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Le dita posano di piatto. Contatto lieve, che si fa contatto già prima del contatto. Bianche, alla luce del neon alto, le sue, più scure di sole e mare quelle dell’uomo seduto al suo fianco. L’uomo e la donna ancora non si guardano in viso. Solo il contatto dei polpastrelli, leggero, a scivolare lungo il dito, quattro carezze che scivolano cariche di parallela scossa, fin dove il dito si fa palmo, alla piccola ruga, la piega che serra. La quadrupla carezza indugia, percorre la piega, quasi a violarla, a farla schiudere morbida al tocco.
La mano diafana alla luce e la carezza che scivola, percorre, scorre, trascina il contatto, le dita sue, di lei, che si flettono quasi a voler rinchiudere quel bacio in punta di dita. A imprigionare i polpastrelli nella piega a mezza mano. Il polso danza, avvolge l’altro polso, l’uomo e la donna hanno polsi stretti di ragazzo.
Poi, come corpi i palmi, posati ad aderire, contatto ampio, esteso, leggero e poi subito forte, ma si può stringere così, senza serrare, stringere piatto e farsi colla ? La stretta di due mani aperte, coricate, cuscino e corpo entrambe, “posati qui, scivola e resta…”
I palmi che si fanno pelle della schiena e del ventre, sfiorano leggermente, si inarcano come sollevati dal vento, come se tremasse un velo, le dita che ritrovano le dita e giacciono come coppie di amanti. Stese, distese, coricate, fuse, elettriche e vibranti. Un ponte dal polso al polpastrello.
Ora.
Vena su vena, non si sente quel battito nel locale. Solo le voci di chi vive lì intorno, c’e’ un faro giallo che illumina i due lì seduti, li avvolge nel cono caldo, ovatta d’uovo, e si fa muro, schermo e barriera.
L’uomo e la donna si guardano adesso, lei scivola, si scambia ruolo, è lei a possedere adesso il tremito delle dita sue, lui sente scendere lentissimo quel piccolo contatto, come scolpito nella pelle. Le dita posate in punta, quattro cavi scoperti sulla piega del palmo della mano. L’uomo chiude la sua e serra piano, avvolge, , chiude, protegge e copre. E nell’abbraccio della mano alla mano si chiude e trova piccola pausa una danza. Racchiude dita ripiegate ora, le imprigiona leggermente, le scalda e le nasconde, regala ombra e caldo, le lascia metter casa lì chiuse nel suo palmo. Non hanno mani poi così diverse, sanno farsi piccole e grandi entrambe. Lei scivola e risale, ridistende le dita abbronzate, le stira adesso, le tende allungate, le dita di lui un po’ inarcate come la schiena e le reni di un’amante, le stende ora, sotto le sue, la donna, come teli al sole, vi giace con le sue.
Coricate .
L’uomo e la donna danzano dita, polsi, e ora si stanno guardando. Le dita scivolano di lato, senza un segnale, si annodano, trovano caldo incastro, si intrecciano a costruire intorno al palmo, stretto a chiudere poca aria calda e ferma, un canestro, un cesto, la casa del gabbiano, il porto con le reti cucite e fatte tela, avvolte sopra il molo.
Il nodo dei pensieri.
La luce resta un cono, sono chiusi lì in quella tenda. Nel giallo uovo della luce che copre il rossore ai volti. Si alzano così, spostando a scivolare al suolo le due sedie affiancate. Sciolgono il nodo ed escono nella città di notte. Ha smesso di piovere e ritrovano nel riflesso del lampione che sfaccetta luci sulla pietra, i loro passi. Le scarpe cantano felici nella piccola acqua.
Grazie a Rodin, ad una birra, alla pioggia e a chi riesce a trasformare il marmo di una statua in carne.
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Zeena | ||
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