andare di calzari stretti e alti sembrano quasi
colonne in crollo di un piccolo tempio, e muovono l'onda dei
suoi fianchi come quella, guardandola arrivare, del mio sesso e
del mio cuore.
Sapevo che l'avrei ceduta, per amicizia, ospitalità, devozione
al Maestro per cui sia il giovane spudorato che io in realtà
abbiamo sincera venerazione e della cui lungimirante saggezza un
poco anche temiamo.
Sapevo che ne avrei sofferto.
Attendendo l'ora del ritorno di lei con le vesti ancora
stazzonate, l'odore delle spezie e dell'orgasmo sulla pelle, e
la sfrontata allegria che il giovane discepolo, non per
offendere, ma per impudicizia della sua età, propria, il giorno
dopo avrebbe ostentato.
Così mi recai lungo la via dell'Accademia, nella mia Roma della
mente. oltre il mercato degli schiavi, a ordinare a una serva
che le portasse l'incarico di prepararsi, lavandola e
acconciandole i capelli nella foggia che io stesso preferivo, e
che usasse, a profumarla dell'odore che io stesso amavo, le
spezie per il corpo e i sali di Galilea che io avevo fatto
giungere da Metaponto per lei con quei mercanti.
Che, vestita e poi nuda e coperta solo dai miei odori, si
preparasse a rendere a me onore.
Dando accoglienza al giovane Roganziano. E piacere.
Che più di lei, cosa preziosa non avevo da offrire.
Non so come sia andata a finire in televisione, nè in realtà
nemmeno so di cosa parlasse l'uomo anziano con la toga, sullo
schermo col volume azzerato.
Mi sono volto al letto.
Sapendo che avrei poco dormito e che domani, poco prima di
svegliarmi e scendere per via dell'Accademia, nella mia Roma,
avrei cercato sul suo corpo e sul lino gettato a terra, quegli
odori, i miei e il suo. Mischiati.
E che la mia ospitalità, pur nei commenti sarcastici sul mio
dolore, sarebbe stata nelle chiacchiere in Senato, domani ancora
decantata. |
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